Più facile a dire che a
praticare: esce in controtendeza in francese questa condanna radicale del
lavoro - la fatica, il bisogno, la dipendenza. Quando il lavoro, cioè, è un
bene, anche ambito – ce ne fosse… Rensi, poi, che si applica a demolire il
lavoro, è un grande lavoratore: un italiano che oggi si dice atipico, molto
coerente, molto applicato. E poi, “Saggio sull’attività più odiata dell’uomo”
ha voluto come sottotitolo, ma chi glielo ha detto? Nei suoi anni, nella Milano
operaia di Fine Secolo, e in Europa fino
alla seconda guerra mondiale, certamente no. Anche il Sessantotto, che si
celebra come un movimento di rifiuto del lavoro, dell’“integrazione”, sarà
grande lavoratore – e continua, non vuole molllare il posto, Checco Zalone non
è lontano.
Un saggio giocato sul
paradosso. Marx forse era sul filo di Rensi, ma con altre argomentazioni – il
plusvalore, cioè lo sfruttamento. Mentre da tempo, già con Voltaire (“il lavoro
allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno”), una
filosofia si propone che rivaluta il lavoro come mezzo di liberazione e non di
asservimento: di libertà economica, e sulle miserie del mondo, i suoi vizi e i
suoi mali.
Rensi giustamente si
riscopre, almeno in Francia. In Italia le riproposte sono cadute nel nulla: un
pensiero originale e socialista non ha più patria. Il personaggio è anche
d’interesse. Vittima della repressione di Pelloux, nel 1898, dovette emigrare da
Milano nel Canton Ticino. Dove vise una dozzina d’anni, naturalizzato svizzero,
si sposò, e continuò l’attività di
pubblicista socialista, avviando quella di filosofo accademico.
Rientrato in Italia qualche anno prima della Grande Guerra, insegnerà Filosofia morale
all’università di Genova. Fino al 1927, quando fu radiato da Mussolni, per aver
firmato nel 1925 il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Croce.
Resterà relegato ai servizi bibliografici, e alla compilazione delle biografie
dei liguri illustri, fino alla morte nel 1941. Fu anche arrestato, con la
moglie, nel 1930, dopo l’attentato alla fiera di Milano, in uno con
l’intellighentzia liberaldemocratica - ma presto liberato per lo stratagemma di
un amico, che lo compianse morto pagando un necrologio sul”Corriere della
sera”, e a questo modo ne ottenne la liberazione immediata, Mussolini non
voleva complicazioni, e non si fidava dei suoi scherani. Un socialista puro e
duro.
“Contro il lavoro” è del
1923. Rensi non era un crociano, anzi era un antistoricista, le ragioni
corteggiando dello scetticismo. Ma qui va oltre, con una tesi provocatoria, più
libertaria che risolutrice. Gridata, si direbbe come sulle sigarette oggi
contro il fumo: “Il lavoro uccide”. Rensi non ci va lontano: "Tutti gli
uomini odiano il lavoro. E necessariamente e con ragione perché il lavoro è
meritatamente odioso”. Ma già per questo il suo grido meno vero, anche se lui non
lancia l’anatema per lavarsi le mani.
Rensi non era neanche un
sociologo, alla Max Weber, benché sempre impegnato nella politica attiva. È un
logico. Il fondamento del suo rifiuto è un intrico etico, di quelli indissolubili,
se si tira il fiocco di quà si irrigidisce il nodo di là: “Il problema del
lavoro, come tutti quelli che maggiormente interessano l’umanità, è così dal
punto di vista morale, come dal punto di vista economico-sociale:
indissolubile”. Il lavoro, “nello stesso tempo necesario e impossibile”, è
“l’imprescindibile base e supposizione della vita spirituale dell’umanità
(perché lo è della vita di essa in generale) e contemporaneamente ripugna alla
vita spirituale medesima, è in diametralmente contrasto con essa, la rende
impossibile”.
La colpa del lavoro è di
distogliere dal piacere. Ma Rensi non è un edonista. Ciò che lo preoccupa è un
fatto politico, e quasi sindacale: tanto più il lavoro è una virtù “tanto
minore importanza assume il miglioramento della condizione dei lavoratori”. Il
che può anche essere vero – avvenire. Ma è vero anche il contrario? “Quanto più
il lavoro in sé è poco stimato, tanto maggiore peso le rivendicazioni
economiche e sociali acquistano nella coscienza pubblica”. Difficile peraltro
non rilevarne l’aristocraticismo: “Il lavoro è meritatamente odioso. Non è una
cosa nobile, ma una necessità inferiore della vita delle specie e
dell’esistenza dei più, ripugnante essenzialmente alla più alta natura
dell’uomo”. Un socialista delle inteligenze.
Giuseppe Rensi,. Contro il lavoro, Gwynnplaine, pp. 157
€ 13
Contre le travail, Allia, pp. 144 € 9,50
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