venerdì 6 ottobre 2017

Rommel vinceva le guerre perse

Rommel è vivo e combatte insieme a noi? Col panegirico oggi su “la Repubblica”, Rumiz risolve il mistero della disfatta di Caporetto: fu opera di Rommel. Allora tenente, al comando di una compagnia, nel battaglione Alpini del Württemberg, sbaragliò tutte le linee di difesa italiane. Uno Zeman d’antan, portò la sua compagnia, ogni uomo affardellato di 40 chili, con armi pesanti e ingombranti, su è giù per i crinali e le valli, per tre giorni di seguito, ogni tanto facendoli riposare un’ora. E sempre, come ninja, benché onusti, arrivando alle spalle degli italiani. Che quindi si arrendevano – lo schema è: poche decine di uomini fanno prigionieri mille, millecinque, duemila, innumerevoli italiani a ogni colpo. 
Ogni tanto a Rumiz viene il dubbio che il mistero della disfatta sia la rabbia repressa delle masse al fronte. Un mistero noto, se non altro dal tempo di Malaparte. “La rivolta dei santi maledetti”. Ma non vuole dargli ragione – lo cita per caso. Anche se, poi, sta con Rommel, che scrive: “Gettano quasi tutti le armi. A centinaia mi vengono incontro. «Viva la Germania» gridano mille bocche”. Non trascura la “meticolosa preparazione tedesca”: “Materiali portati con 2.400 treni, oltre 2.200 tra annoni e bombarde, un milione di granate a disposizione, 30 mila cavalli”, indispensabili per portare l’armamento su e giù. Ma non di più.
Una volta Rumiz ha anche il dubbio che il futuro maresciallo sia “un barone di Münchhausen”. Un comandante di compagnia “che fa tutto da solo”, nell’esercito prussiano? “Che riesce in 52 ore quasi ininterrotte di azione a travolgere cinque reggimenti, a conquistare una decina di posizioni… Il tutto con perdite irrisorie e percorrendo a velocità inverosimile, in combattimento, una quarantina di chilometri, 2.500 metri di salita e 800 di discesa”? Ma poi non resiste – lui con i curatori delle memorie di guerra, italiani e sloveni, che lo accompagnano a Caporetto e dintorni – al fascino del maresciallo, come si celebrò nel 1937, in “Fanteria d’attacco”. E di questo volume autocelebrativo fa quasi un romanzo.
Rommel era un altro. I lettori del sito lo sanno
Il suo mito è da tempo sgonfiato, in Africa, nel Vallo Atlantico (1944) e sullo stesso fronte italiano. Rommel fu medagliato sul fronte italiano, insieme col suo maggiore, Sproesser, per l’azione successiva a Caporetto, a Lavarone, dove catturò molti italiani.
Cioè: il mito era sgonfiato, in Germania. Ma due anni fa è stato rilanciato, ripubblicando l’autocelebrazione del 1937 che Rumiz sceneggia. La storia ritorna?
Rommel vi descrive, in sei capitoli, sei azioni di guerra strepitose, come nei romanzi di avventure, nei film all male. Da alfiere del reggimento wuerttemburghese “Re Gugliemo I” in Belgio e Francia Nord, nelle Argonne, e poi, come tenente, nel battaglione Alpini, in Romania, nei Carpazi, a Tolmino (Caporetto),  al Tagliamento e al Piave. Fu un successo, con 400 mila copie vendute. Come dire che la Germania aveva vinto la guerra che aveva perso, un rovesciamento sulla cresta del boom hitleriano.
Il successo Rommel voleva bissare nel 1944 con “Panzer d’attacco” (“Panzer greift an”, dopo “Infanterie reift an”) sulla guerra d’Africa, dove pure aveva perduto la prima guerra di Hitler, come se invece la avesse vinta. Ma la sconfitta in Normandia e il suicidio lasciarono il progetto incompiuto.
Di “Fanteria d’attacco” non si è più parlato in Germania dopo la guerra. Fino alla riedizione due anni fa, nella nuova Germania merkeliana.

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