Amore – È simultaneo,
biunivoco: si ama perché – se, finché – si è amati. Anche nel corteggiamento,
la scintilla scocca perché è scoccata dall’altra parte – quanti incontri non
avvengono anodini benché con persone che hanno tutto per innamorare, bellezza,
grazia, intelligenza, etc.?
È
tutto qui il problema di Dio, si ama Dio e – se - si crede al suo amore per noi
(ma già questa simultaneità non è una “prova”?).
Autore
– È
un Distruttore. Nel mentre che – perché – crea. Nella vita pratica – mondo.
Egoista è parola insufficiente per
dirlo, l’egotista di Stendhal. A un certo punto suicida: incapace di amare
perché incapace di vedere. La creatività è un mondo conchiuso.
È storico – storicizzato. Nei modi di
essere e anche nel senso. L’amore di Ero e
Leandro, o Giulietta e Romeo, la fedeltà oltre la morte, porterebbe oggi
dall’analista. Per Kierkegaard
l’amore è comico. Per la nota regola dialettica per cui la contraddizione è
comica, e l’amore è contraddittorio.
Per
il Kierkegaard notturno – ebbro? il filosofo scriveva a ore fisse, ma cose
diverse, il giorno e la notte, la notte fino alle due, e allora era su di giri,
la mattina, fino al tocco, era invece amaro: L’amore è il tema del banchetto
notturno di “In vino veritas”. L’amore a tavola di notte è dunque indigesto.
C’è
poi a un certo punto la categoria dilagante dell’amore morte. Anche
all’Oriente. Con Versailles si fa eco, nel fecondo
Settecento, la Cina, o Giappone che sia, col precetto che l’amore è cieco, e si
purifica nell’assenza, l’attesa, la memoria. Insomma nella morte. È difficile
portare l’amore in piano.
Capitalismo - Casanova è l’Idealtypus del capitalista, che produce per dispersione.
Il capitale è anarchico, non si lascia precettare, nemmeno dai borghesi più
torvi: è così alle origini, siano esse conquista, guerra, mafia, fortuna, e la
natura non si cambia. L’accumulazione è un fatto sociale o generale, come la
demografia: la società, la famiglia, il genere umano accumulano perché i
singoli si consumano.
Si accumula, e ci si consuma, a più
riprese, a differenza dei fuchi - l’uomo è più produttivo. Non accumulare
potrebbe dunque, e dovrebbe, essere reato.
Fatto – Si annulla un
goal in una partita di calcio, attraverso l’esame detto Var, video assistant referee, ritenuto per
consenso ineccepibile, perché l’azione che finisce in goal è iniziata da un calciatore
della squadra con una manata contro un avversario. Ma la manata è di reazione a
un avversario che aveva placcato il calciatore, cinturadolo: è il gesto istintivo
per divincolarsi da una presa sgradita – nella fattispecie proibita e da
sanzionare, con una delle sanzioni più gravi (un cartellino).
Visto
e rivisto in televisione, come già sul campo attraverso il Vae, l’episodio è
analizzato poi per partito preso, in base alle preferenze dei commentatori per
l’una squadra o per l’altra. Questo ha a
che fare con un modo di essere o conformarsi dell’opinione pubblica, quando - nella fattispecie in Italia ,nel 2017
– si vuole partigiana. Ma anche con il fatto. Il fatto è uno, visibile, circoscritto.
Ma è scomponibile. Quando se ne vuole estrarre verità (giustizia) è prassi ineludibile
scomporlo.
Il “fatto” è rilevabile per lo storico (la storia) e non solo. Quando Rousseau comincia a riflettere sull’origine dell’ineguaglianza, esordisce con un proclama non superbo: “Scartiamo tutti i fatti!”. Dopodiché, con sciolta dialettica, ricostruisce i fatti come devono essere avvenuti - sempre meglio del Var, e vero, perché no.
Il “fatto” è rilevabile per lo storico (la storia) e non solo. Quando Rousseau comincia a riflettere sull’origine dell’ineguaglianza, esordisce con un proclama non superbo: “Scartiamo tutti i fatti!”. Dopodiché, con sciolta dialettica, ricostruisce i fatti come devono essere avvenuti - sempre meglio del Var, e vero, perché no.
Felicità – “La felicità
ci annienta, perdiamo la nostra identità”, Graham Greene, “La fine
dell’avventura”. In questo, che è vero: “Il senso dell’infelicità è
infinitamente più facile da comunicare che quello della felicità” – la felicità
è incomunicabile. E anche: “Nella disperazione sembriamo consci della nostra
propria esistenza, anche se possa essere sotto forma di mostruoso egotismo”.
Linguaggio – È non
detto più che detto. Il ricercatore che ha denunziato gli accordi tra
professori universitari nella distribuzione degli incarichi, si presenta per
essere mezzo inglese e mezzo italiano. O meglio, come tale viene percepito:
“Su, non fare l’inglese”, gli dice a un certo punto il “suo” professore, che
non può dargli l’incarico in quella sessione di concorso, ma lo assicura per la
prossima. La differenza è tra il non detto e il detto, cioè nel modo di essere:
nell’università inglese lo steso procedimento si attua (“tu qui, lui là”, “lui
subito, l’altro dopo”, etc.) ma non si dice, si intende.
Magia – È
materialistica. Materiata di cose, fumi, fili, zampe, aghi, salamandre, ranocchi….,
per determinare il corpo. La volontà come coazione, non lo spirito.
Morte – In fisica la quiete è morte. Ma non si può dire, forse neanche la morte è
quiete, e la resurrezione dei corpi non è un mistero. È un esito fisico: oggi,
fino a oggi, siamo stati e siamo tutti morti, o appena nati. O di saggezza
popolare: finché c’è vita c’è speranza, domani è un altro giorno – che però è
procrastinazione, la filosofia di Via
col vento, ritenzione: non c’è domani se non c’è oggi. La natura è
irrequieta: non fa che agitarsi, dallo incessante piccolo all’infinitamente
grande
Natura
-
La privazione del desiderio faceva la felicità dello stato di natura nelle
contese del Settecento. Ma si può esserne privi nella condizione sociale più
dotata di beni, e questo è una contraddizione – con più giustizia dice
Longanesi che “vissero infelici perché costava troppo”. E poi, ci si può ancora
felicitare dello stato di natura dopo gli studi di etologia e della catena
ecologica?
Ma lo stato di natura è bello per
questo, è pieno di sorprese – altrimenti bisogna imputare al Settecento un
errore di logica elementare, la felicità nella morte.
Odio – “L’odio
somiglia molto all’amore fisico”, G. Greene, “La fine dell’avventura”? In
questo senso: “Ha le sue crisi e poi i suoi periodi di calma”? No, l’odio è
costante. È come la gelosia, volendo collegarlo all’amore, un roditore interno
instancabile: l’odio nutre odio.
Suicidio – Viene anche – il più delle volte? –
non dichiarato: si può morire senza punti esclamativi.
Senza Darwin: la voglia di vivere non è fatale. E senza Pascal: il giocatore
punta sulla vita come su Dio, direbbe Pascal, non c’è azzardo nella morte. E
tuttavia pure il giocatore vi si può abbandonare, per la fatica, o l’ira, per
la stessa placata curiosità.
Tempo – Si può dire
quello di sant’Agostino – viene da un futuro che ancora non esiste, in un presente
che non ha alcuna durata, penetrando un passato
che ha cessato di esistere: come una iniezione di vita.
Viaggio – Al tempo dei selfie – il viaggiatore in viaggio
immortala soprattutto se stesso, la sua faccia in mille espressioni – rivela
grossolanamente la sua natura intima: l’ossessione del sé. Non una fuga dal ma una ricerca del sé. È una uscita dal sé per avviarne-rappresentarne-ricostituirne
un sé più intimo – come sfogliare la cipolla. Anche nell’uscita del pensiero,
nella riflessione.
zeulig@antiit.eu
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