Un altro G.Greene alla Simenon
dei romanzi “duri” – ma non altrettanto duro: un po’ al modo che sarà di
Soldati. Due gemelli, lui prototpipo dell’inglese perduto nell’impero, tanto
pieno di sé quanto incapace, lei la segretaria divenuta l’amante del
principale. Modellato sul “re dei fiamiferi”, lo svedese Ivar Kreuger, un
industriale che si era voluto monopolista mondiale del settore, e parallelamente
alimentava uno “schema Ponzi”, in cui gli investititori hanno lauti dividendi a
valere sul loro stesso capitale e su quello dei nuovi entranti nello schema -
“il Leonardo dei truffatori” (Galbraith) - finito suicida dopo uno scandalo
memorabile qualche anno prima del romanzo. Da qui l’ambientazione a Stoccolma: G.
Greene, ancora mezzo gornalista, vi risiedette a lungo per documentarsi. L’imprendotore
di chiama Krogh ed è il re delle lampadine, per il resto fa tutto come Kreuger.
Il tipo monomniaco di Wall Street, anche, di questo Milennio tornato impune alla
finanza disinvolta e sterminatrice degli anni 1920.
Comico più che tragic, una
parodia dei vizietti inglesi – il titolo originario è “England made me”. Una
storia senza conclusione e senza morale. Ma Greene sa mantenere la suspense fino alla fine. Sotto l’ironia
verso l’insularismo inglese – lo snobismo, anche degli incapaci: sembra di
leggere un romanzo della Brexit, degli umori inglesi sotto la Brexit.
Pubblicato nel 1935 come
“England made me”, ripubblicato come “I naufraghi” nel 1953 – quando ne fu
fatta la traduzione, da Claudia Patrizi, che ancora si ripropone.
Graham Greene, I naufraghi, Oscar, pp. 355 € 10
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