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lunedì 6 novembre 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (344)

Giuseppe Leuzzi

Siamo il primo paese al mondo, di quelli di cui si hanno i dati, per intercettazioni, telefoniche, ambientali, telematiche (le più costose). Ma la corruzione non è in calo, nemmeno le mafie. E allora?

Funzionari prefettizi sollecitano e nominano le Commissioni d’accesso agli atti dei Comuni per mafia o disamministrazione. Dei Comuni che poi loro stessi amministreranno per un anno e mezzo in funzione di commissari. C’è un conflitto palese d’interessi, ma non per il ministro dell’Interno. – per non dire della qualità dei funzionari prefettizi.

Il ministro dell’Interno trova sempre interessi comuni con i suoi funzionari prefettizi e i loro poteri discrezionali. In effetti, un vero federalismo non sarebbe male. 

Anche la Grecìa viene meglio al Nord
Walter Lapini, in arte “Alvaro Rissa”, fa le prime pagine e scala le classifiche con pastiches (“Totti. Il cucchiaio di Dio”) in finto greco antico, e traduzioni in greco di banalità quotidiane (il finto coatto Mauro Rovazzi). Esercizi che Saverio Siciliano ha condotto da tempo – un pastiche da Archiloco fu preso trent’anni fa per un reperto finora trascurato del primo lirico greco. Senza echi, se non fra gli amici. Ma Siciliano sta a Reggio Calabria, e Lapini a Genova: il contesto fa la realtà delle cose.
La versificazione in greco, di cui un raccolta fu fatta vent’anni fa a Napoli, “Ritorno al classico”, per la Esi, Siciliano ne è stato un cultore nato. Giurista di formazione, sociologo di professione, all’università di Messina, promotore a suo tempo inascoltato, primi anni 1990, di un codice ambientale o dell’ecologia (“Ecologia giustizia insicurezza”, “Ingiustizia contro natura”, “La civiltà suicida”), è un grecanico, per origine e vocazione, di Bova Marina. Ambientalista pure in proprio, come coltivatore, quindi doppiamente radicato nell’area di origine. Tutte cose che darebbero spessore anche al “personaggio”, quale ora si richiede essere a chiunque proponga. Ma Reggio Calabria è un forte handicap.

Da sant’Arcangelo a Halloween – o l’anello al naso
Usava in paese la fiera di sant’Arcangelo, l’ultima domenica di ottobre. Si comprava il maialino da latre, da crescere per le Feste. E gli attrezzi da campagna, zappe, asce, pale, picconi, forbici, coltelli, che ora non usano più. Le fiera era per questo andata in disuso. Il sindaco la riprende per rianimare il paese tra la lucentezza dell’estate e le luci dell’Avvento. Ma le abitudini si perdono più facilmente che non si acquistino.
I banchi sono del solito mercatino. Di qualche reduce del mercatino per antonomasia, del Forte dei Marmi, con nugoli di africani del Sud e del Nord – del Sahara. Con molti dolcetti, anche scherzetti: da sant’Arcangelo ad Halloween. Sono alcuni anni che il sindaco ha rianimato al fiera, ma pochi curiosi si incontrano.
Anzi, non c’è nessuno, verrebbe da dire. I bancarellari discutono fra di loro. Un mortorio. Finché, uno dei reduci (arredamento casa) ha da sbraitare contro un vicino di banco. Un africano dalla faccia di ragazzino che non risponde. Forse non capisce, anche se il cipiglio del reduce parla chiaro. Ma è un attimo. Subito si fanno sotto a rispondere per lui altri tre o quattro africani, in perfetto dialetto. Calmi, amichevoli, suadenti. Il reduce un po’ si calma, un po’ si altera, ridà in escandescenze. Soprattutto quando lo si guarda: quando intercetta uno sguardo lancia un urlo.
È tutto. Resterà l’unico segno del mercato. Gli altri espositori si fanno al centro per vedersi la scena, dall’alto e dal basso, il paese s’inerpica sulla gola della valle. C’è poco da preoccuparsi. E d’altra parte tutto anche qui è in regola, ognuno è ambulante patentato – per altro no, ma sul lato formale siamo inflessibili.
Il fatto è che l’africano non ha l’anello al naso. E l’arabo ci disprezza, da sempre. Sanno fare le parti in commedia, anche meglio, con più aplomb. Ma bisogna rivedere teorie e pratiche della cooperazione – le ansie.

O nostos – il ritorno
C’è sempre un ritorno dell’emigrato, anche quando non ritornasse mai al luogo d’origine. Un ritorno mentale, in forma di memoria, rimpianto, sogno. Anche per una semplice ricostituzione del sé, del proprio soggetto, di saperi, passioni e idiosincrasie, altrimenti inspiegate. È come Simone Weil lo dice, ebrea che si volle cattolica, non battezzata ma radicata: “Il radicamento è forse il più importante e il meno riconosciuto tra i bisogni dell’animo umano”.
È un radicamento figurativo. Anche quando è fisico, lo spostamento comportando della persona. Di fatto, tra persone reali, sarebbe altrimenti sempre deludente: il ritornante è un altro, e gli altri sono altri. Anche i luoghi sono altri, non può essere che così. Il desiderio però, o il bisogno, soverchia le differenze.

Sicilia
Dante la mette nel “Paradiso”, sebbene la immagini sulfurea: “E la bella Trinacria che caliga\ tra Pachino e Peloro, sopra il golfo,\ che riceve da Euro maggior briga\ non per Tifeo ma per nascente solfo”.
Consolo, “L’idea della Sicilia”, opina che ci sia arrivato per il “remoto” e l’“antico”, le “due condizioni che generano poesia, dice Leopardi”.

Il suo “Re Ruggero” solare, “dionisiaco”, nient’affatto normanno, il compositore polacco Szymanowski ha musicato sotto la fattura della Sicilia, che si trovò a visitare dopo la Grande Guerra, e poi più volte in poco tempo – in compagnia del cugino Jaroslaw Iwaszkiewiz, anche lui entusiasta, che scriverà parte del libretto. È una Sicilia da cartolina quella che Szymanowski divisa. E tuttavia ne dà prospetto congruo, che ognuno sperimenta ogni volta nell’isola: è la Sicilia che affascina e non sa lei stessa perché – i siciliani di oggi non lo sanno, levantini presi dal levantinismo.

Era una landa deserta per il Settecento in Francia – che poi la amerà e idolatrerà: per Montesquieu, per l’Enciclopedia. Una distesa desertica, o sennò di ruderi. Terra di distruzioni, per via dei terremoti.

Fu inventata da Stendhal, come è noto. Ma non del tutto, ne “La duchessa di Paliano” è anche particolareggiato: “Il mio scopo principale, viaggiando per la Sicilia, non è stato di osservare i fenomeni dell’Etna né di chiarire, per me e per gli altri, quel che gli antichi autori greci hanno detto della Sicilia. Ho cercato soprattutto il piacere degli occhi, che in questo singolare paese è grande. Si dice che assomigli all’Africa; ma quel che per me è certo è che non somiglia all’Italia, se non per le passioni divoranti”. Non c’è stato, ma sapeva.

Fece molta impressione a Pieter Breughel nel suo lungo soggiorno in Italia, tra il 1552 e il 1554. Tra Reggio Calabria e Messina disegnò il “Combattimento navale”, poi traslato in incisione. A Palermo il “Trionfo della morte”.

Consolo immagina il viaggio di Goethe in Sicilia come “la conclusione necessaria per progressus alle origini, il viaggio al termine della storia, della civiltà e del tempo; il viaggio anche al cuore della natura”. Ma questa è la Sicilia di Consolo: “La Sicilia, il prodigioso e antichissimo grembo di questa terra contiene, per chi sa trovarlo, l’aleph: il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi, la storia che contiene tutte le storie”.

Goethe in realtà aveva un’idea della Sicilia già prima di visitarla. “La Sicilia è per me un preannuncio dell’Asia e dell’Africa”, scrive a un corrispondente mentre organizzava il viaggio in Italia, “e il trovarsi in persona al centro del prodigioso cui convergono tanti raggi della storia del mondo non è cosa da poco”. E dopo il viaggio: “Per quanto riguarda Omero, è come se mi fosse caduta una benda dagli occhi. … Ora l’Odissea è davvero per me una parola viva”.
La Sicilia come parusia del reale, è la sintesi di Goethe: “L’aver aderito in stretto contatto al reale mi ha dato un’incredibile scioltezza nell’esprimermi, per così dire, a prima vista su ogni cosa, e mi sento veramente felice che nel mio animo sia rimasta un’idea tanto chiara, completa e pura della grande, bella, impareggiabile Sicilia”.
In questo Goethe è solo. Ma, e se avesse ragione?

Per molti, conclude Hélène Tuzet, che ha studiato e antologizzato i viaggiatori nell’isola, la Sicilia è un’idea “platonica”. Ma non è valutazione diminutiva: la Sicilia si impone come idea “platonica” a personalità in vario modo elette – i viaggiatori non sono turisti di massa. 
È un luogo però dell’immaginario, è vero. Pur essendo a portata di mano, e anzi centrale, nel Mediterraneo e in Europa, quella che contava fino a Colombo e le scoperte.

La prima ricognizione dall’estremo Nord non fu benevola – il leghismo piemontese e ora lombardo è benevolo al confronto. “Sotto il segno del fuoco nasce l’immaginario della Sicilia”, esordisce Atanasio Mozzillo, lo studioso dei viaggiatori, “Le ragioni dell’immaginario”. Meglio avrebbe detto “sotto il segno dell’inferno”, a giudicare dai reperti che cita. Giovanni vescovo di Oxford, che fu nell’isola nel 1176, ci sente lezzo e aria pestilenziale, ci vede foglie morte, canne secche, stagni paludosi. 
Il vescovo accompagnava la figlia del re d’Inghilterra Enrico II, Giovanna, che andava sposa a Guglielmo II d’Altavilla “il Buono”. Un matrimonio da cui nascerà Costanza d’Altavilla. Che andrà sposa all’imperatore tedesco e sarà madre di Federico II. A Guglielmo succederà a Palermo il cugino Tancredi. Non proprio gli ultimi della terra.

Pietro di Blois qualche anno prima, precettore di Gugliemo ragazzo, scriveva di “portae mortis et inferi”. Gli uomini la terra se li inghiotte vivi, scriveva da Palermo, “et descendunt in infernum viventes”. Mentre in pancia gli fermentano “i mortiferi umori del prezzemolo e del finocchio, loro unico cibo” - che il canonico evidentemente non gradiva.
La verità è che Pietro aveva troppo potere col giovane re, e dovette presto lasciare Palermo. Si mise allora al servizio del suocero del suo pupillo, Enrico II d’Inghilterra, col quale fece carriera.

Federico II è “il signore di Puglia” nell’epica  contemporanea di Walter von der Vogelweide.

leuzzi@antiit.eu

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