Spengler,
“Il tramonto dell’Occidente”, p. 54, ha una serie di grandi tedeschi “vittime
del Sud”,
“cominciando dall’imperatore Ottone III, che
fu la prima vittima del Sud, fino a Nietzsche”, che ne fu l’ultima”. Il Sud
deprecato da Spengler è quello classico, greco e romano, ai quali vuole che si
contrappongano i “secoli vivi” del Medio Evo.
Ma di Ottone III dice il nazionalista Thomas
Mann nel “Doktor Faustus”: “Quando morì dopo la cacciata dalla sua Roma
diletta, le spoglie furono portate in Germania contro il suo sentimento, era un
campione di auto-antipatia tedesca e tutta la vita aveva pudicamente sofferto
di essere tedesco”.
Luchino Visconti, grande regista e
personaggio ingombrante, per mezzo secolo, è dimenticato. Salvo che per “Il
Gattopardo”, come se non avesse fatto altro - assortito con “Rocco e i suoi
fratelli”, ma poco, il drammone si regge ora poco, troppo melodramma. Resta
come testimone del Sud, di un certo Sud cui piace fissare quello vero. Con
compiacimento dello stesso Sud: piace pensarsi aristocratici un po’ gualciti.
Gli svedesi visti in tv nella partite
con l’Italia sono stati violenti e simulatori, di proposito, sempre lì a
lamentarsi con l’arbitro. Tutti l’hanno visto in tv. Ma erano svedesi tipici, alti
e biondi, e la cosa non è stata sanzionata, nemmeno deprecata. Violenza e
simulazione sono meridionali.
Fa senso la mafia senza complessi di
Ostia. Che in una città presidiata speciale su ordine del ministro dell’Interno
compie attentati e manda “avvertimenti”. Ostia esemplifica un concetto
semplice: che la mafia non è un fatto etnico, come vuole la sociologia dei
Carabinieri, ma è insorgenza quasi naturale quando i Carabinieri non vedono o
si girano dall’altra parte.
Dove i delitti vengono puniti le mafie
non allignano. Anche se fossero “solo” delitti contro la proprietà: è questo il
campo di marte delle mafie, a Ostia e altrove.
Fa senso lo spreco di televisioni e
giornali in morte di Riina. Per chi ha vissuto e vive in aree di mafia. E anche
per chi ne è lontano, che lo sa killer selvaggio e organizzatore di orribili
stragi. Che c’è in quest’uomo da ricordare?
Solo un prete, il vescovo di Monreale,
sa dire la parola giusta: “Riina non diventi un mito”. Il giornalismo è il
male, violento?
Il giudice di Parma Umberto Ausiello
trova il modo d’immortalarsi anche lui, con un procedimento per omicidio
colposo sulla morte di Riina. Avvelenato? Ucciso dai chirurghi? Dice: è la
legge. Di chi?
Il vescovo di Monreale ha dovuto fare un
decreto, due decreti, per escludere i condannati per mafia dalle confraternite,
e dalla partecipazione a battesimi e cresime in qualità di padrini..
L’aria del Sud
Rapido
e giocoso, il modo d’essere del meridionale a Parigi è irritante e va castigato,
spesso con l’ostracismo. In “Féder”, uno dei tanti romanzi incompiuti di
Stendhal, il bel giovane di Marsiglia che vuole fare carriera nella captale
come pittore, è così indirizzato dall’amante-istitutrice Rosalinde, prima
ballerina all’Opéra: “Non è soltanto la commedia
malinconica che dovete rappresentare voialtri gente del Sud che pretendete
di vivere a Parigi, dovete fare la commedia sempre;
niente di meno, mio bell’amico. La vostra aria di gaiezza e la vivacità, la
rapidità con la quale rispondete scioccano il Parigino, che è per natura un
animale lento, la cui anima è immersa nella nebbia. La vostra allegria lo irrita: ha
l’aria di volerlo far passare per vecchio; che è la cosa che detesta di più.
Allora, per vendicarsi, vi dichiara grossolani e incapaci di gustare le parole spirituali che sono l’incubo di
felicità del Parigino”.
L’incubo di felicità, un ossimoro non male. Il consiglio di Rosalinde è di prendere “un filo di aria malinconica”. Un’alternativa Stendhal dà nello stesso abbozzo della narrazione o conversazione “in provincia”, sottintendendo del Sud – si applica a dei guasconi di Bordeaux: “In provincia, ciò che si dice essere amabile è impadronirsi della conversazione, parlare a voce alta, e raccontare un seguito di aneddoti pieni di fatti impossibili tanto quanto di sentimenti esagerati, di cui, per un di più di ridicolo, il narratore di fa l’eroe-protagonista”.
L’incubo di felicità, un ossimoro non male. Il consiglio di Rosalinde è di prendere “un filo di aria malinconica”. Un’alternativa Stendhal dà nello stesso abbozzo della narrazione o conversazione “in provincia”, sottintendendo del Sud – si applica a dei guasconi di Bordeaux: “In provincia, ciò che si dice essere amabile è impadronirsi della conversazione, parlare a voce alta, e raccontare un seguito di aneddoti pieni di fatti impossibili tanto quanto di sentimenti esagerati, di cui, per un di più di ridicolo, il narratore di fa l’eroe-protagonista”.
Il Sud è arabo
Il
Sud è arabo è più che un rimprovero leghista. È più greco o più arabo –
saraceno, barbaresco, magrebino, Libia inclusa?
Non ce n’è una storia, eccetto che per
la Sicilia. Ma la presenza araba è stata costante e incisiva in Italia nel
quattro secoli tra il Nono e il Tredicesimo – fino alle Crociate, che il fronte
riportarono nel Medio Oriente. Nei secoli seguenti, fino a tutto l’Ottocento, peraltro
non fu dismessa: solo è stata più episodica, anche perché meglio contrastata. Questo
sito ne ha dato un breve quadro ricordando il volume “Gli Arabi in Italia”, l’unico tentativo di
approfondimento:
Il
riflesso si direbbe soprattutto nella fisiognomica. Che però sa più di
impressione che di dato storico accertabile. Suppliscono i toponimi arabi, che
sono un’enormità, al Sud e nell’Italia tirrenica, fino alle Alpi. Moltissimi
anche i cognomi, oltre i tanti Pagano che nascondono il vero nome: D’Alema,
Caracciolo, Gaito, Galba e Galbani, Debbio, Morabito, Modafferi, Almirante, Macaluso,
Ainis, Badalamenti, Cabibbo, Musumeci, Cangemi-Gangemi, Buscemi, Caffaro, Cuffaro,
Cacopardo, Sodano, Sciortino, Pedullà, Vadalà, Bagalà, Zappalà, Cannatà, Fragalà, Giammusso,
Guarasci, etc.
Molti
i termini di uso comune. Tra cui alcuni dialettali, segno che la presenza araba
non è stata momentanea. Il più noto è il “camallo” a Genova. O lo “scialla scialla”
in uso per plaudire, festeggiare. E il “mosciame”. Anche il piemontese ha alcune forme arabe
ricorrenti: “marghé” per pastore, “cussa” per zucca, “coma” per mucchio, “burnia”
per vaso.
Ma
più comune è probabilmente il linguaggio. L’economia estrema del linguaggio, nell’uso privato. Nei molteplici
significati dell’esclamativo, dell’interrogativo, dell’interrogativo
negativo. Determinati dal contesto. O
dal gesto, anch’esso gravido, anche solo uno sguardo, o la stessa pausa. Una brachilogia che si accompagna a una retorica
incontenibile nell’uso pubblico. L’umorismo “cattivo”. Molte parole si ritroverebbero
pressoché identiche nei dialetti italiani e in arabo. Il francese di Yasmina
Khadra, lo scrittore franco-algerino, contiene spesso termini, per es. “sciarriarsi”
per litigare, che si ritrovano nel dialetto calabro-siculo ma non nel Petit
Robert francese – però, è vero che in questo caso lo scrittore può aver mediato
il movimento inverso, di artigiani e manovali calabresi e siciliani emigrati in
Algeria (all’inizio della guerra algerina di liberazione, nel 1955, c’erano più
italiani in Algeria che nella ex colonia italiana di Libia).
Napoli
“Antagonisti”
a tutto campo a Napoli, contro i professori, i giornalisti, e gli onorevoli.
Ora anche contro Camusso, la segretaria della Cgil. Ma non spontanei né
selvaggi: all’ombra del sindaco De Magistris. Che li cavalca con lo slogan
“Napoli città del’amore e dell’accoglienza”.
Tutto
questo “fa molto napoletano” ma lo è anche: Napoli è la sua maschera.
Ha sempre avuto eccellenze. Ora la squadra di
calcio. Che gioca rapida, da Napoli, ma ordinata e pulita. E da collettivo,
senza primedonne né ingaggi stratosferici. Di un club che ha saputo domare il
tifo violento, cosa che non riesce a Roma, Torino e Milano. Ma le eccellenze
non fanno sistema.
Era
colonia inglese alla fine delle guerre napoleoniche. Stendhal nel 1817 vi trova
“due o tremila Inglesi”. Inglesi anche le donne belle. Il “Gentleman’s Magazine”
londinese ne aveva dato notizia in precedenza: “L’emigrazione dei nostri compatrioti
in Italia è così massiccia che a Napoli risiedono ora 400 famiglie inglesi”.
Ci
saranno anche molte memorie inglesi, specie di ladies, incantate.
Via
Toledo, ch dopo Porta Pia sarà chiamata via Roma, era stata fino ad allora “una
delle più ampie, più lunghe e più belle vie d’Europa (De Brosses), “senza pari
sia a Londra che a Parigi” (Pilati), “la via più gaia e più popolosa
del’Universo” (Stendhal).
Herder
poteva dire a Napoli, nei “Ricordi di viaggio in Italia 1786-87”: “Roma è un
covo di briganti in confronto a questo paese: ora capisco perfettamente perché
lì non mi sono mai trovato bene”. A Napoli dedicherà uno dei due libri dei suoi
“Ricordi” – che Napoli non pubblica.
È
curioso come Napoli non riesca a scrollarsi di dosso le insolenze di cui è
stata oberata dopo l’unità. A ragionare cioè su se stessa, su ciò che fino ad
allora aveva creato e poi più non seppe o poté. Se non in qualche polemica sterile, senza
farne cioè occasione di rilancio. Aveva esaurito la sua funzione? Aveva una
funzione solo come capitale? Ma anche questo non sarebbe stato un appiglio per
ricominciare?
Fa
quindicimila chilometri in bicicletta, da Hong Kong, vuole raggiungere Calais con
mezzo giro del mondo, e dove gli rubano la bicicletta? A Castel Volturno, nel
giro di un paio di minuti. Lo inseguivano da Hong Kong? Il luogo è così pieno
di ladri che se ne trova sempre uno a portata di mano?
Ha
il monopolio della giustizia, nelle procure e nei tribunali, e nelle
istituzioni, Cassazione, Csm, Consulta. Perfino nella giustizia sportiva – la
giustizia è molteplice in Italia, ce n’è una anche sportiva. Con effetti umorali e di parte, alla Consulta
e nel calcio visibilmente: le decisioni cambiano da un momento all’altro, da un
caso all’altro, da un governo all’altro.
Opportunismo?
No, ci mancherebbe. Però, bsognerebbe mettere dei contingenti etnici in alcune
professioni sensibili: i giudici, per es., che siano napoletani solo a un tot
per cento, non tutti.
Il
torinese Agnelli innocente accorre a Roma a difendersi nelle indagini del
prefetto napoletano Pecoraro. Il quale non lo ascolta e lo condanna, in termini
ingiuriosi. Il napoletano De Laurentiis non solo non accorre, ma quando
Pecoraro manda uno a interrogarlo a domicilio non si fa trovare, delega un paio
di impiegati. E il prefetto napoletano tace.
Napoli
potrebbe in effetti guarire “Napoli”, con la frusta, come usava un tempo. C’è
più democrazia (legalità) nei ruoli, che nel free for all, nel todos
caballeros. Alcuni lo sono, altri no.
leuzzi@antiit.eu
1 commento:
avevo bisogno ringraziarvi per questo grande leggere !!
I certamente assolutamente goduto ogni po 'di po' di esso.
Ho libro segnato di controllare cose che Invia ... Maramures Grazie, buona giornata!
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