Dunque, non era vero. Carlo Bonini e Giuliano Foschini hanno
invaso “la Repubblica” con la storia che Giulio Regeni è stato vittima della
sua tutor, “un’attivista”. E di un’università, Cambridge, covo di spie. Ma per
“attivista” dando una professoressa che di Regeni era la supervisor, e stava a
Cambridge. La tutor, una del Cairo, è un’altra, un’arabo-americana, che oggi
rimette sul “Corriere della sera” le cose a posto.
La tutor dei due articolisti, in realtà la supervisor, quella che
ne seguiva a Cambridge il dottorato, ha
preso un anno fa un anno di aspettativa e si rifiuta di parlare con gli
italiani. Tuttora si rifiuta. Anche la tutor, al Cairo, si è rifiutata, fino a
oggi. Si può comprenderle. Parlare con gli italiani è consegnarsi alla gogna.
Al ludibrio, altro che Weinstein.
Inaffidabili sono per prassi i giornalisti. Ma nel caso dell’Italia
anche i giudici. E ora pure i diplomatici. Sono loro che alimentano l’indisponibilità
delle due professoresse a fare i talk-show come un indizio di colpa. L’ambasciatore
a Londra Terracciano, non uno sguarnito primo segretario d’ambasciata.
Ma, poi – la tutor, o la supervisor - attivista di che? Dei
Fratelli Mussulmani, si insinua, nemici dell’attuale regime egiziano. Il che
non è, non può essere, non a una università inglese (ma è americana) del Cairo.
Il governo italiano tenta di spostare le responsabilità, per poter riprendere i
rapporti con Al Sisi, ma il giornale, e i giudici?
Singolare la trepida attesa della madre di Regeni, che la
professoressa sia colpevole, e che Cambridge sia un covo di spie. Voglia di
protagonismo, da ubriacatura post-talk-show – le droghe danno assuefazione? Il
rispetto del figlio vorrebbe che egli sia quello che è stato: una vittima della
polizia segreta di Al Sisi.
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