lunedì 20 novembre 2017

Il mondo com'è (324)

astolfo

Apostoli – Erano ignoranti, si dice. E infidi. Ma furono predicatori, persuasivi, e scrittori. Di cose nuove e quasi da inventare, non codificate.. Alcuni subirono il martirio. E tutti furono santi, quindi qualche merito dovettero averlo. Per non dire che crearono dal nulla un Messia ignoto ai più, crocefisso nella disattenzione, una religione di grande e duraturo successo, e una chiesa. Dapprima per cooptazione, quindi per giudizio loro, no dovevano esserne sprovvisti. E per opera di convinzione, a cominciare da san Paolo, personaggio non da poco.

Impegno – È stato il tema degli intellettuali nel dopoguerra e fino alla caduta del M uro: se impegnarsi in politica, sottinteso per il comunismo. Dibattuto per qualche tempo in Italia, fino a un dibattito celebre fra Moravia e i Sartre in visita a Roma, apostoli, sia lui che Simone de Beauvoir, dell’impegno.
Secondo Sartre “il Partito non ha bisogno di te, sei tu che hai bisogno del Partito”.. Anche se, aggiungeva, “in ultima analisi è la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o guidare la marcia dei popoli”. Ma presto, a fine anni Sessanta, attorno al Sessantotto parigino, confuso, uno per il quale “tutte le attività sono equivalenti e tutte sono votate allo scacco”. Fu peraltro infaticabile organizzatore di pronunciamenti e lotte intellettuali, con manifestazioni, proteste e manifesti. Lo scrittore-poeta greco Vassilikos raccontava nel 1968 che l’anno prima seppe di essere stato incarcerato dai colonnelli greci al potere ad Atene da un appello pubblicato con molte firme in Francia. Lesse l’appello a Roma, mentre prendeva il cappuccino. Telefonò ad alcuni dei firmatari e seppe che Sartre aveva una delega in bianco per lanciare appelli.
Moravia, che nel 1960 contestava Sartre su questo aspetto, sarà poi impegnato e impegnatissimo – nel 1984 fu anche eurodeputato per il Pci.

L’impegno dei compagni di strada fu inventato e organizzato da Willi Münzenberg. Personaggio dimenticato ma nei due decenni tra le due guerre mondiali l’organizzatore di eventi per conto del Comintern, il coordinamento dei partiti comunisti di Mosca.

Tribù Era tribale la società ateniese, alle origini della democrazia. Né la Catalogna è un’eccezione oggi, o le Fiandre in Belgio. Il razzismo è scandaloso. Era scandaloso l’apartheid, o sviluppo separato, in Sud Africa, ma non del tutto – era scandaloso in quanto discriminava. Ma il tribalismo è un fatto. Agli onori ancora nel diritto internazionale – anche nella divisione dei popoli in base a ideologie: due Irlande, due Coree, due Vietnam, due Cine (e due Europe fino a recente, due Germanie). Lo stesso hitlerismo, l’autoaffermazione del popolo tedesco, non è isolato: ogni azione di difesa è aggressiva, e perfino distruttiva.
La partizione per credo religioso e politico, invece che biologica, ha una connotazione diminutiva. Ma è robusta, derivata dalla razionalità puritana: il bene èdiviso dal male. Insomma dalla mentalità del ghetto, estesa al sociale con la divisione in classi.
Il cosmopolitismo non è del resto più naturale del tribalismo, l’assimilazione culturale non migliore della tradizione. La varietà culturale salva la pedagogia, per l’ovvia esigenza di non traumatizzare l’infante e svilupparne le potenzialità. E migliora l’integrazione sociale - i marranos, porci giovani, non sono mai stati sudditi leali - e lo sviluppo economico. L’America ha tenuto in vita, più a lungo, più dettagliato, con danni minori che in qualsiasi altro luogo o epoca, e anzi produttivamente, un sistema di separazione etnica minuta e rigida, tra bianchi e neri, tra anglofoni e latini, germanici, slavi, e tra anglofoni d’Inghilterra e d’Irlanda, tra ebrei orientali, o sefarditi o di Babilonia, e ebrei occidentali, o ashkenaziti o di Gerusalemme. Fatta salva l’eguaglianza dei diritti.

Wahabismo – Verrà dall’Arabia Saudita la “modernizzazione” dell’islam, a opera del giovanissimo principe ereditario, Mohammed bin Salman, 32 anni? Una meteora nella tradizionalissima politica saudita, monopolio per un secolo del fondatore Abdelaziz Ibn Seud e dei suoi figli, o meglio un meteorite. Il principe ha concesso il diritto di guidare l’automobile alle donne, e simultaneamente la cittadinanza a un robot antropomorfico. Ha anche varato un piano da 500 miliardi di dollari per la realizzazione della prima città al mondo “pulita”, al Nord, nell’area desertica con la Giordania e l’Egitto, a energia solare, auto senza conducente, gestione in automatico a intelligenza artificiale.
Mohammed bin Salman è di fatto il governante del paese, poiché il re suo padre è molto in età e ha problemi di salute gravi - con la testa, si dice. Ma è evidentemente in attrito con l’estesissima famiglia regnante, di circa duemila principi – l’evidenza nasce dal fatto che ne arrestati un paio di centinaia, con l’accusa di corruzione. E di più con il suo stesso islam, il wahabismo.  
L’islam praticato e diffuso dall’Arabia Saudita, dove è fiorito nel secondo Settecento, è una dottrina rigorista e tradizionalista pre-greca, che si rifà cioè all’islam anteriore di prima della sua permeabilizzazione da parte della cultura greca, nei secoli IX-X. Con proibizioni radicali che l’islam ortodosso non considera, del caffè e il tabacco, e di ogni culto. Compreso, in anni non recenti, quello di Maometto, che li portò a distruggere la sua tomba a Medina.
È dottrina recente, opera nel primo Settecento di un riformatore dei Banu Tamin, una vasta tribù, Mohammed Abdel-Wahab, un ortodosso ultraconservatore che ebbe subito vasto seguito nella penisola arabica, compreso il Qatar. Molto esclusivo anche: chi non pratica l’islam secondo le sue regole è, sia pure pio mussulmani, un pagano nemico dell’islam. È la matrice del fondamentalismo o radicalismo islamico che infuria da un venticinquennio, e si esercita con più determinazione e vittime in ambito islamico, contro moschee, scuole, mercati. Di formazione wahabita sono i Talebani in Afghanistan, ed era Osama Bin Laden. È forte anche nell’India mussulmana. Ma s’identifica bizzarramente con la dinastia saudita. Coi regni modernizzatori dei figli di Ibn Saud – e finora anche con i loro lussi stravaganti, compreso il gioco d’azzardo.
Il regno si classifica come sunnita wahabita. Dopo la graduale espansione delle tribù wahabite dell’interno contro sufi, sciiti, zaiditi, e altre minoranze delle regioni costiere e urbane alla fine dell’Ottocento. Ma la dinastia regnante, sicuramente sunnita wahabita, si impose quando negli anni 1930 il fondatore, Abdelaziz Ibn Seud, stroncò con centinaia di esecuzioni la Fratellanza Wahabita, l’ala radicale che si espandeva a partire dall’Iraq e dalla Giordani.  Ridando libertà di culto alle minoranze. E soprattutto, all’Est del paese, agli sciiti – di cui invece ora il principe ereditario è il nemico mortale. Nonché ai vari “infedeli” che popolavano il paese per l’industria del petrolio. A Gedda, la capitale diplomatica, e a Dammam, la capitale del petrolio, si dava conto delle celebrazioni festive cristiane oltre che islamiche, c’erano dei cinema pubblici, si davano concerti, le donne potevano mostrarsi anche poco velate.
Tutto è poi cambiato col boom del petrolio, e col khomeinismo. Dopo di allora, nel quasi mezzo secolo successivo, i regnanti si sono ritagliati l’economia del regno, mentre il fondamentalismo wahabita ha invaso il paese, anche le città, in tutti gli aspetti della vita associata: giustizia, scuola, costume. Creando nuove frizioni con  le minoranze, soprattutto con gli sciiti, che ora hanno come riferimento la potenza esterna, e concorrente, dell’Iran. Un pese sonnacchioso di tribù sparse per i suoi deserti, più spesso ancora in tenda, è divenuto rapidamente, in un paio di decenni, uno dei maggiori player internazionali della ricchezza, e patrono e finanziatore dell’espansione islamica in Africa e nel Sud-Est asiatico. Con investimenti, per scuole coraniche e moschee, di molti miliardi di dollari. Dall’Indonesia alla Malesia, e fino a Culver City negli Usa. In parallelo, radicalizzò il dormiente fervore religioso wahabita il khomeinismo. Nel 1984, quattro anni dopo l’avvento di Khomeini, che in Iran aveva debuttato rovesciando lo scià, un movimento analogo agitò l’Arabia Saudita. Militanti sunniti wahabiti presero d’assalto la Grande Moschea della Mecca, il luogo santo per eccellenza dell’islam, e proclamarono un nuovo regime invece del saudita, sotto un Mahdi, un redentore.
Le forze wahabite fedeli alla monarchia contrattaccarono e ripresero la moschea. Ma il contrattacco fu diplomatico più che militare: un accordo per cui il controllo sulle donne (spostamenti, sempre con accompagnatore, e abbigliamento, sempre in nero) veniva passato alla polizia fondamentalista,  e cinema e teatri-concerti venivano chiusi. L’accordo che oggi il principe ereditario sta rovesciando.

astolfo@antiit.eu 

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