Come
Leonardo e il giovane Machiavelli si sono incrociati nei primi anni 1500. In molti
posti e per molti affari, senza mai nemmeno nominarsi. Alla corte di Cesare
Borgia, a Urbino e a Imola, e a Firenze, nei circa due anni che Leonardo vi
trascorse, reduce da Milano, dopo che i francesi – alleati del Borgia – vi
avevano rovescito il suo patron, Ludovico
il Moro. Senza mai nominarsi l’uno con l’altro quasi di proposito, pur essendo
entrambi scrittori e annotatori minuti del giorno per giorno. Tra Leonardo e
Machiavelli l’autore disegna “la conversazione muta della «Camera degli sposi»”
a Mantova: “Due uomini senza dubbio si parlano, ma noi non li sentiamo”.
Su
questo mancato “incontro”, che non può non esserci stato tra le persone, ma non
se ne trova traccia sulla carta, lo storico medievista e moderno francese
Boucheron costruisce un racconto affascinante. Non il solito giallo, come è
d’ordinanza, ma una rappresentazione dal vivo dei due personaggi. Di Leonardo
nella sua aggrovigliata personalità, e del giovane intraprendente, grande
cronachista se non grande diplomatico, Machiavelli. Attorno a quello che
avrebbe dovuto essere e non seppe essere, il creatore di una regno d’Italia.
All’inizio e alle origini del secolo fatale per l’Italia che fu il Cinquecento,
con le “discese” in un primo momento dei francesi, di Carlo VIII e di Luigi
XII. Il Cinquecento, nota anche Boucheron, è il momento in cui l’Italia
abbandona il suo “sogno di potenza”.
Altre
imprese Leonardo e Machiavelli condivisero negli stessi primi anni 1500. Lo scolmatore”
dell’Arno, il primo, nel 1504, impresa fallimentare, malgrado una enorme spesa:
voluto da Machiavelli per portare i ribelli pisani alla resa, e confidato a
Leonardo. E nello stesso anno l’appalto per la “Battaglia d’Anghiari” a Palazzo
Vecchio, altra impresa fallimentare. Qui, finalmente, si ritrova la firma
Machiavelli in calce a un documento di Leonardo, il contratto di affidamento
dell’opera – un evento su cui tra i due c’è palese discordanza: Leonardo nel
cartone preparatorio lo drammatizza, Machiavelli nella “Storia di Firenze” lo
mette in burla.
Ma
altri colegamenti, più sottili e vividi, sono ricavabili. Come il “tutto
vivente” di Leonardo, concezione singolare, che il cap. VII del “Principe”
ripete. Con un’ipotesi verosimile sull’icomprensibile fascino che il Valentino
esercitò sul malizioso Machiavelli: che fu l’unico attore sulla scena, l’unico
protagonista, con cui Machiavelli ebbe scambi diretti. Personali, ripetuti,
distesi, di notte, senza l’ingombro degli affari e dei cortigiani, a Urbino più
volte e a Imola.
Un
Leonardo nuovo, l’esploratore tenace e inquieto della vita - dell’acqua,
l’aria, la luce, le ombre, i mineali, e di ogni essere animato E il Machiavelli
di sempre, operoso, lo scienziato, il primo che abbia osato avventurarvisi,
ribaltando i principi aristotelici, della politica – Boucheron ha la “velocità
machiavelliana”, di scrittura, di concezione, di soluzione. Unospirito analtiico,
incessante, e uno pratico: “Machiavelli travolge la tipologia che Aristotele fa
dei regimi (e che fonda, ancora oggi, la
saggezza politica) perché è l’idea stessa del fondamento che lo orripila.
Descrivere la politica è figurare la battaglia”.
Un
‘altra versione deI fatti, volendo, rispetto a quella ora dimenticata ma a
lungo famosa di Merezkovskij, il romanziere Fine Ottocento amato da Freud, nel
diffusissimo “Leonardo da Vinci”. La vita romanzata dello scrittore russo era
centrata sulle conversazioni e le dispute tra i due grandi toscani alla corte
di CesareBorgia. Lo storico evita il romanzesco, ma non se ne priva: scrivendo
in punta di penna, Boucheron muove i due personaggi come in un racconto di
fiaba, come si addice all’epoca e ai luoghi. Ma con ausilii precisi, dei
poligrafi Leonardo e Machiavelli e dei loro contemporanei. Il giusto, senza
farsene soverchiare, e senza le noiose note di precisioni.
Patrick Boucheron, Léonard et Machiavel, Verdier, pp. 219
€ 7,20
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