Croce si scopre infine
filosofo, a 27anni. Senza volerlo, anzi per caso: “Come una rivelazione di me a
me stesso”. Argomentando che scrivere di storia è una forma d’arte.
La storia (storiografia) va
connessa all’arte, non alla scienza o alla filosofia. Ha bisogno di materiali e
di stumenti, ma si fa buona storia, convincente (“veritiera”), come un
qualsiasi altro manufatto esteticamente apprezzabile. Anzi, in un certo senso è
quella che più agevolmente realizza e spiega il fatto estetico: “La forma
estetica non è, come alcuni credono, qalcosa che abbia valore estetico per sé,
e sia applicabile a certi contenuti sì e a certi altri no, come una vesta
variopinta o un diadema di gemme scintillanti. Essa, direi quasi, è una
proiezione del contenuto”.
Un intervento polemico, in
risposta a un lungo saggio di Pasquale Villari, “La storia è una scienza?”, apparso
a puntate sulla “Nuova Antologia” nella prima metà del 1891, spinge Croce a una
contestazione. Che legge all’Academia Pontaniana il 5 marzo 1893, e poi
pubblica negli “Atti” dell’Accademia stessa. Successivamente dimenticandolo, ma
non del tutto - non nel “Contributo alla critica di me stesso”.
Galasso lo recupera
spiegandolo come una contestazione impulsiva al positivismo di Villari, una
storiografia di cui Croce era stato già aspramente critico. E come una sorta di
illuminazione, al Croce stesso, della riposta passione speculativa. Tutto
avvenne in una notte, racconta Galasso: Croce aveva redatto una risposta
positiva all’interrogativo di Villari, ma “dopo una notte di tormentosa
riflessione, il problema gli apparve in una luce nuova e diversa, tanto che ne
scaturì un testo di senso del tutto opposto a quello ormai pronto in
tipografia, che a quel punto si dovette disfare e sostituire con quello che
venne infine pronunciato all’Accademia Pontaniana di Napoli” qualche giorno
dopo.
Benedetto Croce, La storia ridotta vsotto il concetto
generale dell’arte, Adelphi, pp. 91 € 7
Nessun commento:
Posta un commento