Antisemitismo – Era ordinario nei primi
decenni del Novecento, prima di Hitler, una sorta di critica culturale. Si fa
colpa a Irène Némirovsky, scrittrice eminentemente ebrea, anche se battezzata
all’invasione tedesca, morta a Auschwitz, di notazione antisemite per molti personaggi
e quadri dei romanzi e racconti. Ma lo
stesso è di Otto Weininger, Karl Kraus, Yvan Goll, anche Josef Roth e Canetti,
per restare tra gli ebrei. Lo stesso come di T.S.Eliot e altri intellettuali,
Céline compreso – Pound no, era ossessionato dalle sue teorie del denaro.
Dopo la guerra le stesse tematiche divennero
sensibili. Philip Roth debuttò sul “New Yorker” nel 1959 con un racconto, “Difensore
della fede”, che produsse molte proteste di lettori ebrei, con cancellazione di abbonamenti. Il racconto era stato venduto in precedenza a “Esquire”, che
però ci ripensò, per evitare l’accusa di antisemitismo.
Campana – “L’ultimo dei Germani in
Italia”: così lui stesso definisce se stesso e l’opera, in tedesco, “Die
tragödie des letzten Germanen in Italien”, sotto la dedica “A Guglielmo II
Imperatore dei Germani”, nella copia originale dei “Canti Orfici” che alla
rivista “Lacerba” Ardengo Soffici si
perdette, ai primi del 1913. Campana fu costretto a riscrivere l’opera a
memoria, e nel 1914 la pubblicò con altro frontespizio. La bozza perduta è
riemersa nel 1971, e figura nella riedizione Vallecchi 1973 delle opere curate
nel 1960 da Enrico Falqui – con nuove presentazioni di Mario Luzi, che ne
accentua la “mitologia barbarica”, e note di Marco Ramat – senza spiegare il
cambiamento. Di cui poi si farà la storia nell’edizione Bur del 1989, a cura da
Fiorenza Ceragioli.
Capessa – Stendhal ha in “Une
position sociale”, l’abbozzo di romanzo “romano”, una protagonista che dice
“ambasciatrice” a preferenza di duchessa, anche se solo in funzione di moglie dell’ambasciatore
a Roma. E la dice anche “capessa”, chefesse.
Mme de Vaussaye è bella, naturalmente,
ma soprattutto “non era più la donna ambiziosa di successo, un’altra Mme de Staël,
altrettanto ambiziosa di conquiste, onorata dai triplici successi dell’eloquenza,
dell’ambizione e forse dell’amore”. Una post-femminista.
Diritti – “La lettura”, accedendo ai borderò storici della rivista “Esquire”,
fa vedere come si può arricchire in America scrivendo, oppure no. Truman Capote
veniva pagato nel 1975 per un racconto 80 mila dollari “(380 mila attuali)”. E
Philip Roth 100. Due scrittori a differenti stadi di carriera, e un racconto,
quello di Roth, che era una ristampa. Ma si può essere scrittoti in America
come Messi a Barcellona, o solo Bonucci al Milan.
Italiano – L’aplomb italiano, il
controllo di sé e la capacità di dissimulazione, meravigliava Stendhal. Che il
suo personaggio di “Une position sociale” porta a riflettere: “Che uomini! Come
fanno a non essere i padroni in casa loro e altrove?”
Leopardi e Stendhal – Quando Stendhal, abitando nell’albergo di piazza della Minerva, scrisse
“Une position sociale”, l’abbozzo di romanzo “romano”, era poco lontano da palazzo
Antici-Mattei alle Botteghe Oscure, dove Leopardi aveva soggiornato dieci anni
prima nel suo primo viaggio fuori casa. Entrambi in qualche modo segnati da
Niebuhr, l’economista prussiano che fu ambasciatore a Roma per quasi dieci anni
e storico di Roma antica. Leopardi ammirato, in senso attivo e passivo – invitato
spesso dal’ambasciatore e complimentato. Stendhal infastidito. Ne fa cenno
grottesco nel suo abbozzo di romanzo romano, “Une position sociale”, 1832: “L’argomento
alla moda” a Roma dice quell’anno “la disputa che un tedesco, chiamato Niebuhr,
faceva allora al vecchio storico Tito-Livio” – allora è impreciso, Nieburh erà
già morto da almeno un anno.
Monteverdi – “Lo Shakespeare della musica”. L’accostamento è del maestro
Gardiner, che per Monteverdi ha una speciale passione – debuttò nel 1964, quando
era studente a Cambridge, organizzando un’esecuzione dei “Vespri”. A ottobre
Gardiner ha aperto le celebrazioni per i 450 anni della nascita di Monteverdi
con l’esecuzione delle tre opere, “Orfeo”, “Il ritorno di Ulisse” e “L’incoronazione
di Poppea”.
Ma con Gardner sono molti musicologi a Londra e New York. Non
senza argomenti. Il miscuglio di alto e basso. E di serio e faceto. La capacità
di dare consistenza a soggetti e temi noti e scontati. E soprattutto di
costruire personalità. Fuori entrambi dagli schemi preconcetti, della legge e
l’ordine – il destino, il dovere. In “Poppea” la virtù è punita, la malvagità
premiata. Il ritorno di Ulisse a Itaca è una fuga dal destino, dalla storia
fatale. Con un titolo di merito in più per Monteverdi, dato che l’opera era
stata appena inventata, solo un decennio prima dell’“Orfeo”, che è del 1607.
La ricorrenza della nascita è più festeggiata fuori che in Italia.
Gardiner ha fatto il pieno a ottobre alla Alice Tully Hall, l’auditorium del
Lincoln Center.
Petrarca – “Fervente archeologo” lo dice Spengler in apertura del “Tramonto
del’Occidente”. Un fatto non trascurabile – di codici più che di reperti
lapidei.
Roma – Ispira”eroine” tormentate dallo spirito religioso, almeno tra
gli autori francesi. La duchessa de Vaussaye, la bella tentatrice del
romanzo romano incompiuto di Stendhal. Poi Mme Gervaisis del romanzo omonimo
dei Goncourt.
Era
detta città di uomini e di mendicanti – o di puttane e mendicanti. Per vari
motivi: celibato, pellegrini, chiese e conventi innumerevoli. I mendicanti sono sempre qui, ce n’è uno ogni pochi metri, in tutti i quartieri, da tutta Europa e ora anche dall’Africa. Ma erano un tempo mendicanti di
migliore scuola degli spagnoli, a giudizio di un viaggiatore iberico del Seicento,
più insistenti e scaltri. Arte si vede decaduta col tempo: un abate Baudin
scoperto da Victor Del Litto, che fu nella Civitavecchia di Stendhal nel 1838,
scrive meravigliato di “specie di pastori coperti di pelli di bestie, e di
mendicanti in stracci, ma in stracci di stracci”.
Stendhal – Fu precocissimo in
politica. A dieci anni “uccide” il padre, aborre la religione, inneggia
all’esecuzione di Luigi XVI. A 17 anni, provinciale a Parigi col disegno d’iscriversi
all’École polytechnique, s’impiega al ministero della Difesa, come scrivano. E
subito dopo s’ingaggia nell’esercito, seppure nei servizi non combattenti di
commissariato, sbancando con la Grande Armée a Milano, l’esperienza della vita.
A 23 anni è aggiunto di commissariato, e partecipa alla guerra in Germania,
Quindi, tre anni più tardi, a quella in A ustria. Nel 1810, a 27 anni, è
uditore al Consiglio di Stato. A 29 è in Russia, responsabile della corrispondenza
di Napoleone.
Lo scrittore “dei prestiti e il non
finito”.
Uno di sinistra, anche radicale, che poi
è stato imbricato per le sue storie a destra – “È il solo colpo di stato
riuscito alla destra dopo Napoleone III, la presa di Stendhal”, Charles
Dantzig. Non fece in tempo a dirsi, o non dirsi, giacobino, ma fu sempre, dopo
essere stato fervente napoleonico, un liberale, del genere allora in voga, riformista. I suoi personaggi, anche classici e nobili, si rivoltano contro ogni
convenzione, a partire dalla famiglia. In “Une position sociale”, romanzo
abbozzato a Roma, ha “gli imbecilli dell’estrema destra”. E si definisce, nelle vesti del protagonista, un “liberale”, nel senso oggi
americano, di radicale: uno, spiega, che voleva che la monarchia orleanista
applicasse la “rivoluzione” del luglio 1830. Ripetutamente fa la critica della
borghesia in termini novecenteschi,
post-marxisti. Di Mme Vaussaye, il suo idolo in “Une position sociale”, nota che
sarebbe stata celebre per “le follie fatte
e l’amore”se “non fosse nata in un’epoca in cui gli interessi di denaro forzano
la sua classe a rappresentare la commedia della morale”. Ma contro il
terrorismo, si direbbe oggi: nello stesso abbozzo di romanzo romano ha un
principe Savelli “capo della sicurezza dei carbonari”, che, “come tutti i
carbonari, uomini chimerici e appassionati”, è “abbastanza noioso”.
Amore è probabilmente la parola da lui
più usata – sicuramente lo è il tema, le sue storie sono d’amore. Perché ne fu
privo? Di sé dice, nel lungo frammento “Une position sociale”, dove si ritrae
come Roizand: “Se in politica, nell’arte militare, nelle cose serie, Roizand ci
vedeva chiaro e lontano, è perché ci metteva poco interesse. Niente di
passionale. Ma in ognii storia in cui una donna che gli sembrava bene era
parte, il suo cuore impazziva come a diciotto anni”.
C’è bene uno Stendhal “romano”, oltre
che l’autocertificato “Henri Beyle milanese”. A Roma passò forse più tempo che
a Milano. E anche se non vi ebbe grandi storie – non se le narrò – come a
Milano, ne ricavò molti racconti. Le “Cronache italiane” e molti dei testi
narrativi incompiuti. Non c‘è un Foscolo Di Benedetto che lo certifichi, ma
questa è un’altra storia – Roma è sempre “generone, anche in filologia, non si
cura molto
Uno scrittore per scrittori. Della
felicità del romanzare, soprattutto la vita propria, punto o poco memorabile
nella realtà, nei romanzi, sia nella “Certosa” che ne “Il rosso e il nero”.E senza
pensieri attraenti, a un secondo sguardo, non della sostanza di un Tostòj o un Dostoevskij,
né dell’appropriatezza di Balzac o di Flaubert. Meglio - rapido, quasi da “giallista”
– nei racconti pubblicati, specie in quelli “italiani”. Il suo esprit è al punto, sapido, di battute
“fulminanti”, da conversatore – salottiero, arguto.
Vittoriani - Alla lista canonica di Lytton
Strachey P.D.James aggiunge nella sua breve storia del giallo inglese, “A
proposito del giallo”, Conan Doyle e Chesterston
letterautore@antiit.eu
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