domenica 19 novembre 2017

L’impero assiro, il primo, si celebra in morte

“La preistoria dell’imperialismo” è il sottotitolo, degli Assiri come inventori-promotori degli strumenti -  concettuali, legali, militari degli imperi futuri. L’espansione, il dominio, lo sfruttamento, o comunque un vantaggio comparato, e l’annullamento (assoggettamento, colpevolizzazione, anche distruzione) del nemico, quello che fa l’imperailismo, emerge per la prima volta, documentalmente, nella storia dell’antica Assiria. L’imperialismo è più vecchio naturalmente, per esempio in Cina, e probabilmente va con la storia. Liverani ne tratta da specialista emerito delle civiltà mesopotamiche e in specie degli Assiri, con impegno sul dato.
Ma gli Assiri vengono in argomento oggi piuttosto per la loro fine, voluta e insistita, programmata, come civiltà e perfino come popolo – un mondo “tagliato”, più che una lingua o un’esperienza. Gli Assiri come gli Armeni, altra comunità cristiana del Medio Oriente. A opera dei curdi, che li hanno letteralmente massacrati. L’ultimo europeo che li ha avvistati è stato probabilmente Viktor Sklovskij, ma è già quasi un secolo. Pochi ne sopravvivono in Iraq, come caldei.
La storia era stata lunga. L’impero ebbe 116 re, più di quello romano, e viene per questo divisa in tre parti, paleoassira, medioassira e neoassira, ma finisce nel 612. Avanti Cristo. Resterà nella Bibbia, per avere conquistato il regno di Israele. Nonché poi - con l’eversore Nabuccodonosor II, re di Babilonia - Gerusalemme e il regno di Giuda. Avevano la passione delle biblioteche, con centinaia di migliaia di esemplari. La biblioteca di Assurbanipal a Ninive ebbe per l’antichità il valore mitico della biblioteca di Alessandria oggi. Ma erano dei duri. Nei palazzi di Khorsabad, Babilonia, Susa scolpivano scene di guerra, sfilate di prigionieri, corpi fatti a pezzi, città distrutte. Il mondo di Assur, riemerso a metà Ottocento, fu innanzitutto una civiltà militare. A Tell Asmar, non lontano da Bagdad, è immortalato un gigante tagliatore di teste. Erano uomini che non sorridevano. E c’è questa coincidenza, forse fortuita: gli animali gli assiri raffiguravano a cinque zampe, come il cane dell’Eni – o il cane ne ha sei? Il primo impero semita si allargò a Babilonia, Urartu, Fenicia, Palestina, Egitto, dove Assurbanipal conquistò nel 643 Tebe. E fu la fine: medi e babilonesi invasero l’Assiria e distrussero Ninive. Come l’Europa, l’Assiria correva troppo.
Poi i curdi li cacciarono. Sklovskij li ritrova quando non ebbero altra scelta che mettersi coi bolscevichi. Dimenticati dai turchi tra i monti attorno al lago di Urmia, in lite coi curdi, seppure muti, appoggiati dagli americani, oltre che dai bolscevichi, e armati di vecchie carabine senza otturatore. Così “marciano le truppe locali degli assiri” davanti al giovane commissario politico russo. Il lago, “più salato delle lacrime”, è per questo motivo privo di pesci, ma è allietato dai fenicotteri, che fanno il cielo rosato quando volano. Attorno “i torrenti sfrigolano sulle pietre, come fornelli a petrolio, di notte splende una pazza luna”, tra “le ombre degli archi scoscesi di ponti distrutti mille anni fa”.
Gli ultimi assiri si vedono a Persepoli: tributari, soldati, funzionari ascendono i bassorilievi dello scalone che la follia di Alessandro non riuscì a distruggere. Altri, dispersi tra l’Europa e le Americhe, si riconoscono, simili ai copti che si negano, dai nomi, i suoni, le fisionomie, e grazie ai possenti archivi Usa dello stato civile. Si danno nomi diversi, siriaci, aramaici, caldei, othoraici, e sono di religione ortodossa, nestoriani – questo il loro nome nell’impero ottomano - o giacobiti. Oppure cattolica: caldei, melchiti, maroniti. Possono essere pure protestanti, si sono aggiornati. E si organizzano in tre chiese, Madinha, Siriana e Caldea, oltre alle piccole chiese riformate. Ma non sono padroni neppure dove sono più numerosi, attorno a Ninive.
Per ultimo i turchi li cacciarono dal ventilato altopiano. Verso le paludi malariche dell’Eufrate, dove furono di nuovo massacrati nel 1933, dal capo iracheno Bakr Sedqi, e verso le sabbie roventi della Siria e della penisola arabica. Nell’Alta Mesopotamia se ne contavano, alla vigilia del 1914, oltre un milione. Uno dei pochi sopravvissuti nella Bassa Mesopotamia aveva il volto buono di Saddam, che lo mandava nelle capitali a parlare, il ministro degli Esteri Tareq Aziz.
Mario Liverani, Assiria, Laterza, pp. XVIII-384, ril., ill. € 22

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