Una vastissima rivisitazione
della vecchiaia. Da Omero, “pure gli dei si vergognano di essere vecchi”, a
Kant, e al “giovane Hegel” immancabile, via “Roman de la Rose”, che l’amore in
vecchiaia espunge dall’amore cortese. Ma senza rivelazioni, e senza consolazioni. Contratta anzi al limite dell’incomprensibile.
Con riferimenti unicamente tedeschi, più Arisotele, e un Flaubert. Piena di
ambivalenze, di assiomi contradittori: “L’individuo vive quel tanto che è
necessario per morire”, “L’idea di realtà è l’idea di qualcosa che si distrugge
continuamente” – cioè si crea. Superomista, come è di tutti i Grandi
Ateisti: “La specie non è niente, alcuni
uomini sono tutto”.
Illuminante a tratti, per inciso:
“Il colpo più duro che si possa infliggere all’ontologia è la misura dell’età.
È come se lo stesso «essere» ne uscisse misurato. Un’opera come «Die Weltalter»
è blasfema” – Schelling, “Le età del mondo”, è molto citato, benché l’opera sia
incompiuta, e variamente riscritta. Anche la premessa sembra originale: “Non si
invecchia, si è vecchi di colpo. Non si «diviene» vecchi. D’un tratto si è
vecchi. L’immobilità del tempo penetra
nell’individuo tutta in una volta. La vecchiaia viene dal di fuori”.
Un saggio sulla conoscenza
tarda – hiatus – che è una relazione
tarda, d’amore. L’“amore circondato di mistero”, quello al di fuori del matrimonio.
Una celebrazione, ogni poche pagine, di un amore senile – il vero, unico, etc.,
già sentito. Del filosofo “Della misantropia”. Che all’amante propone, come
tutto, il niente: “L’amore raggiunge il suo apice allorquando è ‘sterile’”. E s’intende
l’ostilità alla procreazione, l’esser nati essendo “la malattia più perversa,
un flagello più iniquo della peste”. Anche come dichiarazione di amore, lugubre.
Manlio Sgalambro, Trattato dell’età, Adelphi, pp. 130 € 8
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