martedì 7 novembre 2017

Quando il filosofo s’innamora da vecchio

Una vastissima rivisitazione della vecchiaia. Da Omero, “pure gli dei si vergognano di essere vecchi”, a Kant, e al “giovane Hegel” immancabile, via “Roman de la Rose”, che l’amore in vecchiaia espunge dall’amore cortese. Ma senza rivelazioni, e senza consolazioni. Contratta anzi al limite dell’incomprensibile. Con riferimenti unicamente tedeschi, più Arisotele, e un Flaubert. Piena di ambivalenze, di assiomi contradittori: “L’individuo vive quel tanto che è necessario per morire”, “L’idea di realtà è l’idea di qualcosa che si distrugge continuamente” – cioè si crea. Superomista, come è di tutti i Grandi Ateisti: “La specie non è niente, alcuni uomini sono tutto”.
Illuminante a tratti, per inciso: “Il colpo più duro che si possa infliggere all’ontologia è la misura dell’età. È come se lo stesso «essere» ne uscisse misurato. Un’opera come «Die Weltalter» è blasfema” – Schelling, “Le età del mondo”, è molto citato, benché l’opera sia incompiuta, e variamente riscritta. Anche la premessa sembra originale: “Non si invecchia, si è vecchi di colpo. Non si «diviene» vecchi. D’un tratto si è vecchi.  L’immobilità del tempo penetra nell’individuo tutta in una volta. La vecchiaia viene dal di fuori”.
Un saggio sulla conoscenza tarda – hiatus – che è una relazione tarda, d’amore. L’“amore circondato di mistero”, quello al di fuori del matrimonio. Una celebrazione, ogni poche pagine, di un amore senile – il vero, unico, etc., già sentito. Del filosofo “Della misantropia”. Che all’amante propone, come tutto, il niente: “L’amore raggiunge il suo apice allorquando è ‘sterile’”. E s’intende l’ostilità alla procreazione, l’esser nati essendo “la malattia più perversa, un flagello più iniquo della peste”. Anche come dichiarazione di amore, lugubre.
Manlio Sgalambro, Trattato dell’età, Adelphi, pp. 130 € 8

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