Robinson fa naufragio un
secolo dopo quello di Defoe. Si dispera e poi si organizza: costruisce una villa
castello, con fortificazioni e monumenti, promulga una costituzione e un codice
penale, avvia il censimento delle tartarughe, inaugura un ponte di liane su un
burrone, “governatore, generale, pontefice”. Costruisce, legifera, semina,
addomestica, insomma la vita di tutti ogni giorno. Confrontandosi con la
Bibbia, spesso – per un po’ pure con Benjamin Franklin. Ha anche un’intensa
attività sessuale.
“Desolazione”, il nome che ha
dato all’isola dove la tempesta l’ha sbattuto, ribattezza Speranza, “nome
melodioso e pieno di sole che evocava il ricordo assai profano di una giovane
italiana” conosciuta all’università di York. Con Speranza, con l’isola, farà
l’amore, dentro l’alveolo di una caverna. E poi lo fa spesso, con una quillaja
abbattuta dal vento e con la madre terra, finché non s’innamora di una cumba
rosa, che impregnata fiorisce, e presto s’infioretta di mandragore.
Un racconto costruito, di un
processo di disumanizzazione e di riumanizazioe. Della riscoperta delle cose
semplici. Noi siamo gli altri. La faccia deperisce senza scambio, visivo,
verbale. Si perde il senso, nonché la nozione, del tempo nell’isolamento. Il
linguaggio deperisce. La riscoperta, insomma, che l’uomo è un animale sociale. E
viceversa, quando nell’isola sbarca Venerdì, un araucano del Cile che riesce a
sfuggire alla condanna a morte della tribù, di cui Robinson si fa lo schiavo:
l’insipienza, la ribellione, la gelosia (proprio, la gelosia d’amore), la
sopraffazione. L’imprevedibile della “natura”. E l’evoluzione – qui accelerata,
materiale oltre che spirituale: Venerdì acquista la libertà, la parola, Robinson
impara a non fare nulla, e a camminare sulle mani.
Con effetti speciali. La
moltiplicazione dei suoni come effetto del silenzio – la sensibilità ai suoni,
anche minimi. Il ridicolo del profondismo – che però era già in Savinio, più
spiritoso. Il denaro “spirituale” – che era di Schacht, il banchiere di Hitler,
che Tournier sicuramente non ignora. Al centro, una tipica agudeza di filosofia tedesca: “Il soggetto è un oggetto
squalificato”. È su questo asse che ruota il racconto. Riqualificare il
soggetto. Si ragiona sull’essere. E sull’“e-sistere”, secondo la lezione
tedesca.
Un racconto filosofico, nella
tradizione settecentesca francese. Ricco di molte terminologie settoriali,
specie di mare e ittiche, ma anche silvestri e zootecniche, e naturalistiche,
precisine. Ma di filosofia tedesca, accigliata più che umorale. Tournier è tedesco
di formazione e usi come è francese di nascita e lingua, formato alla filosofia
tedesca nelle università tedesche subito alla fine della guerra, senza odi né
rimostranze. Di Defoe resta il nome – e probabilmente la noia dell’originale,
se integrale. Un esercizio di virtuosismo, piuttosto freddo. Piaceva a
Calvino - che però poi non ne ha scritto (ne aveva scritto ma non ha ripreso l’articolo nell’antologia dei propri scritti letterari da lui stesso curata, “Una pietra sopra”: nomina Tournier e il suo Robinson incidentalmente, nel contributo su “Filosofia e Letteratura” per una serie del “Times Literary Supplement” intitolata “Crosscurrents”)..
Fa cinquant’anni la riscrittura filosofica del “Robinson” di Defoe a opera di Tournier, che all’uscita fu subito un classico, analizzato e popolarizzato da Calvino, Deleueze, Genette, Colin Davis tra gli altri. Ma non se ne parla – la Francia solitamente non trascura i suoi autori. È in effetti più combinatorio (ragionato, costruito) che narrato, come lo presentava Calvino, che subito lo fece tradurre: “Una appassionante avventura in cui non vengono meno gli elementi di suspense, di esotismo, di ignoto”.
Fa cinquant’anni la riscrittura filosofica del “Robinson” di Defoe a opera di Tournier, che all’uscita fu subito un classico, analizzato e popolarizzato da Calvino, Deleueze, Genette, Colin Davis tra gli altri. Ma non se ne parla – la Francia solitamente non trascura i suoi autori. È in effetti più combinatorio (ragionato, costruito) che narrato, come lo presentava Calvino, che subito lo fece tradurre: “Una appassionante avventura in cui non vengono meno gli elementi di suspense, di esotismo, di ignoto”.
Qualche inconguenza in tanta
perfezione non lo salva. L’acciarino che si accende al primo colpo dopo il naufragio.
Quaranta tonnellate di polvere da sparo in grandi botti scaricate con la mano
sinistra da Robinson fino al centro dell’isola. Le avventure straordinarie di
Venerdì, il selvaggio.
Si ripubblica con la vecchia traduzione di Chiara Lusignoli, forse più precisa dell’originale, e una nuova introduzione di Giuseppe Montesano. A volte Tournier sembra
divertirsi - al successo inatteso, dirà che ha voluto un “Robinson” rovesciato, terzomondista, e per questo lo ha intitolato “Venerdì”. Più tardi diverrà narratore affabile, qui racconta molto per se
stesso, con un vocabolario ricercato, situazioni che forse lui, almeno,
avranno dilettato.
Michel Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico,
Einaudi, pp. X VIII-253 € 19
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