martedì 21 novembre 2017

Robinson fa l’amore con la terra

Robinson fa naufragio un secolo dopo quello di Defoe. Si dispera e poi si organizza: costruisce una villa castello, con fortificazioni e monumenti, promulga una costituzione e un codice penale, avvia il censimento delle tartarughe, inaugura un ponte di liane su un burrone, “governatore, generale, pontefice”. Costruisce, legifera, semina, addomestica, insomma la vita di tutti ogni giorno. Confrontandosi con la Bibbia, spesso – per un po’ pure con Benjamin Franklin. Ha anche un’intensa attività sessuale.
“Desolazione”, il nome che ha dato all’isola dove la tempesta l’ha sbattuto, ribattezza Speranza, “nome melodioso e pieno di sole che evocava il ricordo assai profano di una giovane italiana” conosciuta all’università di York. Con Speranza, con l’isola, farà l’amore, dentro l’alveolo di una caverna. E poi lo fa spesso, con una quillaja abbattuta dal vento e con la madre terra, finché non s’innamora di una cumba rosa, che impregnata fiorisce, e presto s’infioretta di mandragore.
Un racconto costruito, di un processo di disumanizzazione e di riumanizazioe. Della riscoperta delle cose semplici. Noi siamo gli altri. La faccia deperisce senza scambio, visivo, verbale. Si perde il senso, nonché la nozione, del tempo nell’isolamento. Il linguaggio deperisce. La riscoperta, insomma, che l’uomo è un animale sociale. E viceversa, quando nell’isola sbarca Venerdì, un araucano del Cile che riesce a sfuggire alla condanna a morte della tribù, di cui Robinson si fa lo schiavo: l’insipienza, la ribellione, la gelosia (proprio, la gelosia d’amore), la sopraffazione. L’imprevedibile della “natura”. E l’evoluzione – qui accelerata, materiale oltre che spirituale: Venerdì acquista la libertà, la parola, Robinson impara a non fare nulla, e a camminare sulle mani.
Con effetti speciali. La moltiplicazione dei suoni come effetto del silenzio – la sensibilità ai suoni, anche minimi. Il ridicolo del profondismo – che però era già in Savinio, più spiritoso. Il denaro “spirituale” – che era di Schacht, il banchiere di Hitler, che Tournier sicuramente non ignora. Al centro, una tipica agudeza di filosofia tedesca: “Il soggetto è un oggetto squalificato”. È su questo asse che ruota il racconto. Riqualificare il soggetto. Si ragiona sull’essere. E sull’e-sistere”, secondo la lezione tedesca.
Un racconto filosofico, nella tradizione settecentesca francese. Ricco di molte terminologie settoriali, specie di mare e ittiche, ma anche silvestri e zootecniche, e naturalistiche, precisine. Ma di filosofia tedesca, accigliata più che umorale. Tournier è tedesco di formazione e usi come è francese di nascita e lingua, formato alla filosofia tedesca nelle università tedesche subito alla fine della guerra, senza odi né rimostranze. Di Defoe resta il nome – e probabilmente la noia dell’originale, se integrale. Un esercizio di virtuosismo, piuttosto freddo. Piaceva a Calvino - che però poi non ne ha scritto (ne aveva scritto ma non ha ripreso larticolo nellantologia dei propri scritti letterari da lui stesso curata, Una pietra sopra”: nomina Tournier e il suo Robinson incidentalmente, nel contributo su Filosofia e Letteratura per una serie del Times Literary Supplement intitolata Crosscurrents)..
Fa cinquant’anni la riscrittura filosofica del “Robinson” di Defoe a opera di Tournier, che all’uscita fu subito un classico, analizzato e popolarizzato da Calvino, Deleueze, Genette, Colin Davis tra gli altri. Ma non se ne parla – la Francia solitamente non trascura i suoi autori. È in effetti più combinatorio (ragionato, costruito) che narrato, come lo presentava Calvino, che subito lo fece tradurre: “Una appassionante avventura in cui non vengono meno gli elementi di suspense, di esotismo, di ignoto”.
Qualche inconguenza in tanta perfezione non lo salva. L’acciarino che si accende al primo colpo dopo il naufragio. Quaranta tonnellate di polvere da sparo in grandi botti scaricate con la mano sinistra da Robinson fino al centro dell’isola. Le avventure straordinarie di Venerdì, il selvaggio.
Si ripubblica con la vecchia traduzione di Chiara Lusignoli, forse più precisa delloriginale, e una nuova introduzione di Giuseppe Montesano. A volte Tournier sembra divertirsi - al successo inatteso, dirà che ha voluto un Robinson rovesciato, terzomondista, e per questo lo ha intitolato Venerdì. Più tardi diverrà narratore affabile, qui racconta molto per se stesso, con un vocabolario ricercato, situazioni che forse lui, almeno, avranno dilettato.
Michel Tournier, Venerdì o il limbo del Pacifico, Einaudi, pp. X VIII-253 € 19


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