America – Subisce da mezzo
secolo ormai, dal Vietnam, rovesci e violenze, molte auto inflitte. Senza più
l’innocenza, ma aggrappata persiste al dominio dell’immagine, essendo in
segreto paese d’improsatori. Che ama la morte all’evidenza, nel vitalismo -
qualcuno si tiene in salotto la Porsche insanguinata nella quale James Dean
morì, che ha rubato al deposito giudiziario.
Anima - Le anime sono
nella Bibbia, che dopo morte le considera esistenti ma inerti. Dio non se ne
curava. Renard, scrittore non eccelso, ne ammette poche in paradiso: “È ammissibile”,
di-ce, “che a un’anima di qualità inferiore sia concessa l’immortalità?”
Essere – È ambiguo.
Conrad censisce una ambigua “disponibilità a essere ma anche a non essere”. C’è
per questo un dovere di essere, dichiararsi, nominarsi – all’anagrafe, in
conversazione e al confessionale?
Eterno Femminino – È nozione di
Goethe legata alla sua opera poetica, ala Margherita del “Faust”, ma si senso metafisico,
e anche storico. È la forza interna all’universo, che lo forma e lo regge.
Dell’universo goethiano, senza colpa e quindi senza redenzione senza il bisogno del pentimento. Ma con
errori. O amore spirituale soprasensibile e ultraterreno, calato nel principio
della femminilità. Della procreazione-creazione – amore, Liebe, è del resto femminile.
Hitler
-
“La cultura di Hitler non importa”, diceva Heidegger a Jaspers, “poiché ha
bellissime mani”. Ma per trovare bello Hitler la cultura importa molto.
Islam – È forte per
l’assenza del peccato, del male. O non ne è minato? È consolatore, in ogni circostanza,
anche la più abietta, ma non è critico: è una debolezza o una forza?
Le
sue strutture sociali e politiche, che a ogni criterio si direbbero obsolete e
deboli, sono invece stabili, per essere un modo di vita consono a una escatologia
non drammatica, non traumatica. Si è innestato su una società nomadica, e
quindi tribale, e quindi agitata da continue lotte, che si è presto ammansita –
o trova conveniente farlo – in questa non più concorrenziale metamorfosi
comunitaria. Fino all’abulia, o accettazione passiva, che si rimprovera
(rimproverava) politicamente al mondo islamico.
Il
male l’islam ipostatizza e proietta all’esterno della comunità dei redenti. Ma
solo nel mondo arabo (anche berbero), ancora estremamente competitivo di suo,
come è di ogni civiltà nomade.
Morte – È infettiva. Chi se ne va si porta via un pezzo, di voglia, d’impegno.
Può fare di ognuno un eletto, anche della
vita più riposta, nelle opere, nel ricordo.
C’è nella morte un aspetto buono: ognuno
riprende la compostezza, non più sopraffatto dalle banalità della vita, nei
suoi aspetti felici e beneaugurati, che può invocare. È questa l’essenza degli
angeli, per i quali la vita non è che accidente.
Usa rappresentarla grifagna, per la
cattiveria, ma è giovane - anche se ha una lunga storia, eterna: viene sempre
troppo presto.
È, anche, una sfida: si sfida la morte, si
corrono i pericoli, più o meno avventatamente. Ha fascino.
È nota l’eccitazione erotica che i
partenti in guerra, e cioè incontro alla morte, hanno sempre suscitato.
Il dattilo, una lunga due brevi, tà-ta-ta,
tà-ta-ta, Schubert, che lo praticava, diceva “ritmo dela morte”.
Kant ne fa l’argomento principe contro lo
stoicismo, la dottrina del suicidio: ““la forza umana che non teme la morte è
una ra-gione di più per non abbattere un essere dotato d’una potenza così
grande”.
Non
siamo che fugaci combinazioni, dell’assoluto se si vuole ma non di necessità:
solo la morte è infaticabile e certa, lo stesso istinto a procreare si stanca.
“Nella paura della morte
c’è qualcosa che fa pensare a un senso di colpa: con essa si manifesta forse la
vendetta della vita non abbastanza amata. La morte è un pregiudizio” - Lou Salomé,
che di Freud fu intima. Può essere: parlano di morte i preti e le beghine,
astinenti.
Dio
ha creato l’eternità, il tempo è degli orologiai. L’attesa, o paura, della
morte è parte della storia degli orologiai – la nostra.
“La morte è la sorte comune degli
uomini”, direbbe Montaigne. Ma il “muore giovane chi è caro agli dei” sarà
stata la peggiore bestemmia di Leopardi, o Menandro. In un senso è vero, si
muore sempre giovani, e tuttavia la premorte di chi abbiamo visto crescere o
sbocciare è violenza aggravata e un insulto. Anche se la morte una qualità
sempre ce l’ha: fissa le cose. Per il bene e per il male. Dà ai fatti e alle
persone uno spessore, seppure nell’ambiguità tra vero e falso: l’amante morta,
per esempio, è amante per sempre. E parla, eccome, ha l’eloquenza del silenzio,
di “colui che parla senza dire nulla” che Chagall celebra. L’eternità sarà
questo susseguirsi di baluginii.
Lo
stesso Montaigne potrebbe peraltro essersi chiesto “che vuol dire che in guerra
il viso della morte, che lo vediamo in noi oppure in altri, ci sembra senza
paragone meno spaventoso che al chiuso delle case”. Ci sono morti che danno energia,
rinnovata voglia di vivere. Bisogna essere stati per poter morire, aver
lasciato una traccia. La vita è piena di senso in quanto è un susseguirsi di
sparizioni e superamenti. Anche la verità, per quante difese uno metta in campo
per farsene scudo. Perché subentra la memoria, dove le passioni sedimentano, la
scena è chiara. Ognuno lascia una traccia, sia pure un grano di polvere. Ed è
pure vero che si muore più volte nella vita, prima dell’ultima, certo, quando
non si rinasce: si muore e si nasce a ogni istante.
Lo spiega Orienzio nel repertorio di
Gourmont: “La nostra fine non ammette fine, la morte, che ci fa morire, muore
perennemente. Per l’eterno moto l’uomo vivrà in perpetuo”.
Usa da qualche tempo la morte quale artificio rivoluzionario, più morti più
purezza. In Occidente come in Oriente, in questo uniti nella lotta. Nelle
specie - meglio ancora - del sacrificio di sé, dell’immolazione. Argomento
folle. Non fosse una furbata, della cattiva politica.
L’“Essere-per-la-morte” di Heidegger è la parte ermetica del nazismo, la sua verità. E l’Umwälzung, la
svolta, parola chiave di Heidegger e Hitler.
Silenzio – È una forma
della conoscenza. È silenzio pure tacere per non dover dire.
“Il silenzio è il sonno che nutre la ragione”, dice Bacone,
ma anche: “Il silenzio è la virtù dei folli”. È l’“ascolto a distanza” che, secondo il maestro
Furtwängler, fa grande la “musica tedesca”. Che al solito non significa nulla,
a parte l’esistenza di una musica, chissà, “tedesca”, ma sapere da lontano in
effetti si può e fa bene.
zeulig@antiit.eu
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