giovedì 23 novembre 2017

Secondi pensieri (327)

zeulig

America – Subisce da mezzo secolo ormai, dal Vietnam, rovesci e violenze, molte auto inflitte. Senza più l’innocenza, ma aggrappata persiste al dominio dell’immagine, essendo in segreto paese d’improsatori. Che ama la morte all’evidenza, nel vitalismo - qualcuno si tiene in salotto la Porsche insanguinata nella quale James Dean morì, che ha rubato al deposito giudiziario.

Anima - Le anime sono nella Bibbia, che dopo morte le considera esistenti ma inerti. Dio non se ne curava. Renard, scrittore non eccelso, ne ammette poche in paradiso: “È ammissibile”, di-ce, “che a un’anima di qualità inferiore sia concessa l’immortalità?”

Essere – È ambiguo. Conrad censisce una ambigua “disponibilità a essere ma anche a non essere”. C’è per questo un dovere di essere, dichiararsi, nominarsi – all’anagrafe, in conversazione e al confessionale?

Eterno Femminino – È nozione di Goethe legata alla sua opera poetica, ala Margherita del “Faust”, ma si senso metafisico, e anche storico. È la forza interna all’universo, che lo forma e lo regge. Dell’universo goethiano, senza colpa e quindi senza redenzione  senza il bisogno del pentimento. Ma con errori. O amore spirituale soprasensibile e ultraterreno, calato nel principio della femminilità. Della procreazione-creazione – amore, Liebe, è del resto femminile.

Hitler - “La cultura di Hitler non importa”, diceva Heidegger a Jaspers, “poiché ha bellissime mani”. Ma per trovare bello Hitler la cultura importa molto.

Islam – È forte per l’assenza del peccato, del male. O non ne è minato? È consolatore, in ogni circostanza, anche la più abietta, ma non è critico: è una debolezza o una forza?
Le sue strutture sociali e politiche, che a ogni criterio si direbbero obsolete e deboli, sono invece stabili, per essere un modo di vita consono a una escatologia non drammatica, non traumatica. Si è innestato su una società nomadica, e quindi tribale, e quindi agitata da continue lotte, che si è presto ammansita – o trova conveniente farlo – in questa non più concorrenziale metamorfosi comunitaria. Fino all’abulia, o accettazione passiva, che si rimprovera (rimproverava) politicamente al mondo islamico.
Il male l’islam ipostatizza e proietta all’esterno della comunità dei redenti. Ma solo nel mondo arabo (anche berbero), ancora estremamente competitivo di suo, come è di ogni civiltà nomade.

Morte – È infettiva. Chi se ne va si porta via un pezzo, di voglia, d’impegno.

Può fare di ognuno un eletto, anche della vita più riposta, nelle opere, nel ricordo.
C’è nella morte un aspetto buono: ognuno riprende la compostezza, non più sopraffatto dalle banalità della vita, nei suoi aspetti felici e beneaugurati, che può invocare. È questa l’essenza degli angeli, per i quali la vita non è che accidente.

Usa rappresentarla grifagna, per la cattiveria, ma è giovane - anche se ha una lunga storia, eterna: viene sempre troppo presto.

È, anche, una sfida: si sfida la morte, si corrono i pericoli, più o meno avventatamente. Ha fascino.
È nota l’eccitazione erotica che i partenti in guerra, e cioè incontro alla morte, hanno sempre suscitato.

Il dattilo, una lunga due brevi, tà-ta-ta, tà-ta-ta, Schubert, che lo praticava, diceva “ritmo dela morte”.
Kant ne fa l’argomento principe contro lo stoicismo, la dottrina del suicidio: ““la forza umana che non teme la morte è una ra-gione di più per non abbattere un essere dotato d’una potenza così grande”.

Non siamo che fugaci combinazioni, dell’assoluto se si vuole ma non di necessità: solo la morte è infaticabile e certa, lo stesso istinto a procreare si stanca.

“Nella paura della morte c’è qualcosa che fa pensare a un senso di colpa: con essa si manifesta forse la vendetta della vita non abbastanza amata. La morte è un pregiudizio” - Lou Salomé, che di Freud fu intima. Può essere: parlano di morte i preti e le beghine, astinenti.
Dio ha creato l’eternità, il tempo è degli orologiai. L’attesa, o paura, della morte è parte della storia degli orologiai – la nostra.

“La morte è la sorte comune degli uomini”, direbbe Montaigne. Ma il “muore giovane chi è caro agli dei” sarà stata la peggiore bestemmia di Leopardi, o Menandro. In un senso è vero, si muore sempre giovani, e tuttavia la premorte di chi abbiamo visto crescere o sbocciare è violenza aggravata e un insulto. Anche se la morte una qualità sempre ce l’ha: fissa le cose. Per il bene e per il male. Dà ai fatti e alle persone uno spessore, seppure nell’ambiguità tra vero e falso: l’amante morta, per esempio, è amante per sempre. E parla, eccome, ha l’eloquenza del silenzio, di “colui che parla senza dire nulla” che Chagall celebra. L’eternità sarà questo susseguirsi di baluginii.

Lo stesso Montaigne potrebbe peraltro essersi chiesto “che vuol dire che in guerra il viso della morte, che lo vediamo in noi oppure in altri, ci sembra senza paragone meno spaventoso che al chiuso delle case”. Ci sono morti che danno energia, rinnovata voglia di vivere. Bisogna essere stati per poter morire, aver lasciato una traccia. La vita è piena di senso in quanto è un susseguirsi di sparizioni e superamenti. Anche la verità, per quante difese uno metta in campo per farsene scudo. Perché subentra la memoria, dove le passioni sedimentano, la scena è chiara. Ognuno lascia una traccia, sia pure un grano di polvere. Ed è pure vero che si muore più volte nella vita, prima dell’ultima, certo, quando non si rinasce: si muore e si nasce a ogni istante.
Lo spiega Orienzio nel repertorio di Gourmont: “La nostra fine non ammette fine, la morte, che ci fa morire, muore perennemente. Per l’eterno moto l’uomo vivrà in perpetuo”.

Usa da qualche tempo la morte quale artificio rivoluzionario, più morti più purezza. In Occidente come in Oriente, in questo uniti nella lotta. Nelle specie - meglio ancora - del sacrificio di sé, dell’immolazione. Argomento folle. Non fosse una furbata, della cattiva politica.

L’“Essere-per-la-morte” di Heidegger è la parte ermetica del nazismo, la sua verità. E l’Umwälzung, la svolta, parola chiave di Heidegger e Hitler.

Silenzio – È una forma della conoscenza. È silenzio pure tacere per non dover dire.
“Il silenzio è il sonno che nutre la ragione”, dice Bacone, ma anche: “Il silenzio è la virtù dei folli”. È  l’“ascolto a distanza” che, secondo il maestro Furtwängler, fa grande la “musica tedesca”. Che al solito non significa nulla, a parte l’esistenza di una musica, chissà, “tedesca”, ma sapere da lontano in effetti si può e fa bene.

zeulig@antiit.eu

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