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lunedì 18 dicembre 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (348)

Giuseppe Leuzzi

Milano
Non funziona il Milan dei calabresi Mirabelli e Gattuso. Con un Calabria a terzino, la classica quinta colonna. Cosa aspetta la Dda di Milano a mandarli al gabbio, magari solo per concorso esterno, gli unici calabresi ancora a piede libero a Milano?

“Non si può non amare Milano”, la milanesissima Alda Merini esordisce alla voce “Milano” della sua raccolta di pensieri “La vita facile”. Ma Milano è “pugni e schiaffi”, aggiunge, come vuole la canzone “Porta Romana bella”: “La via a San Vittore (Merini confonde con via Filangieri, che è invece di un’altra strofa) l’è tuta sasi,\ l’ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi”. E si nutre di nebbia: “È un’illusione che sia l’aria buona ad averci sempre sostenuto”.

Tace la Procura inflessibile che, non la droga, il mercato più fiorente in Europa, ma il voto di scambio astuta ha localizzato e sanzionato, delle pletoriche famiglie calabresi. E pensare, che accoppiata! ‘Ndrangheta e triade unite a Milano. Forza Boccassini.

Però è vero che la Dda milanese è di una giudice napoletana, i milanesi non c’entrano. Magari coi calabresi puntavano giusto a risparmiare.

Senza Napoli (giudici, carabinieri, procuratori federali, arbitri) che fa il lavoro sporco contro la Juventus e ogni altro, anche il calcio sarebbe a Milano alla base della scala.

I calciatori del Milan sono incapaci o non sono pagati? Donnarumma, Bonucci, Romagnoli, l’incedibile Bonaventura, Locatelli ammazza-Juventus, e Suso, non erano incapaci fino a ieri. Anzi sono ingaggiati a cifre record. Sulla carta. I mal di pancia di Donnarumma e di Bonucci direbbero piuttosto che la pecunia scarseggia. E si può capire: questo Milan è un “buffo” cinese – c’è la passata di pomodoro cinese e c’è la scambiale, scoperta. Succede tra commercianti.

All’Inter invece i soldi ci sono – ci sarebbero. Ma non sanno come spenderli: l’altra squadra milanese ha solo i due apici, un grande portiere e un centravanti.
La Milano cinese fuoriserie comincia a bucare le gomme presto, oggi che non si bucano più.

Autocentrata e monopolista, un centro che dissecca. A cominciare dalla stessa Lombardia, che misconosce. Che ha i laghi. Ha le Alpi. Ha la pianura lombarda – di cui “soltanto uomini molto fini”, opina Savinio, “guardatori molto esperti come Stendhal sanno apprezzare la bellezza”.

La settimana in cui Roma tiene la fiera dei piccoli e medi autori, ben 340 sono rappresentati, “La Lettura”, che la trascura, dedica due pagine alla (prossima) fiera milanese del libro. Dopo aver fatto due numeri sulla milanese book City che ha appena chiuso. Le città commerciali, delle vecchie fiere medievali, si caratterizzavano per essere aperte, Milano è invece chiusa - verrebbe da dire cupa.

Teme il populismo che ha alimentato e quasi creato. Sicuramente nella Lega, in grande misura nei 5 Stelle – con un forte contributo napoletano, la lega Milano-Napoli è ferale. Per l’apporto dei Casaleggio ma soprattutto dei suoi giornali: da “Mani Pulite” in poi un martellamento costante, dalla città degli affari e della corruzione, contro la politica, a ogni livello. E contro le istituzioni, ridotte a “casta”.

Dice di temere il populismo che ha scatenato, dirompente, con la Lega che monopolizza nell'aruspicina il Nord, e i 5 Stelle il Centro e il Sud, ma chissà.

Milano non ha il senso del ridicolo. È un bene o è un male?

Il falso scopo
Dopo quello di Massa, che tutti conoscevano ma è stato “scoperto” a luglio, un altro deposito di rifiuti tossici è si scopre nei pressi di Livorno, vicino a una scuola. Dieci volte quello di Massa, per 200 mila (?? sarà un errore di stampa) tonnellate di rifiuti tossici già accertate. La discarica è di filtri per olio motore, toner, rifiuti ospedalieri, e altri non specificati ma pericolosi, targati “ordinari e innocui”.
I rifiuti di Livorno, la Dia ha già accertato, venivano stipati in discariche private. Dopo essere transitati in due discariche del livornese gestite da aziende pubbliche, la Rea di Rosignano Marittimo e la Rimateria di Piombino. Senza scandalo. Si sono fatti ora gli arresti degli “imprenditori” delle discariche ma senza enfasi: se non è al Sud non è mafia.
Lo stesso giudice che ha avviato e gestito l’indagine, Squillace Greco, nome partenopeo, o calabrese, non trova di meglio per bollare il misfatto che dirne il metodo “simile a quello usato dalla camorra nella Terra dei Fuochi”. Dove però i rifiuti tossici, dopo anni e milioni spessi in vane ricerche, non sono stati trovati.
Il Sud come un “falso scopo” del crimine. Falso scopo è in artiglieria il bersaglio finto, purché a cuspide, su cui fanno perno gli organi di puntamento quando il bersaglio è nascosto alla vista, per prendere la mira, per centrare il bersaglio vero, tramite derive e coordinate.

L’opera cupa
L’opera più cupa delle opere cupe, veriste – verismo sta per morte: vendetta, odio, disgrazia – si ambienta in Calabria. L’opera, “I pagliacci”, di Ruggero Leoncavallo, ebbe da subito molto successo. Anche perché la prima nel 1892 a Milano fu concertata e diretta da Toscanini. Venendo poi utile ad accompagnare “Cavalleria rusticana”, altro dramma verista, che l’anticipava di un paio d’anni. Qualche anno dopo, l’aria “Vesti la giubba”, registrata da Caruso, fece il record di un milione di dischi venduti.
Sull’onda dei “Pagliacci” l’imperatore di Germania Guglielmo II, che da giovane usava andare in Sicilia e a Taormina, con cortigiani pederasti, proclamò Leoncavallo “il più grande compositore del secolo” - che aveva svoltato, la proclamazione avveniva nel 1904: Wagner era salvo. Lo invitò a Berlino. Lo ospitò nel palazzo di Sanssouci in cui il suo avo Federico il Grande di Prussia aveva ospitato Voltaire. Gli offrì un libretto, scritto, pare, da lui stesso. E gli fece comporre “Rolando di Berlino”, che non si ricorda ma è un’opera.
Leoncavallo scrisse e musicò “I pagliacci” sulla base di un ricordo infantile, quando da Napoli, dov’era nato, si recò a passare alcuni anni a Montalto Uffugo, con la famiglia, il padre essendovi stato nominato pretore. Il suo istitutore, Luigi Scavello, corteggiava una donna di cui un altro giovane, Luigi D’Alessandro, era innamorato. D’Alessandro, geloso, spalleggiato dal fratello Giovanni, attese Scavello all’uscita dal teatro e lo accoltellò a morte.
Scavello non morì subito, fece in tempo a dire i nomi degli aggressori. Che il padre di Leoncavallo condannò. Poi la vicenda fu dimenticata. La famiglia Leoncavallo rientrò a Napoli, Ruggero fece studi normali, compreso il conservatorio, e prese a comporre musica. Ma presto, ai vent’anni, il ricordo del caso gli sovvenne, e ci scrisse sopra un libretto, che presto musicò. Con alcune varianti. Il compositore invece pretese di essere stato presente all’accoltellamento, che a suo dire era stato opera di un pagliaccio. Questo questi aveva trovato tra i vestiti della moglie un biglietto di Scavello, aveva ucciso la moglie e subito dopo, corso in strada, aveva accoltellato Scavello. Agli occhi del napoletano Leoncavallo, bambino e adulto, il dramma lugubre era legato al posto, più che a una situazione particolare.
Di Leoncavallo Savinio ha opinione speciale. Interrogandosi sul genere, in anticipo sui tempi, su maschile e femminile, in una delle sue cronache musicali (ora in “Scatola sonora”, alla pagina 260) dice: vediamo, “è maschile o femminile Voltaire? È maschile o femminile Stendhal? È maschile o femminile Luciano di Samosata? Sono maschile o femminile io? È maschile o femminile l’uomo che appartiene a uno stato supremo di civiltà? In compenso, sulla maschilità di Ruggero Leoncavallo non sono consentiti dubbi”.

Savinio non aveva buona opinione dell’opera verista: “La cattiva qualità del melodramma verista”, dirà successivamente, nella stessa raccolta, alla pagina 315, “è meno imputabile alla volgarità dei tempi, alla sommarietà degli sviluppi, alla grossolanità della scrittura, al carattere «bandistico» dello strumentale,che alla non scorrevolezza del rivestimento sonoro…. Alle ruote rotonde e lubrificate, il povero Leoncavallo sostituiva ruote triangolari e arrugginite”.

Uomini come noi
Molto il Sud è derivato dalle memorie, più o meno coloristiche, dei suoi viaggiatori quando usavano, fino a metà Novecento. Specie la Sicilia e la Calabria, più legate alla Grecia classica – Napoli è un mondo a parte, di corte, metropolitano, la Puglia suscita meno curiosità.
Si prenda la Calabria, si presta a esemplificare perché il giudizio è sempre estremo, di apprezzamento o di revulsione. “Questa magnifica provincia è fertile oltre misura”, scrive nel 1605 Hieronymus Megiser, poligrafo tedesco, nelle “Delitiae Neapolitanae” dopo aver visitato il Regno: “Non vi cresce infatti solo tutto ciò che serve alle necessità della vita, ma anche tutto ciò che serve al piacere e al superfluo”. Opposta l’opinione qualche anno più tardi, 1632,  di Johann Friedrich Breithaupt. Nellacronaca del suo viaggio verso l”isola santa” di Malta: “”Uomini selvaggi e quasi barbari, pigri e oziosi… Portano ampi berretti e girano sempre armati”.
Lirico Stolberg-conte di Stolberg, in tutto il viaggio, in anni calamitosi, 1781-1792, e al congedo: “Lascio con commozione la più bella provincia della bella Italia”. Lo stesso il suo giovane accompagnatore Georg Arnold Jacobi, autore di due volumi di lettere dalla Svizzera e dall’Italia, pubblicate nel 1797: “Sì, sei bella Calabria, figlia benedetta del sole che dà la vita…”, etc. etc.
Un secolo dopo, anche il geologo von Rath ci trova  “un paradiso di bellezza e fertilità”. Deturpato da malaria, analfabetismo, miseria, brigantaggio. Due stereotipi, che però durano da tre secoli ormai.
Molta cattiva fama è napoletana., Quando Bartels comunica agli amici napoletani l’intenzione di visitare la Calabria, 1785, quelli fanno di tutto per dissuaderlo. Il loro calabrese è “poco più che un selvaggio, dedito solo a distruggere, rubare, assassinare”, e un “brigante di strada assassino”.
Bartels, solido tedesco di Amburgo, di cui sarà il borgomastro, illuminista, massone, ci va in pieno inverno, a gennaio. E accompagnato dai “fratelli” Agamennone Spano e Giuseppe Zurlo visita impavido anche i luoghi del terremoto disastroso di tre anni prima. “I calabresi”, concluderà, “sono uomini come noi”.
Ma di più il Sud si definisce in rapporto a un certo Nord, già nel Settecento. Sensazioni più che analisi. Di viaggi necessariamente affrettati, per quanto, in passato, ben preparati: impressioni di uno-due mesi al più.
Umori, si dice, di autore – ma molte sono le autrici. Sensazioni. Non si trovano tra i viaggiatori, se non per caso, sociologi, economisti, statisti, ma belle persone in cerva di svago, in mondi diversi, meglio se baciati dal sole.
Non si avventurano a sud di Napoli i (pochi) viaggiatori russi e spagnoli. Il Sud è materia della vulgata tedesca, francese e inglese.

leuzzi@antiit.eu

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