astolfo
Ha dell’incredibile, per essere passato inosservato per i centocinquant’anni del “Capitale”, questo 2017, mentre non si annuncia niente per il 2018, per i duecento anni della nascita, a maggio. È un segnale della senescenza dell’Europa, la perdita della memoria. Di un personaggio peraltro determinante per la sua storia, la storia dell’Europa, per altrettanto, almeno un secolo e mezzo. L’ultima, probabilmente, proiezione dell’Europa sul resto del mondo, dalla Manciuria alla Terra del fuoco. E a lungo ferace anche negli Usa, che se ne penserebbero vaccinati. Come ragione critica, l’eufemismo per marxismo di Horckheimer, Adorno, Marcuse e Brecht, per non turbare, quinte colonne tedesche, gli ospitali americani alla vigilia della guerra.
Ha dell’incredibile, per essere passato inosservato per i centocinquant’anni del “Capitale”, questo 2017, mentre non si annuncia niente per il 2018, per i duecento anni della nascita, a maggio. È un segnale della senescenza dell’Europa, la perdita della memoria. Di un personaggio peraltro determinante per la sua storia, la storia dell’Europa, per altrettanto, almeno un secolo e mezzo. L’ultima, probabilmente, proiezione dell’Europa sul resto del mondo, dalla Manciuria alla Terra del fuoco. E a lungo ferace anche negli Usa, che se ne penserebbero vaccinati. Come ragione critica, l’eufemismo per marxismo di Horckheimer, Adorno, Marcuse e Brecht, per non turbare, quinte colonne tedesche, gli ospitali americani alla vigilia della guerra.
Bravo
borghese
Marx è anzitutto una persona, la prima cosa che
di lui si è dimenticata, quando era in auge. Il lavoro
aliena, assicura, lui che non ha mai lavorato, Uno che conduceva una vita
borghese, col piano per le figlie, e l’aiuto domestico, eventualmente da ingroppare,
sempre senza lavorare. Marx era per formazione e inclinazione un borghese,
andava pure al casino, una volta con Engels presero lo scolo dalla stessa
puttana.
Si deve anche – ancora - fare giustizia di
tanto Diamat volgare, che si dice marxismo-leninismo, ma né Marx né Lenin erano
stupidi, e Marx non si faceva illusioni. La Germania, secondo lui, nel 1870 si
difendeva, incoronandosi a Versailles. Nella prefazione alla prima edizione del
“Capitale” elogia il liberalismo inglese. Marx di
scientifico ha l’utopia, la politica la rifiuta, e con essa, anche se non lo
sa, l’economia. Mentre lo Stato si caricava a Occidente di cassa malattie,
pensioni e mutui. E i padroni capitalizzavano cinque secoli di ottimo pensiero politico,
Machiavelli, Hobbes e Grozio, Locke, Hume e Kant, Burke, Constant e Tocqueville,
e si appropriavano Weber, Pareto, Kelsen e Schumpeter, oltre allo stesso Marx.
Non
bisogna però equivocare, non c’è infamia nel volere il pianoforte per le
figlie. Il rifiuto del ruolo, per l’uguaglianza del
merito e una vita da vivere a ogni istante, non è la realtà o la
contemporaneità, e non è Europa, semmai è America. In Europa tutti vorrebbero
una moglie nobile, la ca-sa in Toscana o in Provenza, con contadino, da
guardare da lontano come il vecchio feudatario, e i ricevimenti del Gattopardo
coi gelati squagliati, il rifiuto della buona borghesia è assillo borghese,
un’ideologia.
Marx voleva un’altra cosa, e lo disse subito, stabilendo nella Miseria della filosofia che cosa non andava. Non era contro i borghesi per i proletari. Cioè sì, ma contro la stupidità di chi vuole produrre la ricchezza a mezzo della miseria, dei proletari e sua. “Negli stessi rapporti entro i quali si produce la ricchezza si produce altresì la miseria”, a opera degli stessi: “Questi rapporti producono la ricchezza borghese, ossia la ricchezza della classe borghese, solo a patto di annientare continuamente la ricchezza dei membri che integrano questa classe, e a patto di dar vita a un proletariato sempre crescente”. Grandi palle alzava Marx ai borghesi intelligenti, anche solo poco. A Ford, per dire, quand’era sobrio dall’antisemitismo. E non si può fargliene una colpa. Il gregge è il corpo del pastore, ne è l’estensione, il formicaio lo è delle formiche, l’alveare delle api: ne estende il corpo e la mente, per i pascoli e oltre, nella lunga giornata senza tempo, nella transumanza. La fabbrica lo è dell’operaio, l’azienda dell’impiegato, il lavoro del lavoratore. È una condizione antropologica, non una classe. Marx non lo sapeva perché non lavorava.
Contro il proletariato
Marx voleva un’altra cosa, e lo disse subito, stabilendo nella Miseria della filosofia che cosa non andava. Non era contro i borghesi per i proletari. Cioè sì, ma contro la stupidità di chi vuole produrre la ricchezza a mezzo della miseria, dei proletari e sua. “Negli stessi rapporti entro i quali si produce la ricchezza si produce altresì la miseria”, a opera degli stessi: “Questi rapporti producono la ricchezza borghese, ossia la ricchezza della classe borghese, solo a patto di annientare continuamente la ricchezza dei membri che integrano questa classe, e a patto di dar vita a un proletariato sempre crescente”. Grandi palle alzava Marx ai borghesi intelligenti, anche solo poco. A Ford, per dire, quand’era sobrio dall’antisemitismo. E non si può fargliene una colpa. Il gregge è il corpo del pastore, ne è l’estensione, il formicaio lo è delle formiche, l’alveare delle api: ne estende il corpo e la mente, per i pascoli e oltre, nella lunga giornata senza tempo, nella transumanza. La fabbrica lo è dell’operaio, l’azienda dell’impiegato, il lavoro del lavoratore. È una condizione antropologica, non una classe. Marx non lo sapeva perché non lavorava.
Contro il proletariato
Il problema con Marx è che voleva
eliminare il proletariato. Mentre nel suo nome si è lottato per farlo
trionfare. Il proletariato, i servi cioè retribuiti. È per forza che è morto da
tempo. “Appena Marx ebbe chiara coscienza del proprio sistema”, dice Rosenberg
l’antichista, comunista senza partito, “dovette cercare gli operai”. Al British
Museum non ce n’erano, e Marx non ha mai conosciuto un solo operaio. Gli stessi
comunisti egli disprezzava eccetto Engels, di cui è nota l’opinione sui
partiti: “Che importa a noi, che sulla popolarità ci sputiamo, e che perdiamo la
testa appena cominciamo a diventare popolari, di un partito, cioè di un branco
d’asini che giurano nel nostro nome perché ci credono loro pari?” Incoercibili politicanti in
realtà entrambi. Specie Marx, che per primo non credeva alle leggi
dell’economia, che sapeva falsate da autodidatta, e della storia. E la vita
spese a costituire la sua fazione, contro ogni altro socialista e comunista
prima che contro la polizia segreta prussiana.
Sapeva
riconoscere un nemico, questo sì. Per questo eresse un monumento al capitale, con
la proposta di arrestare la storia e la filosofia, l’impercettibile ma costante
mutamento attraverso cui l’uomo esce dalla sua pelle, con gli amori, il lavoro,
la generazione, la convivialità, nell’arte, canti, balli, racconti, silenzi, e negli
elementi, la terra, il legno, la pietra, il ferro.
Si fa presto a dire Marx, ma che dice lui, e
che rivoluzione ha organizzato, che partito, che sindacato? Bisognerà aspettare
Lenin per avere una rivoluzione marxista, di borghesi cioè con la classe
operaia. I libri e le sue innumerevoli lettere sono frammenti. Il cui filo non
può essere la struttura, cioè il potere secondo il Diamat: il lavoro produttivo
è sovrastrutturale, un qualsiasi esperto di mercato lo sa. Altrimenti è un
comunismo da schiavi: non può “realizzare l’uomo” se elimina ogni spazio
comune. Ed è la verità della sua prima rivoluzione, in Russia, paese di servi,
e non in Germania, dove c’era la più vasta e organizzata classe operaia e il
contesto era maturo, per la crisi dell’economia e dell’imperialismo.
I lavoratori tedeschi vollero anzi ridare ai
borghesi il potere che la guerra perduta aveva loro sottratto. L’astronomo
olandese Pannekoek - che ne sapeva più di Lenin, disse lo stesso Lenin - scoprì
subito pure perché: in una società integrata, che viene da lontano, egemonie e sudditanze
si legano per molti fili, culturali, storici, tribali. Non maturano solo i
processi produttivi, di più ma-turano e anzi induriscono le ideologie, e si
dovrebbe dire le psicologie.
Ironico,
liberale
Era amante del paradosso, benché a fini di
conoscenza. La banca è l’arma dei poveri, sostenne con
Engels nel 1851, quando Proudhon, l’amico dei socialisti italiani, voleva
abolire la banca. È come se desse tutto ai borghesi ricchi, obiettava Marx. Vide
anche tempestivo i misfatti della rivoluzione industriale, Smith
e Ricardo, che la teorizzavano, non seppero di esserne i contemporanei.
Marx era superbo, in questo è reo. Ironico: per
un Witz avrebbe dato il “Capitale”. In tutti i rapporti, anche familiari, il
criterio della verità diventa per lui distacco critico: io e gli altri. È la
forma più esasperata di egotismo, limitare alla misantropia, il fastidio
dell’umana imperfezione. Marx era
uno che capiva una diecina di lingue, corrispondeva con migliaia di persone,
leggeva i giornali di tutto il mondo. E non ha mai fatto la fila per il burro,
benché disoccupato.
Marx non è un semplice che lega la rivoluzione
alla
crisi – né un Andreotti che governa “a mezzo della crisi”. Oppure è liberale
oltre che grande borghese, inconsapevole: snobbò Eugène Sue, “piccolo borghese sentimentale,
socialista della fantasia”, candidato dai socialisti “per far piacere alle grisettes”, perché era liberale.
Chiudendo il “Manifesto”, alla vigilia del ‘48, offre un’alleanza ai borghesi,
l’alleanza dei produttori, ro-ba da Saint-Simon. La “Neue Rheinische Zeitung”,
il giornale che fondò e diresse nel ’48, non spiacque ai borghesi renani, nell’intento
che ritenevano condiviso di sottrarsi al Congresso di Vienna di Metternich, che
li aveva annessi alla Prussia.
L’ironia è il suo lato simpatico, oltre che una
grande dote conoscitiva, socratica. Ma è il virus che ne mina la dottrina. Il
cristiano si riscatta al confessionale, per quanto ipocrita possa la confessione
cristiana essere, il comunista non può pentirsi mai. Pena l’ipocrisia, che è
malvagia. Inoltre, ironizzare porta all’insensibilità, non a più conoscenza. Attraverso
lancinanti ulcere o gialle epatopatie - soffriva Marx di fegato? Vladimir Nabokov
lo vede in aspetto di “traballante e bisbetico borghese in calzoni a quadretti
di epoca vittoriana”, il cui “cupo Capitale
è “figlio dell’insonnia e dell’emicrania” – ma Nabokov ne condivide il
sarcasmo, con punte snob perfino più acute, anche se non sembra possibile.
Come l’altro monopolista Freud, che molta buona
psicologia ha oscurato, Marx ha per questo vezzo cassato molto socialismo, alle
sue radici: la compassione. Su Sue bisogna intendersi, Marx è ingeneroso, come a
volte lo è il destino. Uno che aveva avuto padrini di battesimo Giuseppina di
Beauharnais e l’Aiglon, il principe
Eugenio, che passava le serate al Jockey Club, e nel 1850 si fece candidare per
battere la legge Falloux, che aboliva la scuola pubblica, e in qualche modo ci
riuscì, Parigi lo elesse – l’anno dopo Luigi Napoleone Bonaparte lo esiliò, e
in nessun posto poté andare per l’opposizione dei preti, solo in Savoia, sotto
la protezione del governo liberale di Massimo D’Azeglio, dove presto morì.
Contro
il lavoro
Non solo in Ford alla fine, e in Owen
all’inizio, ma nella Cadbury, alla Rowntree e in ogni altra azienda quacchera,
in molte società cattoliche e in quelle socialiste del mutuo soccorso l’Ottocento
ricorreva al lavoro per migliorare l’igiene e l’istruzione, o il rispetto di
sé. Finché il lavoro non fu disseccato nel plusvalore. Le
critiche presto erano emerse con Eduard Bernstein, e poi con Rosa Luxemburg -
la nuova sinistra si trasforma in vecchia sinistra ai quarant’anni. Semplici,
Marx le avrebbe sottoscritte: il moderno proletario è sempre povero ma non pauperizzato,
la crescita della ricchezza non viene con la diminuzione del numero dei
capitalisti ma con la loro moltiplicazione – si potrebbe fare un partito di massa
dei ricchi, non fossero tanto ricchi da farsi passare per poveri. E lo slogan
“i proletari non hanno padri” non è vero, purtroppo. Ma questo era contro
l’interesse del Partito a farsi Stato. Senza contare che lo stesso successo
delle sue idee ne inficia il presupposto, l’economicismo.
Marx fu marxianamente figlio del tempo, gli anni fra
il 1851 e il 1862, quando rintanato nella biblioteca al British Museum ponzò i
quattrocento articoli per la “New York Tribune” e la “New American Cyclopedia”
e la critica dell’economia, mentre i tribunali disgregavano il comunismo e la
corsa alla ricchezza subentrava con la pace alla scoperta dell’oro in California.
Più forte del 1789 e del 1848, più esperto anche dei diritti di libertà e
miglior filosofo. Benché pure il contrario sia vero: Marx l’Europa potrebbe
aver corroso nell’intimo, Stalin non esce dal nulla.
(continua)
Nessun commento:
Posta un commento