sabato 16 dicembre 2017

Il mistero di Carmen a Roma

Una breve sintesi, in chiave celebrativa, ma riesce a creare in mezzora tutti i motivi di fascino, ancorché misterioso, che accompagna l’opera. Dismessa all’esordio come operetta, un rifiuto che immalinconì l’autore e lo portò presto a morte, tre mesi dopo l’insuccesso, a 37 anni, e non più ripresa per otto anni, fino al 1883, quan do riapaprve in versione censurata e senza carattere. Salvo ascendere poi, da sola e rapidamente, a Fine Secolo era fatta, la scala del Parnaso. Fino a conquistarsi palati celebri, da quello famoso di Nietzsche, che via “Carmen” elaborava a sua vendetta contro Wagner, allo schizzinosissimo Savinio. Che la dichiara semplicemente l’opera delle opere, “così vicina a noi e assieme tanto lontana”, “sincera e schietta” come “obliqua e densa di fato” (“nemmeno i Greci io credo seppero esprimere con altrettanta chiarezza e precisione l’accento dela Moira, come Bizet” nella “Carmen”). Joseph Conrad vi trovava uno “specchio magico”, che, sapendolo interrogare, rivela verità sottilissime, tali da sfuggire anche a specchi ben politi, di luce perfetta – una stagione andò ad ascoltarla per quattrodici sere di seguito.
Pappano ha saputo ricostituire in breve i motivi di suggestione dell’opera. Con un’orchestra rinforzata, che suonava come per la prima volta, e il sostegno, in assenza delle voci soliste, del corso di Santa Cecilia, come semrpe super registrato, nonché del coro delle voci bianche, altrettanto determinato e “al punto”. Un’esecuzione suggestiva anche alla vista, come se la grande scena della sala Santa Cecilia non riuscisse a contenere la vitalità che si sprigiona dall’opera.
George Bizet, Carmen, dir. Antonio Pappano, Orchestra di Santa Cecilia, Auditorium Parco della Musica

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