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martedì 12 dicembre 2017

Il mondo com'è (327)

astolfo

Bordello –Viene viene da bords, secondo il Petit Robert, “costruzioni di tavole”, ma la storia è notevole: cacciate da san Luigi fuori della cinta parigina di Filippo Augusto, le puttane costruirono le baracche, che i clienti battezzarono bords, da cui bordelières per le tenutarie, attorno alla vecchia strada di san Dionigi. Le nuove strade presero nomi di conseguenza: rue Gratte-Cul, ora Dussoubs, rue Tire-Boudin, ora Marie Stuart, rue Trace-Putain, ora Beaubourg.  

Debito – “ È la rendita degli italiani”, ghignava Carli non molti anni fa, ma non per irridere. Il debito ha ora cattiva stampa, siamo tutti, almeno in Italia e in Europa, siamo tutti virtuosi tedeschi, ma è stato a lungo filosofia e ideologia di mercato. Guido Carli è stato il governatore della Banca d’Italia, poi anche ministro del Tesoro, che più di ogni altro ha deciso la politica monetaria italiana fino a tutti gli anni 1980 – per oltre un trentennio, a partire da quando, dirigente dell’Ufficio Italiano Cambi e poi del Mediocredito, liberalizzò poco dopo la guerra gli scambi con l’estero – “Verso il multilateralismo degli scambi e la convertibilità delle monete” sarà il suo studio più citato. “Più cresce il debito, più crescono gli interessi che lo Stato paga”: Carli rovesciava la legge di Mandeville e Marx, Bernard de Mandeville, che i vizi privati dice pubbliche virtù, nella “Favola” con cui irride al Leviatano di Hobbes. Per un ritorno d’infantile insolenza, e una scommessa ragionata: la ragione è fede inattaccabile, fino al disprezzo del mondo.
È però un’ebrietà, il debito creatore, che si copia da Hitler. E da Roosevelt. Insomma dal dottor Schacht, l’ “inventore” della Germania solida e produttiva che sarà degli anni (pochi) di Hitler – alla cui scuola il giovane Carli aveva completato la formazione, figlio dell’economista Filippo, autorevole teorico dello Stato fascista o corporativo: spendere, spendere, spendere, a debito, a ufo.

Ma anche la riduzione del debito viene da lontano. Quando ce ne fu bisogno, Jefferson ridusse il debito d’un terzo, pur abolendo la tassa sul whisky. Allora poteva farlo, non c’erano le banche centrali a governare la moneta – istituzione che negli Usa rimane sempre sospetta. Così come aveva mandato la flotta nel Mediterraneo tagliando le spese della Marina.
Il Sud, specie la remota Calabria, risulta infeudato a una serie di nomi liguri, Grimaldi, Spinelli, Perrone, etc, , che erano i banchieri genovesi cui i re di Napoli presero il vezzo del Seicento di non ripagare i debiti. Se non con remote e ignote proprietà, del demanio della corona, di cui era nota solo l’estensione.

Lavoro - Il lavoro aliena, l’assicura Marx, che non ha mai lavorato, e se ne fa materia di dottorati. Dentro e fuori la ragione critica, come è invalso chiamare il marxismo con la Scuola di Francoforte. Travagliare viene del resto da tripaliare, torturare col tripalium, strumento dal triplice cuneo. Connesso nel Settecento a sofferenza e disonore, nell’Ottocento a povertà e sfruttamento.
Il lavoro è fatica: labor, ponos, da penia, travail, e Arbeit, che sarebbe la stessa cosa che Armut, la povertà. Lo dicevano i predoni, i cavalieri e i cacciatori, che passando alla terra se ne lamentavano. Ma l’idea bruta del lavoro è recente.
Il lavoro ha sempre occupato la maggior parte degli uomini, e delle donne. Il travaglio, spregiato dalle tribù in Asia, il Vecchio e il Nuovo Testamento fanno a gara a recuperarlo, seppure a fatica. Giobbe dice: “Essi sono nati per il lavoro, come gli uccelli per il volo”. Kant lo spiega: “Al di là della possibilità di lavorare c’è, indipendentemente da ogni stimolo e in legame stretto con certe disposizioni naturali, una propensione immediata all’attività, in particolare a quell’attività continua che si chiama perseveranza”. Né c’è altro contro l’invadente natura.
Il monaco di Gargantua era sempre indaffarato. Poi, nei collegi dei gesuiti, fucina dell’intellettuale, s’impiantò il disprezzo per artigiani, operai, contadini. Mentre Primo Levi assicura, avendo visto il peggio di tutto: “Amare il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta della felicità sulla terra. La competenza è un’esperienza di libertà, la più accessibile e la più utile all’umanità”.

Mass rich – La riforma fiscale di Trump non nasce dal nulla, come si dice. Da un capriccio del capriccioso presidente americano in carica. L’ex ministro del Tesoro Giulio Tremonti la vuole sul “Corriere della sera” domenica una riforma della globalizzazione, un nuovo assetto internazionale degli affari. Privilegiando l’investimento negli Stati Uniti, con tasse irrisorie sugli utili d’impresa irrisorie, è destinata a mutare gli equilibri internazionali degli investimenti, e della produzione. Una misura mercantilista, la dice Tremonti, mirata a favorire gi Stati Uniti a danno delle altre economie, in particolare quelle europee, che vanno incontro a un marcato disinvestimento.
Ma c’è anche una filosofia, dietro il fisco di Trum: quella dei mass rich. Che è di destra, ma anche di sinistra. La “crisi fiscale” degli Stati, che James O’Connor, l’economista marxista proto ambientalista morto il mese scorso, rilevava quarant’anni fa, annunciava che la giustizia sociale era finita, non essendovi più abbastanza soldi per tutti. Era, detto da sinistra, quello che Peter Townsend  diceva da destra, che i soldi residui devono andare ai ricchi, altrimenti diventano poveri anch’essi. E quando i ricchi diventano poveri, tutti impoveriscono. Anche Townsend era marxista, professo, militante, ma era l’inventore del concetto di “povertà relativa”,  fine anni 1950. La povertà legando non alla sopravvivenza, ma agli stili di vita: quando le entrare sono “così tanto al di sotto a disposizione di quelle dell’individuo o della famiglia medi da comportare, di fatto, l’esclusione dagli stili di vita, dagli usi, e alle attività ordinarie”. Alla impossibilità di condurre un tenore di vita soddisfacente.
Il premio Nobel per l’Economia del 1972,  John Richard Hicks, il teorico inglese del salario, professore alla London School of Economics, è autore già cinquant’anni fa di “The Politics of the Mass Rich”. Era ancora tempo di sviluppo senza limiti.
Poi hanno avuto il sopravvento i maltusiani, con i limiti alla crescita. Ma anche qui con limiti (benefici) per i ricchi. Fred Hirsch teorizzava nel 1977 “I limiti sociali allo sviluppo”, anche lui con Marx, rovesciandolo ancora: la ricchezza non è per tutti, l’imborghesimento indebolisce la redditività del capitale e mina il suo fondamento sociale, la ricchezza non può essere democratizzata.

astolfo@antiit.eu

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