Bordello –Viene viene da bords, secondo il Petit Robert, “costruzioni di tavole”, ma la
storia è notevole: cacciate da san Luigi fuori della cinta parigina di Filippo
Augusto, le puttane costruirono le baracche, che i clienti battezzarono bords, da cui bordelières per le tenutarie, attorno alla vecchia strada di san
Dionigi. Le nuove strade presero nomi di conseguenza: rue Gratte-Cul, ora
Dussoubs, rue Tire-Boudin, ora Marie Stuart, rue Trace-Putain, ora Beaubourg.
Debito – “ È la rendita degli italiani”, ghignava
Carli non molti anni fa, ma non per irridere. Il debito ha ora cattiva stampa,
siamo tutti, almeno in Italia e in Europa, siamo tutti virtuosi tedeschi, ma è
stato a lungo filosofia e ideologia di mercato. Guido Carli è stato il
governatore della Banca d’Italia, poi anche ministro del Tesoro, che più di
ogni altro ha deciso la politica monetaria italiana fino a tutti gli anni 1980
– per oltre un trentennio, a partire da quando, dirigente dell’Ufficio Italiano
Cambi e poi del Mediocredito, liberalizzò poco dopo la guerra gli scambi con
l’estero – “Verso il
multilateralismo degli scambi e la convertibilità delle monete” sarà il suo
studio più citato. “Più
cresce il debito, più crescono gli interessi che lo Stato paga”: Carli
rovesciava la legge di Mandeville e Marx, Bernard de Mandeville, che i vizi
privati dice pubbliche virtù, nella “Favola” con cui irride al Leviatano di
Hobbes. Per un ritorno d’infantile insolenza, e una scommessa
ragionata: la ragione è fede inattaccabile, fino al disprezzo del mondo.
È però un’ebrietà, il debito creatore, che si copia da
Hitler. E da Roosevelt. Insomma dal dottor Schacht, l’ “inventore” della
Germania solida e produttiva che sarà degli anni (pochi) di Hitler – alla cui scuola
il giovane Carli aveva completato la formazione, figlio dell’economista Filippo,
autorevole teorico dello Stato fascista o corporativo: spendere, spendere, spendere,
a debito, a ufo.
Ma anche
la riduzione del debito viene da lontano. Quando ce ne fu bisogno, Jefferson
ridusse il debito d’un terzo, pur abolendo la tassa sul whisky. Allora poteva
farlo, non c’erano le banche centrali a governare la moneta – istituzione che
negli Usa rimane sempre sospetta. Così come aveva mandato la flotta nel
Mediterraneo tagliando le spese della Marina.
Il Sud,
specie la remota Calabria, risulta infeudato a una serie di nomi liguri,
Grimaldi, Spinelli, Perrone, etc, , che erano i banchieri genovesi cui i re di
Napoli presero il vezzo del Seicento di non ripagare i debiti. Se non con remote
e ignote proprietà, del demanio della corona, di cui era nota solo l’estensione.
Lavoro - Il
lavoro aliena, l’assicura Marx, che non ha mai lavorato, e se ne fa materia di
dottorati. Dentro e fuori la ragione critica, come è invalso chiamare il marxismo
con la Scuola di Francoforte. Travagliare viene del resto da tripaliare,
torturare col tripalium, strumento dal triplice cuneo. Connesso nel
Settecento a sofferenza e disonore, nell’Ottocento a povertà e sfruttamento.
Il lavoro è fatica: labor, ponos,
da penia, travail, e Arbeit, che sarebbe la stessa cosa
che Armut, la povertà. Lo dicevano i predoni, i cavalieri e i
cacciatori, che passando alla terra se ne lamentavano. Ma l’idea bruta del
lavoro è recente.
Il lavoro ha sempre occupato la maggior parte
degli uomini, e delle donne. Il travaglio, spregiato dalle tribù in Asia, il
Vecchio e il Nuovo Testamento fanno a gara a recuperarlo, seppure a fatica.
Giobbe dice: “Essi sono nati per il lavoro, come gli uccelli per il volo”. Kant
lo spiega: “Al di là della possibilità di lavorare c’è, indipendentemente da
ogni stimolo e in legame stretto con certe disposizioni naturali, una propensione
immediata all’attività, in particolare a quell’attività continua che si chiama
perseveranza”. Né c’è altro contro l’invadente natura.
Il
monaco di Gargantua era sempre indaffarato. Poi, nei collegi dei gesuiti,
fucina dell’intellettuale, s’impiantò il disprezzo per artigiani, operai,
contadini. Mentre Primo Levi assicura, avendo visto il peggio di tutto: “Amare
il proprio lavoro costituisce la migliore approssimazione concreta della
felicità sulla terra. La competenza è un’esperienza di libertà, la più
accessibile e la più utile all’umanità”.
Mass
rich – La
riforma fiscale di Trump non nasce dal nulla, come si dice. Da un capriccio del
capriccioso presidente americano in carica. L’ex ministro del Tesoro Giulio
Tremonti la vuole sul “Corriere della sera” domenica una riforma della globalizzazione,
un nuovo assetto internazionale degli affari. Privilegiando l’investimento
negli Stati Uniti, con tasse irrisorie sugli utili d’impresa irrisorie, è destinata
a mutare gli equilibri internazionali degli investimenti, e della produzione. Una
misura mercantilista, la dice Tremonti, mirata a favorire gi Stati Uniti a
danno delle altre economie, in particolare quelle europee, che vanno incontro a
un marcato disinvestimento.
Ma c’è anche una filosofia, dietro il fisco di
Trum: quella dei mass rich. Che è di
destra, ma anche di sinistra. La “crisi
fiscale” degli Stati, che James O’Connor, l’economista marxista proto
ambientalista morto il mese scorso, rilevava quarant’anni fa, annunciava che la
giustizia sociale era finita, non essendovi più abbastanza soldi per tutti. Era,
detto da sinistra, quello che Peter Townsend diceva da destra, che i soldi residui devono
andare ai ricchi, altrimenti diventano poveri anch’essi. E quando i ricchi
diventano poveri, tutti impoveriscono. Anche Townsend era marxista, professo,
militante, ma era l’inventore del concetto di “povertà relativa”, fine anni 1950. La povertà legando non alla
sopravvivenza, ma agli stili di vita: quando le entrare sono “così tanto al di
sotto a disposizione di quelle dell’individuo o della famiglia medi da
comportare, di fatto, l’esclusione dagli stili di vita, dagli usi, e alle
attività ordinarie”. Alla impossibilità di condurre un tenore di vita
soddisfacente.
Il
premio Nobel per l’Economia del 1972, John Richard Hicks, il teorico inglese del salario,
professore alla London School of Economics, è autore già cinquant’anni fa di “The
Politics of the Mass Rich”. Era ancora tempo di sviluppo senza limiti.
Poi
hanno avuto il sopravvento i maltusiani, con i limiti alla crescita. Ma anche
qui con limiti (benefici) per i ricchi. Fred Hirsch teorizzava nel 1977 “I limiti sociali allo sviluppo”, anche lui con Marx,
rovesciandolo ancora: la ricchezza non è per tutti, l’imborghesimento
indebolisce la redditività del capitale e mina il suo fondamento sociale, la
ricchezza non può essere democratizzata.
astolfo@antiit.eu
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