“La terra si dimette, demente, si dimena”
è tradotto da Sergio Solmi “la terra si disloga, si dimena\ impazzita”. E il
seguente: “E si piega come un culo di mummia secca” diventa “pieghettature
mette\ al par dell’ano di una disseccata\ mummia”. E poi c’è la rima: il poema
si svolge in rima, variabile (baciata, alternata, incrociata, incatenata,
libera) ma decisiva: più delle assonanze e allitterazioni dà il tono giocoso
del poema.
Il “De rerum natura” di Queneau si può
leggere soltanto in francese. Lingua nella quale non ha status proprio – si
edita, giusto per la completezza, in appendice a questo o quell’altro titolo di
Queneau. Anche perché il francese di questo poema è più ricercato che mai,
estremamente, tra gerghi e hapax, e poco fruibile, se non col vocabolario in
mano. Il senso di “Zazie” è di non avere senso, immaginarsi quello di un poema
“portatif”. Fin dal canto primo, che
ritraduciamo alla lettera – la creazione dal basso ventre: “E la terra piegava
il sedimento delle chiappe\ germinava sospirava ansimava si sforzava\
germogliava frignava premeva ansimava\ germinava ansimava premeva rumoreggiava\
sbocciava premeva ansimava sibilava\ pustolava gonfiava suppurava imputridiva\
vulcani da ogni ano larve dal buco del culo…”
Ogni canto è didascalicamente preceduto da
un sommario dei contenuti. Col rinvio ai versi corrispondenti. Tutto preciso.
Ma pirotecnico. Sbrodolante. Pencolante curiosamente verso il linguaggio alla “Sally
Mara”, il ciclo pornoerotico soft di
Queneau.
Queneau non si prende sul serio, mentre
Solmi sì. E Italo Calvino, che commenta con un lungo saggio, tanto quanto si
prende il poema, ed è divertito e divertente, benché al solito serioso.
La traduzione, molto più oscura
dell’originale, si apprezza come esercizio di bravura – una delle imprese “folli”
non inconsuete nelle storie letterarie.
Un capolavoro a parte è il saggio di
Calvino. Impegnato, dice, alla “decifrazione della crittogarfia dei contenuti”.
Di lettura piana, e ugualmente denso di umori. Una serie di rompicapi, di cui
Calvino si dice, in una con Solmi, “fieri di esser(ne) venuti a capo”, se non
di tutti “della massima parte” di essi. Si parta dall’inizio. Il senso del caos
è “chaotique”, ma Calvino non demorde:
“Ma un senso caotico non vuol dire un senso gratuito: anche nel caos è
possibile cercare dei nessi. Non sarà dunque questa dichiarazione dell’autore a
farci demordere dal nostro impegno”, di decrittazione.
Uno dei reperti più curiosi del Novecento.
Un “De Rerum Natura” giocoso. Divertente anche, ma in originale. E filosofico,
del basso e dell’alto – la matematica, il recondito, l’astroso, fino all’inaccessibile.
Ma sempre in originale. La filologia non aiuta. Anche perché il poema fluisce ignoto
spesso allo stesso autore, per un felicità lessicale inventiva che non ha
“significato”. Come Calvino ha potuto riscontrare, essendosi impegnato calvinianamente
alla decrittazione con ogni fonte possibile, tra esse il traduttore tedesco, Ludwig
Harig, l’unico che prima di Solmi ha tentato (e non concluso) l’impresa,
malgrado una fitta corrispondenza con l’autore anora in vita.
Prezioso, in questa edizione Einaudi. La
traduzione di Solmi, l’unica tentata e condotta a termine, è a suo modo
anch’essa preziosa. Ma è altra cosa, senza l’allegra disinvoltura dell’originale.
Effetto di un’inventiva lessicale-concettuale trabordante, il lettore ne è frastornato,
anche in francese. Come di una creazione senza freni in campo linguistico. È
Queneau illimitato.
Raymond Queneau, Piccola cosmogonia portatile, Einaudi, pp.195 € 15
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