“Amo la vita, non temo la morte”, il duetto di Andrea
con l’amata corona la fatica impervia del tenore, e il destino del
rivoluzionario vittima della rivoluzione. Nella quale, come nel dramma di
Illica, muoiono tutti, accusati e delatori – “E mentre uccido, io
piango”, si compiangerà il rivoluzionario Gérard. Nella storia Robespierre
sarà ghigliottinato tre giorni dopo aver fatto ghigliottinare Chénier, l’accusatore
robespierriano Fouquier-Tinville un anno dopo.
Un
percorso che la borghesia aveva compiuto senza ripensamenti nel secolo
trascorso da
Robespierre
fino a Giordano. L’esito dispensando come una sorta di atto dovuto, nella
logica delle
cose, al
più da versarci su qualche lacrima - la borghesia dopotutto è la figlia del
1789. Che oggi è
invece
intollerabile – è l’epoca controrivoluzionaria, o ragionevole? Il
rivoluzionario Gérard è il
maggiordomo,
che più di tutto ambisce a far sua la padrona. La quale può dirgli sprezzante: “Se
di
sua vita
fai mercede il mio corpo, prendilo!”. E Chénier al suo accusatore: “Uccidi? E
sia! Ma
lasciami l’onore”. Conquistato combattendo per la
Francia in battaglia, invece che ai processi “popolari”.
Un’opera compatta, tutta nervi, di autore giovane. Uno
spettacolo, questa riedizione alla Scala. Per la tenuta di Eyvazov, che deve
cantare per tutti, malgrado il fisico non appropriato a un eroe romantico. Il
maestro Chailly ha voluto l’esecuzione fedele al canone verista originario,
senza veleggiare in aggiornamenti. Martone per una volta ha dismesso il piglio
d’autore, per “fare l’opera”. L’opera in effetti è a teatro, ma nello
spettacolo tutto, il modo esressivo più coinvolgente: musica, canto, costumi,
scene, balli, e temi senza vergogna romanzeschi.
Umberto Giordano, Andrea Chénier, Teatro alla Scala
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