Gli
ultimi racconti della scrittrice danese, 1961, un anno prima della morte. Un
ritorno all’Africa, ai diciotto anni, dal 1913 – quando vi sbarcò ventottenne
fidanzata del barone svedere Bros van Blixen, un cugino - al 1931: gli anni che
saranno stati tutta la sua vita. Di donna felice e infelice, disamorata e
innamorata, forte e debole, snob e impegnata, cacciatrice e animalista, ma
sempre provvista del dono di raccontare. Dà qui vita ai personaggi e alle
esperienze minori di “La mia Africa”, a partitire dall’uomo che l’ha
accompagnata in tutti quegli anni, il servitore Farah, somalo, “il gentiluomo
più perfetto”.
È un
tributo in realtà che paga agli africani, anche senza nome, con i quali nel ricordo
ricostituisce un mondo di felicità. Il ritratto di Farah è un monumento. Ricco
- il ritratto come gli altri ricordi-racconti - di conoscenze e capacità di
giudizio che nel deserto del Millennio sono letture di acume straordinario e quasi
visionarie, sui somali, l’islam, l’Africa (tribù, usi, lingua, mentalità, leggi…),
gli europei in Africa.
Karen
Blixen, Ombre sull’erba, Adelphi,
remainders, pp. 118 € 4
Una
coda a “La mia Africa”. Densa di nostalgia ma altrettanto viva – l’Africa non è
cambiata.
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