Freddura “Omero è stato il più grande
freddurista di tutta la letteratura”, A. Savinio, “Scatola sonora”, 195. Molto
praticata in Grecia, secondo Savinio, per avvicinare alla divinità: “Io credo a
quell’incontro fortuito di parole nelle quali i Greci riconoscevano la voce della
divinità”.
Odessa – Viene da Odisseo. Per dare
un nome alla nuova città che aveva deciso di costruire sulla riva russa del mar
Nero, una presa di possesso della Russia del mare orientale, Caterina II
assegnò il compito agli accademici. Che per ribadire l’ellenismo della Riusia,
via Bisanzio, l’ortodossia, propone di dirla città di Ulisse.
Opera buffa – L’opera è buffa, cioè
italiana, in francese e anche in g lese. In italiano la tradizione della
commedia dell’arte e dei “buffi” è dimenticata e l’opera buffa è “comica”.
Pazzia – Fu fertile in arte non
solo nel Novecento, ma già nel secondo Ottocento. Donizetti, che se la prefigurò nell’atto terzo celebre
della “Lucia di Lamermoor”, o “della pazzia”. Maupassant. Van Gogh. Nietzsche.
Robert Schumann. Oltre alla pazzia sua propria, che presto lo sopraffarà, Donizetti
aveva una pazzia di famiglia, come quel fratello Giuseppe Donizetti “Pascià”,
che si faceva fare il ritratto in uniforme con decorazioni e fez, e scriveva marce
gagliarde per le “Musiche Imperiali del Sultano”.
Ma: era pazzo Lucrezio? era pazzo
Eraclito?
Penelope – Bisogna farne una donna di
potere? Emily Wilson, “la prima traduttrice donna dell’“Odissea”, confida le
sue pene al “New Yorker” nelle presentazioni che ne va facendo: molti studenti,
studiosi, lettori in generale vogliono di più da questo personaggio letterario:
vogliono che che si modelli su una donna di potere”. Di più del tantissimo che
Penelope già offre, spiega la traduttrice esausta: è abile, di forte volontà, ha
grinta, ha un’immaginazione vivida, è leale, è competente, una madre si può
dire single che mostra un amore
profondo per il suo difficile, lunatico figlio, e tiene da sola una grande e
complicata gestione di casa per due decadi. Ma non basta.
Postmoderno – Cos’è di più del
manierismo - citazioni, echi, modelli, rovesciamenti? Il “Chisciotte” di
Borges, che è un altro pur riscrivendosi tal quale – Borges è antesignano del
postmoderno in tutti i suoi aspetti e con cognizione di causa, al punto da
farne la satira.
Scrittori – Erano una categoria
socioeconomica fino alla guerra, con cassa mutua e pensione-previdenza. Si
pagavano la pensione con il riuso dei classici, Dante, Petrarca, Boccaccio, Ariosto.
Nel 1945 Di Vittorio rifondò il Sindacato
n azionale scrittori, ma senza più il collante della previdenza. Negli anni
1980 l’Sns, già così ridimensionato, si è scisso in varie associazioni, e ora è
in liquidazione. Gli scrittori, una volta assicuratasi una qualche forma di collaborazione
giornalistica, ora aderiscono a una delle tante forme di previdenza e
assicurazione malattie dei giornalisti.
Strawinsky – È il pre-postmoderno:
l’ironista, il citazionista, il rifacitore, il cultore di modelli che rovescia.
Manierista.
Tecnica - Professandosi “ostile alle
estetiche”, nel prologo all’“Elogio dell’ombra”, Borges elenca “alcune astuzie”
che lo aiutavano a scrivere: “Evitare i sinonimi, che tengono lo svantaggio di
suggerire differenze immaginarie; evitare ispanismi, argentinismi, arcaismi e
neologismi; preferire le parole abituali a quelle strane; intercalare in un
racconto caratteristiche circostanziali, che il lettore esige; simulare piccole
incertezze, giacché se la realtà è precisa la memoria non lo è; narrare i fatti
(questo l’ho imparato da Kipling e nelle saghe dell’Islanda) come se non li
comprendessi del tutto; ricordare che le norme anteriori non sono obblighi e
che il tempo si incaricherà di abolirle”.
.
Tedeschi – Sono in realtà “francesi” anche
in questo, nota Saviniso “Scatola sonora”, 137-8: “I Tedeschi, tre volte in
meno di un secolo, hanno mosso guerra ai Francesi. Per vincerli? No. Per
distruggerli? No. Per manducarli a scopo eucaristico. Per infranciosarsi (per
indiarsi… Dieu est-il français?)”.
Con una coda: “In altri tempi, e quando
non la Francia ma l’Italia era la sirena di turno, i Tedeschi, e con lo stesso
fine eucaristico, cercavano di manducarsi l’Italia (Goethe)”.
Traduzioni – Quelle in italiano,
soprattutto quelle “d’autore”, son state a lungo, fino al primo dopoguerra, in
realtà traduzioni dal francese, non essendoci traduttori capaci dal russo, dal
tedesco e dall’inglese, nonché dalle lingue asiatiche. Sene trovano racce
evidenti dappertutto. In una biografia di Brahms di autore inglese, si rintraccia
a ogni pagina il francese: “Una tempesta d’applausi scosse l’uditorio”, “Brahms
si allinea fra i più grandi”, “la verità del dettaglio”, “il pianoforte gioca
un parte importante”.
Vienna – La Milleleuropa era un po’
chiusa. Quando il “Concerto per violino” di Čajkovskij, che riempie le sale, fu
infine eseguito a Vienna, tre anni dopo la composizione e dopo varie angherie
nei confronti dell’autore,. per decisione del maestro Adolf Brodskij, sotto al
direzione di Hans Richter, l’accoglienza fu pessima. Un critico noto, Eduard Hinslick,
non ebbe abbastanza peggiorativi per parlarne male: “Vediamo facce rozze e volgari,
udiamo imprecazioni, sentiamo odore di acquavite”, scrisse, “il violino non
suona bensì raglia, stride, ruggisce, ascoltando la musica di Čajkovskij mi
sono sorpreso a constatare che esiste musica puzzolente”. Per quale motivo? “Qualunque
ne fosse il motivo”, commenta Carlo Maria Cella, che ha ricordato l’episodio
nel programma di sala di Santa Cecilia per l’interpretazione che ne ha dato
Lisa Batiashvili, “la sordità dei contemporanei ci lascia sempre perplessi, se
non esterrefatti”. Ma era sordità? I due compositori non si amavano. E Vienna
si lusingava patria di Brahms, benché d’acquisto, Čajkovskij non poteva esservi
eseguito.
letterautore@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento