Caccia – Un “atto d’amore” la vuole
Karen Blixen. Che era cacciatrice, e di caccia grossa in Africa, ma non senza
argomenti (“Ombre sull’erba”, 48-9): “La caccia è sempre un rapporto d’amore.
Il cacciatore è sempre innamorato della preda, e i veri cacciatori amano
sinceramente gli animali. Ma nelle ore della caccia, più che innamorato, egli è
innamorato dell’esemplare che sta inseguendo e vuole far suo; per lui non
esiste altro al mondo. Solo che, in genere, l’infatuazione è unilaterale”.
Si potrebbe allora arguire dell’amore
come di una caccia. Mortale?
Céline – “Verista” lo vuole Savinio
analizzando Mascagni, la “Cavalleria rusticana”, per contestarne la novità –
“verismo c’era nei miti di Eronda e nelle commedie di Terenzio, molto prima che
in «Cavalleria rusticana» (s’intende la «Cavalleria» di Verga)”. Poi prosegue:
“Verismo veramente c’è in «Voyage au
bout de la nuit» di Céline, dopo «Cavalleria rusticana», e nei film di Renoir”.
Non solo il “Viaggio”, in effetti, anche
“Morte a credito” e i romanzi della guerra sono veristi. La lingua rutilante
scalfisce solo un poco la rude materia.
Confessioni – Sono autofiction, ben prima di Rousseau, anzi dal debutto, da
sant’Agostino. Apparati - atteggiati, costruiti, finalizzati (a effetto).
Niente di patologico o terapeutico, un genere letterario.
Critica – È morta? Al cinema si
direbbe di sì: non si riesce a vedere un film che in qualche modo corrisponda
al giudizio critico. Sta succedendo ai film quello che è successo ai libri da
tempo. Di cui si leggono come critiche autonome solo risvolti firmati, anche se
a volte firmati, d’autore, meglio se
sintetizzati nelle fascette – tutto in linea con i “blurb” che la promozione a
volte richiede. Tutto avviene come nella pubblicità: il messaggio e l’investimento
fanno il prodotto – di consumo peraltro sempre più ristretto, immediato. Altro?
Quanto
ai critici cinematografici, sarà come per quelli letterari: si limitano a
sfogliare il kit fornito dalla
produzione. Andranno pure alle prime e ai festival, ma per le belle presenze.
Per scrivere si limitano a sfogliare i materiali che gli uffici stampa hanno
preparato. A volte anche sofisticati, da lettori-redattori di gusto oltre che
di mestiere. Ma non è una critica, è una promozione, e di seconda mano.
Doppie – Sono l’ingrediente dell’amore,
della lettera d’amore, secondo Chiara Valerio, il suo racconto d’autore “Il bagno è in fondo”, su “L’Espresso”, il cui
personaggio a un certo punto diventa una lettera: “Una lettera d’amore deve
essere zeppa di parole con le doppie. Sesso passione possesso eccesso fiamma
concessione letto pazzia errore rabbia”. Ma odio non ne ha, che la lettera
anima.
Valerio stessa in questa lettera di odio
evita ogni doppia. E un veneto? Cosa raccontiamo quando raccontiamo la
grammatica - al capitolo ortografia?
Doppi - Che legame c’è fra Philip
Marlowe, il detective privato di Chandler, e Charlie Marlow, “un uomo molto
discreto e comprensivo”, l’alter ego distaccato e risolutivo che Conrad interpone
un po’ in tutti i suoi racconti dopo “Gioventù”, 1898, specie in “Lord Jim” e “Cuore
di tenebra”? Probabilmente nessuno. La disambiguazione wikipedia reca una
dozzina di nomi propri o toponimi Marlow o Marlowe, e non è detto che Chandler
abbia letto Conrad. Ma piace evocarla, che Chandler faccia omaggio a Conrad: con
la “e” finale o senza, i due hanno la stessa natura riflessiva e fermezza
morale.
Sono entrambi un doppio. Conrad fa sua la pratica avviata dieci
anni prima da Conan Doyle con Sherlock Holmes, a sua volta doppiato dal dr.
Watson. Metaracconti di meta racconti. D’uso poi largo, specie nel giallo, fino
al Montalbano-Camilleri. Il detective – demiurgo - non è un personaggio a sé, è
un complemento: una proiezione. È un doppio.
Flaubert – Un fotografo e un
pianista” lo vuole Savinio, Scatola sonora”, 379: “Anche la testa era di fotografo
e di pianista”. Almeno il Flaubert di “Madame Bovary”: “Non sarebbe stata scritta,
o perlomeno non sarebbe stata scritta i quel modo, prima della nascita della
fotografia e del pianoforte; mentre «La tentazione di sant’Antonio» e «Salammbô»
potrebbero essere stati scritti anche al tempo delle tiorbe e delle arpe
Eolie”.
Italia – Non ce n’è molta in
Conrad, (giusto un racconto, tra l’altro col titolo sbagliato “Il Conde”), ma
precisa. Discutendo le critiche a “Lord Jim”, riferisce quella, riportata da un
amico, di una signora italiana “che non aveva gradito il libro”, commentando:
“È tutto così morboso”. Dopo “un’ora di ansiosa riflessione”, scrive Conrad,
“sono giunto alla conclusione che – pur considerando che l’argomento in sé è
piuttosto distante dalla normale sensibilità femminile – quella signora non
doveva essere italiana”. Peggio: “Mi domando persino se fosse europea…” E per
quale motivo? “In nessun caso un temperamento latino avrebbe trovato qualcosa di morboso nell’acuta
consapevolezza dell’onore perduto”.
Letteratura - Letteratour?
Liti –
Quelle letterarie si sa che finiscono nel nulla. Sono frequenti, si può anzi
dire che non c’è Autore che non sia in lite con tutti gli altri Autori, ma
perché finiscono nel nulla e fanno indirettamente pubblicità – “purché si parli
di me”. Eccetto un caso, finito drammaticamente, tra MaryMcCarthy e Lillian
Helmann, che il “New Yorker” rispolvera con una vecchia cronaca di Dick Cavett,
il critico letterario e animatore televisivo che la provocò. In un programma
che conduceva nel 1979 sulla rete pubblica Pbs, al quale invitava spesso Mary
McCarthy. Una volta che lei gli chiese di poter parlare bene in trasmissione di
uno scrittore che riteneva sottovalutato, Cavett a un certo punto le chiese, come
amo per il pistolotto cui teneva, se c’erano scrittori sopravvalutati. Al che
McCarthy dimenticò i suoi propositi e si lanciò in una filippica, contro Steinbeck,
Pearl Buck e, soprattutto, Lillian Helmann, “che credo terribilmente
sopravvalutata, una cattiva scrittrice, una scrittrice disonesta, ma poi ormai appartiene
al passato”. Incredulità: “Che cos’ha di disonesto?” “Tutto. Ho già detto in un’intervista
che ogni parola che scrive è una bugia, inclusi gli «e»:e gli «il»”.
Lillian
Helmann rispose l’indomani mattina all’alba con una citazione per danni, per 2
milioni 250 mila dollari, contro Cavett, McCarthy e la rete tv. “Almeno in quell’occasione
fu di parola”, ammette Cavett. Che conslude: “La causa paralizzò McCarthy finanziariamente e
ne rovinò la salute”. La invitava spesso al suo show perché “era vivace,
spiritosa, polemica, bucava lo schermo, e aveva quel sorriso”.
Scrittore – Traduttore di passioni” è
in breve per Conrad, “Note ai miei libri”, 76.
letterautore@antiit.eu
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