La Procura di Milano ha deciso di indagare Deutsche Bank sulla manipolazione del mercato dei
titoli italiani nel 2011. Una speculazione a freddo: Deutsche Bank liquidò tutti i Bot e i Btp italiani, e poi,
quando si fu ricoperta, per lucrare sul riacquisto, cioè per inabissare i
titoli, lo fece sapere al “Financial Times”. Che naturalmente ne diede notizia
- della vendita, non della ricopertura.
La
Procura si muove infine su un fatto non segreto. Ma, è vero, taciuto dai giornali
italiani, impegnati allora contro Berlusconi, cioè contro il governo nazionale.
Il
caso spiega in dettaglio G. Leuzzi, “Gentile Germania”, un libro del 2013, al §
La ricetta Ackermann:
“Sul debito bisogna
intendersi: la colpa qui, per la Germania, è senza dubbio dei latini. Prendiamo
il caso dell’Italia, dell’offensiva contro i Btp della primavera 2011, i buoni
del Tesoro italiano. La Deutsche Bank, subito imitata dalle banche tedesche
minori, vendette tutti i suoi Btp, che allora quotavano a valori superiori al
nominale. Vendette cioè non per ricoprirsi da perdite ma per guadagnarci. E a
luglio ne informò il Financial Times,
dopo aver ricomprato Btp a termine, a prezzo prevedibilmente più basso. E aver
fatto incetta di credit default swap collegati ai Btp, titoli di
controassicurazione sul rischio insolvenza dell’Italia, sui quali intanto
lucrava un rendimento elevato. Con una mano. Con l’altra diffuse a fine luglio
un rapporto favorevole ai Btp.
“Un modello di speculazione. Fu l’inizio della crisi dell’Italia.
Innescata a freddo, non per caso. Era a capo di Deutsche Bank Josef Ackermann, “il
più potente banchiere del mondo” per il New
York Times. Potente coi politici, in Germania e fuori – in Italia aveva
Giuliano Amato a “maggior consulente”. Per Simon Johnson, capo economista al Fondo
Monetario, “uno dei banchieri più pericolosi del mondo”. Amministratore
delegato dal 2002, aveva impegnato Deutsche Bank nei mutui senza garanzie, la
bolla scoppiata nel 2007. Per queste e altre attività arrischiate della sua gestione
- la vendita di derivati agli enti locali in Italia e la manipolazione dei tassi
interbancari – la banca tedesca è tuttora la più coinvolta in azioni
risarcitorie, per fronteggiare le quali accantona in bilancio tre miliardi.
“Ackermann era stato a capo del Credit Suisse dal 1992 al 1996. Nel
1996 fu cooptato nel consiglio della Deutsche Bank e in quello della
Mannesmann, la banca e la fiduciaria più potenti della Germania. Nel 2002,
subito dopo l’ascesa al vertice della Deutsche, era stato accusato a Düsseldorf
di corruzione nell’acquisizione di Mannesmann da parte di Vodafone, nel 1999. Assolto
rapidamente, ebbe la sentenza cassata dalla Corte Costituzionale. In appello,
quattro anni dopo, aveva patteggiato un indennizzo di 3,2 milioni, col diritto
di dichiararsi non colpevole.
“Nella prima parte dell’affare, la cessione da parte di Olivetti di
Omnitel Pronto Italia, nota coi marchi Wind e Infostrada, a Mannesmann, la
Oliman, finanziaria di diritto olandese del gruppo italiano, allora di Carlo De
Benedetti, realizzò una plusvalenza di 14.200 miliardi di lire. Düssel-dorf contestava
inizialmente – la traccia fu presto trascurata – il trasferimento di tali
ingenti somme, a carico e a beneficio di Mannesmann, in paradisi fiscali.
Olivetti si risparmiò nella vendita Omnitel 3.800 miliardi d’imposta al fisco
italiano, il 27 per cento della plusvalenza. Nello stesso 1999 Mannesmann aveva
ceduto Wind e Infostrada all’Enel, allora gestito da Franco Tatò, per 11 mila
miliardi.
“A settembre del 2008 Ackermann aveva salvato la Hypo Real Estate, il
gruppo tedesco specialista dei mutui, vicino al fallimento per la crisi. Un piano
pubblico di salvataggio da 35 miliardi era stato autorizzato dall’Ue a condizione
che i soci ne sottoscrivessero un quarto, 8,5 miliardi. I soci si rifiutarono. Seguì
una fase concitata, con Hypo falliva la Germania modello. Angela Merkel si
rivolse allora ad Ackermann, che in poche ore trovò la somma. L’anno dopo
Merkel contraccambierà, ricapitalizzando Deutsche Bank con la cessione a
condizioni di favore della banca di Deutsche Post – senza obiezioni di
Bruxelles. A metà ottobre 2013 la Süddeutsche
Zeitung calcolava in 290 miliardi gli interventi del governo tedesco dal
2008 a favore delle banche. Una cifra record. Ma molti interventi sono del tipo
propiziato da Ackermann, e poi a lui ricambiato.
“Un metodo, insomma, che è una dittatura, il criterio gestionale dello
spregiudicato svizzero, del mordi e fuggi. Del breve e brevissimo termine, del
guadagno immediato, dello “strozzo”. Nel quale ha inciampato nell’ultimo incarico,
la presidenza di Zurich Insurance, avendo vessato il direttore finanziario
della compagnia al suicidio, agosto 2013. Una sorta di Shylock, il mercante di
Venezia di Shakespeare, meno loquace ma, se possibile, più spietato, quello che
chiedeva la libbra di carne viva a chi non pagava il prestito.
“A maggio 2012 Ackermann sarà in pratica licenziato, dai piccoli azionisti
Deutsche, e dai grandi. Ma dodici mesi prima proiettava “una lunga ombra
sull’Europa”, notò il New York Times.
In precedenza, il 18 ottobre 2010, sul lungomare di Deauville, Angela Merkel
aveva imposto a Sarkozy, quindi all’Ue, il principio che “gli Stati possono
fallire” - la Grecia, ma non solo. Era la ricetta Ackermann: non ristrutturare
il debito (allungare le scadenze, tagliare gli interessi) ma farlo pagare con l’austerità,
anche cruenta. A questo fine limitando gli aiuti Ue. Il capo della Banca
centrale europea, Jean-Claude Trichet, francese, reagì furioso: “Non vi rendete
conto di cosa provocate”. Ma il suo presidente, lo statista emerito Sarkozy, lo
mise a tacere.
“Al
contempo, in una sorta di divisione del lavoro sporco, i consiglieri monetari
di Angela Merkel impedivano alla Bce ogni intervento calmieratore, Axel Weber,
Jürgen Stark, Jens Weidmann. Tre personaggi influenti, accreditati portavoce
della migliore Germania, di saggeza incontestabile e potere decisivo. Anche se
il curriculum di Weidmann si limita a una laurea, e ad alcuni anni di servizio
nella segreteria di Angela Merkel. Alla svendita Btp della primavera 2011 seguì
un’estate di comode incursioni sui “latini” sbandati. I fondi hedge favorirono l’offensiva allineandosi
pronti. I fondi sovrani, pensione, d’investimento si adeguarono in automatico.
Le vendite di Btp non si limitarono al ribasso (short) dei future, il mercato
cash fu coinvolto, il giorno per
giorno. In pochi mesi il future sul
Btp si deprezzò del 22 per cento: da 110 sul nominale all’avvio delle vendite
Deutsche, aprile 2011, quotazione sopravvalutata a motivo della solvibilità del
debito, crollò a 87,5 a novembre. Mentre il Bund saliva dal 125 al 140 per
cento del nominale. Il divario tra le due quotazioni è lo spread.
“Analogo
attacco veniva sferrato contro la sterlina - una ripetizione della più
redditizia speculazione del dopoguerra, quella del 1992 contro la sterlina e la
lira. La Banca d’Inghilterra reagì comprando Gilt senza limiti, la più grande
manovra di politica monetaria dalla crisi del ’33 – quantitative easing o stampa di moneta. D’intesa con la Federal
Reserve, che anch’essa difese i Treasury Usa col quantitative easing. Con successo immediato, e senza accrescere di
un decimale l’inflazione. Facendo anzi guadagnare il Tesoro Usa, cui la Fed
riversò utili per 79 miliardi di dollari nel 2009 e per 77 miliardi nel 2011 –
più degli interessi che il Tesoro aveva pagato alla Fed sui suoi titoli. Ciò
che la Germania invece impedì alla Bce, facendo sbarramento con la Bundesbank, i
suoi consiglieri Bce, e una politica accorta.
L’Italia era “paragone
della virtù di bilancio” a inizio 2011, a giudizio dell’Ocse. Che nel 2007-2010
ne rilevava un deficit di bilancio più basso rispetto agli altri paesi
industriali. E migliorato nel quadriennio di 0,2 punti, dall’1,3 all’1,1 del
pil, una volta “corretto dagli effetti del ciclo” (cioè dall’aumento dei
tassi), rispetto agli Usa (- 4,9), all’Eurozona (- 1,9) e al Giappone (- 1,4)….
“
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