domenica 10 dicembre 2017

L’offensiva tedesca contro i Bot

La Procura di Milano ha deciso di indagare Deutsche Bank sulla manipolazione del mercato dei titoli italiani nel 2011. Una speculazione a freddo: Deutsche Bank liquidò tutti i Bot e i Btp italiani, e poi, quando si fu ricoperta, per lucrare sul riacquisto, cioè per inabissare i titoli, lo fece sapere al “Financial Times”. Che naturalmente ne diede notizia - della vendita, non della ricopertura.
La Procura si muove infine su un fatto non segreto. Ma, è vero, taciuto dai giornali italiani, impegnati allora contro Berlusconi, cioè contro il governo nazionale.
Il caso spiega in dettaglio G. Leuzzi, “Gentile Germania”, un libro del 2013, al § La ricetta Ackermann:
“Sul debito bisogna intendersi: la colpa qui, per la Germania, è senza dubbio dei latini. Prendiamo il caso dell’Italia, dell’offensiva contro i Btp della primavera 2011, i buoni del Tesoro italiano. La Deutsche Bank, subito imitata dalle banche tedesche minori, vendette tutti i suoi Btp, che allora quotavano a valori superiori al nominale. Vendette cioè non per ricoprirsi da perdite ma per guadagnarci. E a luglio ne informò il Financial Times, dopo aver ricomprato Btp a termine, a prezzo prevedibilmente più basso. E aver fatto incetta di credit default swap collegati ai Btp, titoli di controassicurazione sul rischio insolvenza dell’Italia, sui quali intanto lucrava un rendimento elevato. Con una mano. Con l’altra diffuse a fine luglio un rapporto favorevole ai Btp.
“Un modello di speculazione. Fu l’inizio della crisi dell’Italia. Innescata a freddo, non per caso. Era a capo di Deutsche Bank Josef Ackermann, “il più potente banchiere del mondo” per il New York Times. Potente coi politici, in Germania e fuori – in Italia aveva Giuliano Amato a “maggior consulente”. Per Simon Johnson, capo economista al Fondo Monetario, “uno dei banchieri più pericolosi del mondo”. Amministratore delegato dal 2002, aveva impegnato Deutsche Bank nei mutui senza garanzie, la bolla scoppiata nel 2007. Per queste e altre attività arrischiate della sua gestione - la vendita di derivati agli enti locali in Italia e la manipolazione dei tassi interbancari – la banca tedesca è tuttora la più coinvolta in azioni risarcitorie, per fronteggiare le quali accantona in bilancio tre miliardi.
“Ackermann era stato a capo del Credit Suisse dal 1992 al 1996. Nel 1996 fu cooptato nel consiglio della Deutsche Bank e in quello della Mannesmann, la banca e la fiduciaria più potenti della Germania. Nel 2002, subito dopo l’ascesa al vertice della Deutsche, era stato accusato a Düsseldorf di corruzione nell’acquisizione di Mannesmann da parte di Vodafone, nel 1999. Assolto rapidamente, ebbe la sentenza cassata dalla Corte Costituzionale. In appello, quattro anni dopo, aveva patteggiato un indennizzo di 3,2 milioni, col diritto di dichiararsi non colpevole.
“Nella prima parte dell’affare, la cessione da parte di Olivetti di Omnitel Pronto Italia, nota coi marchi Wind e Infostrada, a Mannesmann, la Oliman, finanziaria di diritto olandese del gruppo italiano, allora di Carlo De Benedetti, realizzò una plusvalenza di 14.200 miliardi di lire. Düssel-dorf contestava inizialmente – la traccia fu presto trascurata – il trasferimento di tali ingenti somme, a carico e a beneficio di Mannesmann, in paradisi fiscali. Olivetti si risparmiò nella vendita Omnitel 3.800 miliardi d’imposta al fisco italiano, il 27 per cento della plusvalenza. Nello stesso 1999 Mannesmann aveva ceduto Wind e Infostrada all’Enel, allora gestito da Franco Tatò, per 11 mila miliardi.
“A settembre del 2008 Ackermann aveva salvato la Hypo Real Estate, il gruppo tedesco specialista dei mutui, vicino al fallimento per la crisi. Un piano pubblico di salvataggio da 35 miliardi era stato autorizzato dall’Ue a condizione che i soci ne sottoscrivessero un quarto, 8,5 miliardi. I soci si rifiutarono. Seguì una fase concitata, con Hypo falliva la Germania modello. Angela Merkel si rivolse allora ad Ackermann, che in poche ore trovò la somma. L’anno dopo Merkel contraccambierà, ricapitalizzando Deutsche Bank con la cessione a condizioni di favore della banca di Deutsche Post – senza obiezioni di Bruxelles. A metà ottobre 2013 la Süddeutsche Zeitung calcolava in 290 miliardi gli interventi del governo tedesco dal 2008 a favore delle banche. Una cifra record. Ma molti interventi sono del tipo propiziato da Ackermann, e poi a lui ricambiato.

“Un metodo, insomma, che è una dittatura, il criterio gestionale dello spregiudicato svizzero, del mordi e fuggi. Del breve e brevissimo termine, del guadagno immediato, dello “strozzo”. Nel quale ha inciampato nell’ultimo incarico, la presidenza di Zurich Insurance, avendo vessato il direttore finanziario della compagnia al suicidio, agosto 2013. Una sorta di Shylock, il mercante di Venezia di Shakespeare, meno loquace ma, se possibile, più spietato, quello che chiedeva la libbra di carne viva a chi non pagava il prestito.  
“A maggio 2012 Ackermann sarà in pratica licenziato, dai piccoli azionisti Deutsche, e dai grandi. Ma dodici mesi prima proiettava “una lunga ombra sull’Europa”, notò il New York Times. In precedenza, il 18 ottobre 2010, sul lungomare di Deauville, Angela Merkel aveva imposto a Sarkozy, quindi all’Ue, il principio che “gli Stati possono fallire” - la Grecia, ma non solo. Era la ricetta Ackermann: non ristrutturare il debito (allungare le scadenze, tagliare gli interessi) ma farlo pagare con l’austerità, anche cruenta. A questo fine limitando gli aiuti Ue. Il capo della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet, francese, reagì furioso: “Non vi rendete conto di cosa provocate”. Ma il suo presidente, lo statista emerito Sarkozy, lo mise a tacere.
“Al contempo, in una sorta di divisione del lavoro sporco, i consiglieri monetari di Angela Merkel impedivano alla Bce ogni intervento calmieratore, Axel Weber, Jürgen Stark, Jens Weidmann. Tre personaggi influenti, accreditati portavoce della migliore Germania, di saggeza incontestabile e potere decisivo. Anche se il curriculum di Weidmann si limita a una laurea, e ad alcuni anni di servizio nella segreteria di Angela Merkel. Alla svendita Btp della primavera 2011 seguì un’estate di comode incursioni sui “latini” sbandati. I fondi hedge favorirono l’offensiva allineandosi pronti. I fondi sovrani, pensione, d’investimento si adeguarono in automatico. Le vendite di Btp non si limitarono al ribasso (short) dei future, il mercato cash fu coinvolto, il giorno per giorno. In pochi mesi il future sul Btp si deprezzò del 22 per cento: da 110 sul nominale all’avvio delle vendite Deutsche, aprile 2011, quotazione sopravvalutata a motivo della solvibilità del debito, crollò a 87,5 a novembre. Mentre il Bund saliva dal 125 al 140 per cento del nominale. Il divario tra le due quotazioni è lo spread.
“Analogo attacco veniva sferrato contro la sterlina - una ripetizione della più redditizia speculazione del dopoguerra, quella del 1992 contro la sterlina e la lira. La Banca d’Inghilterra reagì comprando Gilt senza limiti, la più grande manovra di politica monetaria dalla crisi del ’33 – quantitative easing o stampa di moneta. D’intesa con la Federal Reserve, che anch’essa difese i Treasury Usa col quantitative easing. Con successo immediato, e senza accrescere di un decimale l’inflazione. Facendo anzi guadagnare il Tesoro Usa, cui la Fed riversò utili per 79 miliardi di dollari nel 2009 e per 77 miliardi nel 2011 – più degli interessi che il Tesoro aveva pagato alla Fed sui suoi titoli. Ciò che la Germania invece impedì alla Bce, facendo sbarramento con la Bundesbank, i suoi consiglieri Bce, e una politica accorta.
L’Italia era “paragone della virtù di bilancio” a inizio 2011, a giudizio dell’Ocse. Che nel 2007-2010 ne rilevava un deficit di bilancio più basso rispetto agli altri paesi industriali. E migliorato nel quadriennio di 0,2 punti, dall’1,3 all’1,1 del pil, una volta “corretto dagli effetti del ciclo” (cioè dall’aumento dei tassi), rispetto agli Usa (- 4,9), all’Eurozona (- 1,9) e al Giappone (- 1,4)…. “

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