“A
Julia piacevano gli uomini alti con le mani forti e gli occhi tristi”. Il
racconto procede così: la terza persona non basta a Nabokov, vuole oggettivare
ancora di più.
Una
sorta di autofiction per gioco di specchi – affidata per la pubbliacazione nel
1972, cinque anni prima della morte, al figlio Dmitri. Seppure al modo suo, tutto
in esterni, si direbbe al cinema.
Dedicato,
come tutto di Nabokov, a Véra, la moglie manager, editrice e tradutrice, ma
questo con più senso, il racconto è del
pensiero proibito di chi nella coppia si rivede solo, per un qualche incidente
della vita. In Svizzera, paese di elezione, che il protagonista vede e rivede
quattro volte, da ragazzo in vacanza, da giornalista per un’intervista, da marito
quasi criminale, e da ultimo per una riflessione sulla vita, la sua e quella di
tutti. Sorridente, anzi sornione, nome una parodia del “Nabokov”. A effetto
paradossale: di ritrovarsi ingombro dell’altro, sempre nella sua compagnia, per
quanto colpevole e non accidentale sia stato l’evento separatore..
Tradotto
con la stessa eleganza dell’originale da Dmitri Nabokov, il figlio ora
scomparso, che cantava da basso ed era fine italianista. C’è nudo il “metodo”
di Nabokov, del tutto visto dall’esterno, senza l’artificiosità della École du
regard, ma con lo stesso effetto straniante: lo scrittore non s’immischia nella
psicologia dei suoi personaggi. Con, forse, un piccolo autoritratto, come
romanziere russo a Ginevra, in viaggio, “novantuno, novantadue, forse
novantatré anni fa”, verso l’Italia, con “i fogli sparsi di un embrionale
romanzo dal titolo provvisorio Faust a
Mosca”. Pieno di ardori ma confuse o poco passionale, al debutto in amore “nella
sua cttà natale aveva corteggiato una madre di trentotto anni e la di lei
figlia di sedici”” – “Per ragioni ottiche e animali l’amore sessuale è meno
trasparente di molte altre cose ben più complicate”.
Un
libro di divagazioni in realtà. La matita scorrre per tre apgine come nel famoso
sketch di Tognazzi e Vianello, sul “troncio” etc. da cui l’esile manufatto
viene fuori. E pensieri sparsi: “La notte è sempre un gigante”, etc.
Vladimir
Nabokov, Cose trasparenti
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