mercoledì 13 dicembre 2017

Secondi pensieri - (329)

zeulig

Coscienza – Savinio (“Scatola sonora”, 75), ne ha una “esteriore” e una “interiore”. Quella è “la condizione di minorità degli uomini che vivono nella imposta tranquillità e incoscienza delle organizzazioni monoteiste”. Questa è quella dei Greci: “Tra i popoli dell’antichità i Greci furono singolarissimi soprattutto in questo, che essi furono sempre alieni da ogni concetto monoteista, e conobbero la ricchezza di una coscienza propria (o coscienza interiore: diversamente dalla «coscienza esteriore» degli altri, la quale fa sì che anche l’uomo più profondamente mistico rimane pur sempre un uomo privo di coscienza propria e dunque un futile, un frivolo, un superficiale) e conobbero il sentimento «romantico», questo sentimento malinconico, disperato ma altissimo e orgogliosissimo, che sol conoscono coloro che hanno un destino proprio e indipendente da qualsiasi autorità o temporale o spirituale “ – e da qualsiasi Libro, si può aggiungere.
Che (non) è Nietzsche?

Estetica – Non ce n’è bisogno, decreta Borges nel 1969, per i suoi settant’anni: “Diffido delle estetiche”, afferma nel breve “Prologo” all’“Elogio dell’ombra”, una raccolta di poesie e prose molto estetizzante. Per una ragione precisa, spiega, che ogni artista ha la sua: “Le estetiche variano con ogni artista e perfino con ogni opera e non possono essere altro che stimoli o strumenti occasionali”. Aggiungendo, forse senza ironia, a beneficio dei lettori della raccolta che presenta: “Agli specchi, i labirinti e le spade che già prevede il mio rassegnato lettore si sono aggiunti due temi nuovi; la vecchiaia e l’etica”.
Di sé ha comunque dato, sotto la denominazione di “tecnica” e non di estetica, una serie di regole di scrittura.

Etica – Si vuole protestante, da Max Weber a Borges. Ma sempre in una sorta di Kulturkampf, di guerra al cattolicesimo. Anche se l’attribuzione di Weber è temperata, fra le confessioni protestanti egli attribuendola, l’etica come la razionalità  al pietismo, un luteranesimo molto vicino al cattolicesimo - le origini del capitalismo, questione ora dismessa, sono ben cristiane, e fino a metà Cinquecento ovviamente cattoliche, dopo anche cattoliche, a Milano, Colonia, Bruges, Anversa.
La distinzione è più accentuata tra gli scrittori. Borges: “Una delle virtù per le quali preferisco le nazioni protestanti a quelle della tradizione cattolica è l’attenzione all’etica”. Lo scrittore si vuole anticonformista a pelle, e idealizza anche generoso il prato del vicino, ma c’è molto di antietico in questa distinzione confessionale.
“La prudenza e la giustizia sono preminenze e virtù che corrispondono a tutte le epoche in tutti i luoghi”, osservava il dottor Johnson a metà Settecento – l’osservazione faceva in risposta al proposito un  secolo prima di John Milton di educare i ragazzi della sua accademia piuttosto nelle scienze, la fisica, le matematiche, l’astronomia, le scienze naturali: “Siamo perpetuamente moralisti e solo a volte geometri”.

Individuo – Vale come per la coscienza: se Dio fosse nel processo di negazione e oltrepassamento, allora sarebbe un serial killer - una cosa è o non è. Lo vede ognuno che l’io protestante, o idealismo, è l’umiliazione dell’individuo, per quella rivolta contro l’oggetto che è invece il soggetto, una moltitudine di soggetti, mai riducibili a oggetti, anche perché lavorano insieme alacri per approfondirsi e moltiplicarsi, cosa di cui il Vaticano e la chiesa sempre sono stati al corrente.

Morte – “Pensiero infantile” la dice Savinio, “Scatola sonora”, 58. Lo dice a proposito di Mozart, del suo persistente “infantilismo” (“Anche il pensiero della morte, così costate nell’animo di Mozart, è un segno della sua perenne infantilità”): “Caratteristica dell’animo infantile è anche l’«angoscia della città sconosciuta»”.

Ragione - Il cherubino di Alain de Lisle ha tre paia d’ali, che tuttavia non eliminano la pesantezza. La Natura, concluse il beato, “forma un vero paralogismo”. Alain, Alanus de Insulis, per il quale paralogismo è pure il coito di Pasifae col toro, e sofisma: “Pasifae, da un’iperbolica Venere agitata di furori, risolvendosi a un vergognoso paralogismo, commise col toro stupendo sofisma”. Cosa credere, che si possa credere? Lo sviluppo della ragione è zero.
Da duemilacinquecento anni che esiste, dacché si raccolgono e confrontano i suoi elaborati, la storia del pensiero è piatta. Anche il progresso è zero, in quanto ragione. L’uomo è cresciuto in altezza e la vita media è triplicata, ma c’erano una volta giganti, che vivevano mille anni – anche se, è indubbio, l’età del ferro s’è perfezionata. Non c’è dunque nulla a cui credere.
La ragione affascina perché è una sfida, come il tempo, imprendibile. Si può credere in Dio, che è complicato ma avvicinabile, è come voler bene a una persona, la fede è immaginazione. Di cui poi dire che ci ha dato questo rompicapo, la ragione. Dio è anche un passatempo, naturalmente, come la ragione - un’altra prova se ne può configurare.

Storia – La storia è avvincente dopo Lessing, diventando, per essere edu-catrice del genere umano, superflua quando l’uomo è maturo. O comincia con l’accesso dell’uomo alla maturità, e allora apre una prospettiva infinita: scrivere la storia è approssimare la perfezione – la fine della sto-ria – approssimando la verità. Avventura appassionante, rigettare la veri-tà per consentire all’uomo di vivere, in qualche modo. La verità importa a Dio, e da questo punto di vista è nota. Per l’uomo è un perturbante, dirà Freud, impedendo la tolleranza, che vuole ragione, e ne svia lo sviluppo.

Viaggiare – È la dromomania un istinto, derivato dal nomadismo – se è vero che tutti siamo stati nomadi patriarcali? Ma c’è bene chi non ama nemmeno uscire di casa – lo fa con difficoltà, per necessità pratiche. Mentre non c’è chi non vuole mangiare, nemmeno fra gli ortoressici o gli anoressici. Non è un istinto primario: perché l’uomo vorrebbe andare lontano da casa? Che è una costruzione e non un dato, qualcosa che, anche se in misura limitata, affetti, abitudini, si è costruito.

zeulig@antiit.eu

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