martedì 5 dicembre 2017

Una scatola di sonora allegria

“Perché soltanto in musica allignano i fanciulli prodigio?  Perché il musicista è il meno creativo, il più ricettivo, il più femminile degli artisti”. Ma non battute o freddure, ragionamenti compiuti:  “Perché nel musicista l’ispirazione opera più che nelle altre arti (in pittura, arte maschile per eccellenza, l’ispirazione non esiste), ossia il fenomeno di una volontà esteriore che colpisce il musico e lo satura di sé”. Seicento pagine tutte da leggere, piene di intelligenza, il più spesso sorprendente.
Con punte vertiginose. “Fine dell’ironia, diversamente da come credono i più, non è di porre uomini
e cose in burla, ma di scoprire, velatamente e indirettamente, la verità più riposta in fondo agli
uomini e alle cose, così da non offenderli, da non guastarli, da non colpirli a morte, come
avverrebbe se questa riposta verità fosse tirara fuori direttamente e senza gli accorgimenti, la
delicatezza, l’ «anestesia» che in questa operazione, di tutte la più amara, mette l’ironia”. O il male:
è il male che dà sostanza – carattere, vigore alla vita. In anticipo sui tempi anche con la morte
dell’uomo, dopo quella di Dio: “L’uomo è morto, l’universo non è più umanistico”. Conseguenza
non inevitable dell’universo copernicano.
Savinio soffriva già del distinto egualitarismo che ci assedia, del postumano. Seppure a modo suo,
tra occhio di lince e compassione – ironia. A un certo punto rivendica con l’intelligenza, con
orgoglio e pregiudizio: “Sono immune da isterismi. Nessun complesso altera il mio giudizio. La
mia mente chiarissima antepone l’idea del giusto a qualsiasi altra idea”. Per poi continuare, contro
“la sterilità pretenziosa, madre feconda dei gruppi”: “La odio soprattutto nei Paul Valéry, negli
André Gide, nei suoi rappresentanti più pomposi. Il basso sentimentalismo di Puccini mi nausea,
quello dei Debussy e dei Ravel mi nausea anche più”. Goethe gli fa “venire l’orticaria”, come poi a
Bernhard – “questo equivoco colossale del pensiero e delle arti, questa caricatura del genio, questo
enorme e seccantissimo dilettante”.
Era un recensore che pensava mentre scriveva. Riletto poi oggi, in clima di bonaccia e correttezza, sa perfino di sulfureo, anche se è l’opera di un mite, che più che altro si divertiva. “Io vivo in una perpetua condizione di felicità”, segnala a metà pecorso: “E vivo così perché non do presa alla noia. E non do presa alla noia perché passo di continuo da poesia a poesia…”. Senza essere monomaniaco, benché gli scritti qui assemblati riguardino il Savinio critico musicale per i giornali, assiduo e professionale, negli anni 1940, durante la guerra e dopo. “Nella sua estrema civiltà, il Settecento era arrivato non alla confusione, ma alla soppressione dei sessi”. Sessanta, settant’anni fa, Savinio era già post-femminista, post-genere? “I personaggi del Settecento sono dei neutri sorridenti e abili a tutti i giochi. La determinazione sessuale il melodramma italiano la ritroverà col giovane Verdi, serio e inetto allo scherzo”.
Spesso divagante, curioso. Le nazionalità distingue in musica, italiana, russa (“il russo è l’uomo più
musicale del mondo”)., tedesca, inglese, francese, spagnola. La differenza tra Mussolini e Eden?
“Mussolini non conosceva Proust, Eden lo conosceva e lo aveva anche tardotto in inglese”. Tutti
pezzi di bravura, quelli qui trascritti, da antologia. Come se il recensore scrivesse per una
collettanea postuma, o è l’effetto di una scelta di gusto da parte degli editori. Comunque, una critica
militante di qualità eccellente. Gran “dilettante”, nell’accezione di Stendhal – che spesso evoca
prospettandosene una reincranazione - “nella mia vita anteriore, in persona di Henri Beyle”. E come
Stendhal “scintilla di spirito, brulica di idee”. Il critico esploratore. Il critico come Colombo, un
esploratore anche in terre e acque conosciute. Sulle quali esercita il piacere della scoperta. Di
pieghe sottili ma anche di vedute generali prima trascurate.
Savinio è una spugna, artista impregnabile. Sta coi musicisti, a Monaco  di Baviera, è musicista. Sta coi poeti e le avanguardie a Parigi, è poeta. Sta coi pittori in guerra a Ferrara, è pittore. Ma sempre pieno di umori. Era l’unico italiano a figurare nell’“Antologia dell’umor nero” di Breton, 1940.
Tutto del resto nella raccolta è appropriato, oltre che un po’ memorabile – suggestivo, significativo. Di Mozart e in genere: “L’infanzia non è una condizione naturale, è un’opera d’arte”. Delle coincidenze: “Nell’incontro fortuito delle parole i Greci riconoscevano la voce della divinità”.
Inventore. Alla “Norma” imputa il “costante «aeiouismo», la sua mancanza di consonanti”. Beethoven, di cui non c’è l’eguale, è pari e dispari: le sinfonie: “Tre, Cinque, Sette, Nove, numeri diaspari e «fatali»”, mentre le pari, “Due, Quattro, Sei, Otto” sono “le sinfonie piane di Beethovern, le sinfonie bianche, le sinfonie «senza Destino»”. In poche righe anche una sottile psicologia dell’italiano nel canto, del “bisogno di portarsi a terra con una decisa e secca cadenza”. Ritardato, al più, da “una «fioritura» (il nodo sonoro) che ritarda la cadenza”. La “cadenza” è il compimento della frase musicale. È il «sì» perentorio, la soluzione che non consente replica né differimento. «È così perché è così», «È così  non può essere altrimenti»: meglio: «non deve essere atrimenti». Anche la cadenza fa parte del cattolicismo italiano, dello spirito tolemaico degli Italiani”. Il “nodo” è “la complicatissima filigrana che preede la cadenza”: “Il cantante traccia cn la voce come dei nodi vocali, delle lunghissime circonvoluzioni, dei labirinti  a curve (di solito le vie del labirinto sono ad angolo) e vi si chiude dentro come un uccello nella gabbia, coe il baco nella seta, come la trottola nelo spago”, si riavvolge, “come una firma nel suo svolazzo”.
Si parte dalla musica indivìsibile, un paio di saggi seriosi. E si conclude sullo stesso tono elevato.
Sul canto, e sulla musica strumentale (contrapunto). Vengono in coda gli scritti teorici del 1914 a
Parigi, in francese – Savinio era a Parigi da musicista. Con le testimonianze di
Apollinaire e Breton. Ma la raccolta è soprattutto degli “scarti”, le deviazioni a sorpresa. In un
madrigale di Montevedi uno dei temi più noti del “Maestri cantori” di Wagner. Il “Bolero” di Ravel
è “un basso ostinato”. Bach è un “arabogotico”. Nietzsche, baffuto filosofo dagli occhi ingrottati” è
Monteverdi – Monteverdi ha scritto la musica che il filologo-filosofo avrebbe volute saper scrivere.
“La musica di Vivaldi va a gonfie vele”, quando si navigava a vela. “La musica è per sua natura
squisitamente invernale”.  “Il contrappunto è nella musica ciò che la dialettica è in filosofia. È la
dimostrazione del principio che «da cosa nasce cosa»”. “Il contrappuinto, e così la dialettica, vanno
a scapito della profondità”.
Con molti personaggi: Edwin Fischer, Paderewski, Gieseking, Furtwängler, Casella, De Sabata,
Igor Markevitch, Djaghilev. Solo contro il verismo perde l’amabilità, in letteratura e in musica.
Molto c’è di Bach e di Mozart – nonché di Wagner, e di Strawinsky. Bach è “cattolico” – irresistibile e incontrovertibile. Bach non è profondo: “Ed è appunto questa questa mancanza di profondità di Bach, questa sua ingenua serietà, questo suo «non costituire pericolo», che fanno il suo fascino e giustificano l’attrazione ch’egli esercita ormai sulla borghesia”. Bach visse nel Settecento, ma non ha nulla di quel secolo: la ragione? la Nuova Scienza? Copernico, Galileo? Mozart è eterno fanciullo. Fino ai 35 anni. Si sceglie la parte di Leporello: “Nel «Don Giovanni, il personaggio nel quale Mozart «si è messo» è Leporello”». Schumann è l’eterno adolescente.
Le citazioni sarebbero interminabili. Con pregiudizi, e qualche limite. Su Cézanne. Ma, anche qui, vedendo nell’insieme sempre chiaro: Cézanne fa la pitturta all’“epoca dell’ingegnere ateo”, del positivismo, secondo Ottocento. Su Puccini, su Wagner. In tanta assidua militanza, da critico settimanale, forse anche quotidiano, non una pagina su Puccini, giusto accenni derisori: “basso sentimentalismo, “compositore per la media e piccola borghesia, immediatamente superiore all’autore di operette e a quello di romanze da camera”. Di Wagner, non amato benché rispettato, ovunque trovando orme di “prestiti” non dichiarati, da Rossini, da Beethoven, da Bach.
La riedizione si aggiorna. La raccolta è la stessa pubblicata da Ricordi nel 1955, tre anni dopo la morte di Savinio. Completa con l’appendice documentaria aggiunta all’edizione Einaudi del 1977. Il saggio conclusivo dell’edizione Einaudi, di Fausto Torrefranca, è qui sostituito da uno di Mila De Santis, l’introduzione di Luigi Rognoni da quella del curatore Francesco Lombardi.

Alberto Savinio, Scatola Sonora, Il Saggiatore, pp. 600 € 34

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