Bipartitismo
– Si è
tentato per venticinque anni, e si tenta ancora, di imporlo per legge
elettorale. Senza formazioni partitiche degne di questo nome, forti cioè di una
tradizione, organizzativa ed elettorale (di sistema elettorale), e di una
disciplina etico-giuridica – l’unica che tenta di imporla è la formazione di Grillo,
che è la più anti-partito, e peraltro la tenta con metodo antidemocratico.
Un residuo della modernizzazione intesa, a fine
Novecento, come importazione di schemi e modelli anglosassoni. Il bipartitismo
quindi come il confusionario sistema universitario, della laurea breve, o il depotenziamento
dei licei, dove non si studia più nulla. Una camicia di forza in realtà, per
impacchettare coalizioni, che fatalmente, dopo il voto, tendono a
diversificarsi e a dissolversi. Accompagnata da una legge sul
finanziamento dei partiti, al Parlamento nazionale e in quelli regionali, che
invita alla frammentazione, alla costituzione di gruppi autonomi, perfino di un parlamentare (si ottengono, pagati
dall’erario, tre e quattro collaboratori personali, e una sede).
Il bipolarismo è stato introdotto forzosamente
per favorire la governabilità. Contro la neghittosità, il rinvio, l’indecisione,
e il negoziato perpetuo su ogni minimo provvedimento, che favorisce gli
interessi particolari a scapito della funzionalità. Ha invece allargato l’ingovernabilità:
ha portato alla caduta surrettizia e occasionale dei due governi Prodi, e all’inefficacia
dei governi Berlusconi, preda sempre delle componenti più grette e retrive delle
coalizioni di destra (le cacciate di Tremonti, la mancata vendita degli alloggi
popolari, perché “i sottufficiali dell’Aeronautica a Roma si oppongono”…. ).
Fascismo
– Si
riabilita Starace, dopo Bottai e Ciano, gli architetti, Rocco, e gli anni del
consenso. Dimenticando, un po’, Matteotti e Gramsci: la libertà vale meno oggi,
nel regime dei diritti, o un assassinio. Fino alle leggi razziali, certo – non
subito nel 1938, la cosa non fu afferrata subito, qualche mese o anno dopo. Il
fascismo ha solo perso la guerra?
Governo – Un storia dei governi non
c’è, e quindi è azzardato sistematizzare. Ma avendone vissuto una lunga teoria,
diciamo dall’estate del 1963, del governo balneare i Giovanni Leone, che personalmente indirizava due
gruppi di studenti, ognuno di una dozzina
di partecipanti, per un’esperienza sul campo del sottosviluppo e della
cooperazione allo sviluppo, promossa dall’Iri in Tunisia e in Marocco, se ne
può abbozzare una.
Si possono distinguere governi qualificati e
attivi, di ministri in qualche modo conoscitori e anche specialisti del proprio
campo: il quarto e quinto De Gasperi, Monti, Ciampi, Amato, Craxi. O per elevato
spessore politico: i primi tre governi De Gasperi, nell’immediato dopoguerra, e
il Craxi. Governi di gruppo, o ammucchiata: gli ultimi De Gasperi, i due
Spadolini, quelli di Prodi e di Berlusconi. Governi inutili e inerti: i due promossi
da Andreotti nel quadro della “solidarietà nazionale” o del compromesso storico,
tra il 1976 e il 1979. Negli intervalli molti governi sono stati “monocolore”,
cioè democristiani - seppure assistiti da “tecnici”, altrettanto democristiani:
quasi sempre minoritari, sono però tra i più attivi, solo un po’ meno del primo
gruppo.
Iraq
–
La liberazione voluta quindici anni fa dall’Occidente sta producendo la più
gigantesca caccia all’uomo nel mondo, con conseguente esodo, dalla fine della
seconda guerra mondiale. Un fatto oscurato dalla guerra in Siria col terrorismo
islamico, ma di dimensioni più ampie dell’esodo dalla Siria, con più profonde
implicazioni storiche, culturali. Sono infatti in via di eliminazione le
minoranze, etniche o religiose, che qualificavano il Paese. Cancellati i caldei
o assiri, in diaspora questi da molto tempo, dall’Ottocento, prima degli armeni
e poi con gli armeni, con i quali si confondevano, specie quelli attorno a Mossul.
Ritorna la caccia ai curdi, che tuttora sono tra un sesto e un quinto della
popolazione. I cattolici romani, che erano un milione e mezzo alla caduta di
Saddam nel 2003, sono ora meno di mezzo milione. Presidiavano Ninive, la vecchia
capitale degli assiri, la maggioranza della popolazione locale, due terzi dei
175 mila abitanti, e sono scomparsi – forse nelle regioni a Nord, tra i curdi.
Gli yazidi, che popolavano il Nord al confine con la Turchia, attorno al monte
Sinja, sono scomparsi anche loro, colpevoli di non essere islamici – gli yazidi praticano
una religione animista. I mandei si soni
ridotti da 600 mila a 60 mila: sono detti “cristiani di san Giovanni”, una confessione
gnostica che usa celebrare il battesimo nel Tigri. Gli ebrei erano scomparsi
già con l’arabismo di Saddam – erano una comunità rilevante in Iraq, di circa
130 mila membri.
Islam
–
È l’Occidente che forgia questo islam, militante: in Afghanistan, in Iraq, in
Siria, in Libia, con tentativi abortiti dapprima nel Libano, e poi in Algeria,
in Egitto, in Tunisia. Fanatizzandolo e finanziandolo, lautamente, attraverso
le petromonarchie della penisola arabica. E ora con Erdogan, altro potentato
portato dall’Occidente. Non se ne parla, ma è un fatto notorio. Che il
professor Wael Faruk, un egiziano mussulmano, docente a Scienze linguistiche
alla Cattolica di Milano, così sintetizza a formiche.net: “L’attentato di
Istanbul è conseguenza del sostegno di Erdoğan ai gruppi combattenti islamisti
in Siria, come al-Nusra. Potenze regionali come il regime di Erdoğan pensano di
poter controllare gruppi come al-Nusra per poterli usare per i propri scopi.
Forse possono controllare il destino del gruppo intero, ma non le migliaia di
individui che a questo gruppo appartengono, cui è stato fatto il lavaggio del
cervello e sono pronti a farsi esplodere in nome di Dio”. Una fanatizzazione
che viene da Occidente: “Alcuni autori occidentali hanno propagandato Erdoğan
come simbolo di un islamismo moderato”, ma non ci sono mezze misure:
l’islamismo è “un’ideologia”. E: “Non è favorendo un’ideologia religiosa moderata
che l’Europa combatterà quella estremista del terrorismo. Nel mondo
dell’ideologia vince il più fanatico e organizzato, che arma la cultura della
violenza”.
Faruk ne spiega anche i meccanismi: “In
Siria l’Occidente ha compiuto il grave errore di sostenere, nei primi anni del
conflitto, i gruppi islamisti armati, presentandoli come combattenti per la
libertà. Ora migliaia di giovani europei che si sono arruolati in questi gruppi
e hanno giocato un ruolo in questa guerra, cosa faranno se l’accordo di pace
avrà successo? Non penso che torneranno in Europa per riposarsi, ma per
continuare la loro lotta e vendicare la caduta del Califfato. È già successo negli
anni ’90, quando, finita la guerra in Afghanistan contro i sovietici, i
combattenti islamici sostenuti dall’Occidente sono tornati in Algeria, Egitto e
Tunisia e abbiamo avuto un decennio di terrorismo”.
Riforma – La divisione maggiore –
peggiore – della cristianità, anche probabilmente la più sanguinosa, non fu
l’esito di un’eresia o di uno scisma, ma un fatto politico: l’insubordinazione
di un monaco.
Terrorismo
islamico – Ne è
ben nota nel mondo arabo e islamico la matrice, nonché le protezioni di cui
gode, nelle sue varie denominazioni – ora prevalente l’Is. In Tunisia, in Algeria,
nel Marocco, in Egitto, nel Libano, dovunque c’è ancora un minimo di opinione
pubblica, di dibattito. La matrice è salafita-wahabita, cioè saudita. I suoi
mullah vengono dall’Arabia Saudita, dal Qatar e dalla Turchia. Le moschee più
prestigiose anche, in Nigeria, in Germania e altrove. Finanziamenti e armi a
profusione dall’Arabia Saudita, dal Qatar e anche dalla Turchia. Non all’oscuro
degli Stati Uniti, e quindi con il loro supporto – la neutralità in materia di
terrorismo non è no, e nemmeno ni, è si.
Di questo però non c’è traccia nelle tante
monografie dedicate al fenomeno, da Ahmed Rashid e i Talebani a Loretta
Napoleoni e l’Is. Sono panoramiche fornite dai servizi d’informazione Usa e
britannici? Le monografie francesi sono
già diverse - ma sembrano non sapere
molto degli ultimi sviluppi, diciamo del Millennio (gli studiosi francesi non
leggono più i giornali nordafricani? È vero che il Maghreb sta abbandonando il
francese, il bilinguismo).
astolfo@antiit.eu