Acqua – Consigliata e anzi prescritta dai medici “almeno due litri
al giorno”, l’acqua si riscopre ora dannosa e perfino mortale, se bevuta in
eccesso. La medicina va per tormentoni, non è cambiato nulla? Ora tutti
antibiotici, ora niente antibiotici, ora correre ora non correre, ora acqua,
ora no. Si fanno campagne contro il Dhmo, Di-Hydrogen-Mon-Oxide, , il monossido
di idrogeno, detto acqua. Il web è pieno del caso della donna inglese che ha
rischiato al vita per aver bevuto troppo tisane. Qualche anno fa alla maratona
di Boston un concorrente su otto risultò affetto da ipobatriemia, dopo aver
rischiato il collasso in corsa: la troppa acqua ingerita ne aveva diluito
rischiosamente il sangue. Scrivendo nel 1953 un omaggio all’archeologo tedesco Ludwig Curtius,
“Storia dello spirito tedesco”, il filologo Giorgio Pasquali ricorda che l’acqua
era proibita in Germania. Comincia rievocando il padre di Curtius, il medico
Ferdinand, il quale, “grande amico della natura”, insegnava, come Rousseau,
“che si devono sopportare stoicamente fame e sete”. Anzi, “era convinto che il
bere acqua fosse superfluo e nocivo all’organismo, come ne sono ancor oggi
persuasi molti Tedeschi, medici e non”. Pasquali ne fa esempi terribili. “Ogni
Italiano, in Germania, soffre non scorgendo sulla mensa di famiglia né
bottiglia né bicchiere, e io so di figli fiorentini di mamma tedesca a cui
durante l’estate, che qui a Firenze è così calda, così umida, così soffocante
veniva negato ogni conforto liquido”.
Ci sono cicli nella filosofia della salute. Ma, a differenza di
ogni altro pensiero, si ritengono di volta in volta tassativi. La medicina reputandosi
una scienza, quindi incontestabile.
Globalizzazione – Ha ridotto le
disuguaglianze, notevolmente. Ha introdotto il mondo, in buona misura anche la
derelitta Africa, ma soprattutto l’Asia e l’America Latina, alla ricchezza – al
capitalismo, all’accumulazione (arricchimento), alla produzione del reddito
invece della stagnazione. Un paio di miliardi di persone sono uscite dalla
stagnazione e la povertà. Trent’anni fa le allora “economie emergenti” , ex
sottosviluppate, contavano per un terzo del pil – a parità di potere d’acquisto
– del G 7, il gruppo dei sette paesi più industrializzati o ricchi. Oggi hanno
il G 7 e il resto del mondo hanno peso uguale.
Lingue – Quante parole in
una lingua? Borges calcolava nel 1927, “L’idioma degli argentini”, 60 mila
parole per lo spagnolo - cifra che considerava eccessiva, cioè poco utile. E 34
mila del francese. Ma sono calcoli approssimativi. Luca
Lorenzetti, “L’italiano contemporaneo”,
calcola per l’italiano fra 215 e 280 mila unità lessicali (lessemi). Senza
contare le coniugazioni e le declinazioni, i plurali, i plurali del genere
(molti aggettivi ne hanno quattro maschile\femminile e singolare\plurale). Comprendendo
queste forme, Lorenzetti stima in più di due milioni “il numero delle parole
dicibili e scrivibili in italiano”.
Lo stesso linguista ricorda per di più che dei
circa 260 mila lessemi costituenti il patrimonio lessicale dell’italiano, oltre
50 mila hanno più di un’accezione, oltre 27 mila hanno più di due accezioni,
oltre 9 mila hanno più di cinque accezioni, 100 hanno più di 20 accezioni, una
decina più di 30…
L’inglese ne ha tre volte tante: i 23
volumi dell’Oxford English Dictionary registravano vent’anni fa più di 615 mila parole definite.
Al 2010, secondo il texano Global Language Monitor, l’inglese aveva un milione di parole,
il cinese cantonese 500 mila, l’italiano 300
mila, lo spagnolo 250 mila, il francese solo 100 mila. Che però non si reputa
meno espressivo.
Non si fanno i conti per il tedesco, che le
parole usa spesso anche composte, e scomposte.
Lutero – Ribelle per caso, si è
detto nella celebrazione cinquecentenaria, ribadita per la visita del papa alla
federazione luterana in Svezia. E anzi controvoglia, costretto dalla cecità
della chiesa. Mentre lo era di vocazione. E non lasciò il convento per la
preghiera o la meditazione ma per l’azione, per la seconda metà della sua vita,
da Wittenberg alla fine. Questa viene sottaciuta, in chiave ecumenica, che
smussa e lima. Ma Lutero fu un condottiero, sebbene di poca arte e poca
fortuna.
“I
predicatori sono grandi assassini, perché
sobillano alla rivolta e poi incitano l’autorità a punire i ribelli. Nella
sommossa ho ucciso tutti i contadini. Ma rovescio la responsabilità su Nostro
Signore che mi ha ordinato di parlare”. Questo non è Rabelais o Simplicissimus, né il diavolo: Lutero lo soleva dire, dieci
anni dopo aver inforcato come moglie legittima l’ex monaca cistercense
Katharina de Bora nell’anno fausto 1525. Lo stesso nel quale i suoi principi
trafissero in battaglia, e accecarono, afforcarono, decapitarono, bruciarono
vivi centomila contadini. Col pericolo che la Germania restasse senza patate. È Lutero epicureo dei “Discorsi a tavola”, che nega a Erasmo il
libero arbitrio e poi dice: “Perfino Dio non può nulla senza uomini saggi”,
alludendo a se stesso, i profeti anzitutto profetizzano di sé.
Antisemita convinto, e non perché gli ebrei
considerasse deicidi. Biblista e tutto,
gli ebrei, diceva, leggono attraverso la merda. Famosa la sua “prova”: non so se gli ebrei uccidono i bambini e avvelenano le acque, però
so che se lo potessero fare non gliene mancherebbe la volontà. Lutero è feroce sullo sradicamento degli ebrei
che poi Hitler attuerà, l’Ausrottung,
la parte che non si traduce del lungo trattato “Degli ebrei e le loro
menzogne”: “Sono cani assetati del sangue della cristianità, e assassini di
cristiani per volontà accanita, e poiché hanno provato un piacere immenso nel
farlo, sono stati spesso giustamente bruciati vivi, rei d’avere avvelenato
l’acqua e i pozzi e rapito bambini che poi furono smembrati e tagliati a
pezzi”.
Una Ausrottung
che Adriano Posperi, nella lunghissima introduzione alla traduzione Einaudi, s’ingegna
di addossare agli altri cristiani.
Fino a
Lutero i tedeschi erano teneri e mistici, virginali, golosi di litanie. È dopo
che si sono messi sulla strada di Odino, Thor e Baldur, col Walhalla e i fuochi-forni
– dopo le troppe guerre di religione.
Populismo
– “È una
parola fuorviante”, dice il papa a “El Paìs”, “perché il populismo in America
Latina ha un altro significato. Lì significa che i popoli sono protagonisti,
per esempio, i movimenti popolari. È un’altra cosa…”. I movimenti di base. E
quelli politici, da Peron a Chavez, e incluso Castro, cioè antidemocratici?
Ma l’accezione che il papa introduce nella voce
può spiegare il successo di Trump malgré
Trump, con tutti i limiti dell’uomo cioè: una rivolta dell’America profonda contro l’establishment, che Hillary Clinton impersonava, e la stampa
unanime che tuttora la asseconda: di buone intenzioni che coprono il peggiore
sfruttamento della storia postbellica – dell’Occidente beninteso. A favore non
più di una classe, di un ceto sociale, comunque permeabile, ma delle fortune di
pochi speculatori.
astolfo@antiit.eu