Bastiglia
– Si sa che
la sua presa fu la scintilla della rivoluzione farncese, tuttora celebrata. Si
sa che ospitava in tutto sette detenuti. Ma non si dice chi erano, che è la
cosa più golosa: un attentatore di Luigi XV, non giustiziato per grazia del re,
un pazzo rinchiuso dalla famiglia, il conte Jacques-François Xaver de Whyte de
Malleville, un altro conte rinchiuso dalla famiglia, il conte Solanges, perché
di tendenze incestuose, e quattro falsari che si dileguarono all’apertura dei
cancelli, Jean Béchade, Jean Lacorrège, Bernard Larroche e Jean-Antoine Pujade.
Cekà – Non ha fatto un secolo la
rivoluzione d’ottobre, lo fa – o farà tra un paio d’anni – la sua polizia
politica, la Cekà. Fu la prima cosa che Lenin creò una volta preso il potere,
eliminando i socialisti. Un organismo che attraverso varie denominazioni si
mantiene fino ad oggi, col nome di Fsb. L’Fsb festeggia tuttora la creazione
della Cekà, e nei suoi uffici si brinda al suo creatore, Feliks Deržinski.
Femminismo – Nasce da un difetto della
storia – della storiografia? È quello che sospettano le storiche italiane in
questi giorni, riunite a Pisa in congresso. Anche della storia, per i diritti
politici e civili post-1789, che la borghesia si appropriò, la quale era tutta
maschile (una borghesia tutta maschile è argomento da approfondire, ipotesi
gravida). Ma la colpa è più della storiografia: passati l’Otto e il Novecento
della dittatura borghese non ci sono altre cesure nella storia. Le donne
governavano, sgovernavano, facevano guerra e facevano pace, si divorziavano,
abbandonavano figli e famiglie, oppure le imponevano, soprattutto i figli,
maschi. Il campionario è ricco, solo la storia (storiografia) è carente. Quante
regine decisive in Francia, per esempio, per lo più italiane - a petto di
quanti re altrettanto decisivi? O in Inghilterra. O in Russia. O tra i principati
tedeschi, Hohenzollern esclusi, ma inclusi gli Asburgo, a partire dalle donne
che formarono e imposero Carlo V. Thatcher e Merkel, intransigenti e
assolutiste, vengono da lontano, non sono l’esito delle “battaglie femministe”.
Non ci si capacita che tanta storia sia stata cancellata, sia stato possibile cancellarla, nell’Otto-Novecento. Ma è avvenuto. E anzi, per questo aspetto, il Novecento ha una coda curiosa nel Millennio: non si sono riscritti i libri di storia, si sono aggiunte delle note, tra il languoroso e il politicamente corretto, seppure in chiave autocritica, e br evi, insignificanti. Il Novecento non ci molla?
Non ci si capacita che tanta storia sia stata cancellata, sia stato possibile cancellarla, nell’Otto-Novecento. Ma è avvenuto. E anzi, per questo aspetto, il Novecento ha una coda curiosa nel Millennio: non si sono riscritti i libri di storia, si sono aggiunte delle note, tra il languoroso e il politicamente corretto, seppure in chiave autocritica, e br evi, insignificanti. Il Novecento non ci molla?
È una reazione all’Otto-Novecento più che a una
condizione antropologica o millenaria. All’epoca borghese della storia. Preparata,
in parallelo con la “nascita” maxweberiana dello “spirito” capitalistico, dalla
caccia alle streghe. Le streghe si perseguitavano anche prima, parte del
fenomeno “eretico”. La caccia alle streghe fu di massa e di genere (ne saranno
vittima anche uomini ma in aree marginali, Islanda, Estonia, Russia, in
situazioni contingenti). Si vede dalla tempistica, e dai reati che ne furono
oggetto: la gestione femminile della procreazione, la rivendicazione esplicita
della libertà sessuale. Quello che si chiamerà la diversità. Manifestazioni
analoghe erano state identificate in precedenza, le Baccanti, le Amazzoni, la
Gnosi, ma non sanzionate. Nel Cinque-Seicento furono fronte di guerra:
centomila “processi” fanno ben un olocausto.
Iran-Usa
– L’Iran,
uno dei sette paesi islamici ostracizzato per quattro mesi da Trump, ha oltre 16
mila studenti negli Usa. Non in Europa, dove gli studi costerebbero molto meno:
negli Usa. Malgrado gli Usa siano il nemico per eccellenza della propaganda e l’opinione
pubblica in Iran, anche non khomeinista.
L’Iran ha sempre mantenuto un contatto costante
con gli Stati Uniti, anche negli anni peggiori del khomeinismo, un rapporto che
data dai tempi dello scià, quando l’influenza americana si sostituì a quella
inglese – nel 1953 lo scià rovesciò il governo filocomunista di Mossadeq con l’aiuto
della Cia. L’inglese parlato a Teheran è americano, l’emigrazione iraniana è
quasi tutta negli Usa, con poche appendici in Germania e Francia - molto meno
dei tempi dello scià in Italia, e residuale, non c’è più nuova immigrazione.
Il rapporto si mantiene stabile anche sotto i provvedimenti restrittivi che l’Occidente ha preso e mantiene, su pressione Usa, contro l’Iran. Malgrado l’Iran sia, da quasi cinquant’anni ormai, inadempiente sui diritti umani e civili. Specie in Iran, dove l’ordine pubblico e la giustizia sono gestiti autoritariamente, senza rispetto per le procedure e i diritti. Ora, per esempio, è sotto pena capitale un cittadino iraniano da tempo trapiantato in Italia, dove è dottore e ricercatore in Piemonte, condannato senza giudizio – senza scandalo.
Il rapporto si mantiene stabile anche sotto i provvedimenti restrittivi che l’Occidente ha preso e mantiene, su pressione Usa, contro l’Iran. Malgrado l’Iran sia, da quasi cinquant’anni ormai, inadempiente sui diritti umani e civili. Specie in Iran, dove l’ordine pubblico e la giustizia sono gestiti autoritariamente, senza rispetto per le procedure e i diritti. Ora, per esempio, è sotto pena capitale un cittadino iraniano da tempo trapiantato in Italia, dove è dottore e ricercatore in Piemonte, condannato senza giudizio – senza scandalo.
Populismo
– Era
populista la rivoluzione russa prima di Lenin. Erano eredi del populismo russo,
con largo seguito nelle campagne, i Socialisti Rivoluzionari, maggioritari nel
governo menscevico e nel paese, prima che Lenin sbarcasse alla stazione
Finlandia. All’Assemblea Costituente eletta dopo il colpo di mano di Lenin, nel
novembre 1917, che Lenin scioglierà, i Socialisti erano in netta maggioranza
rispetto ai bolscevichi.
Nella lunga e osannante prefazione a Lenin,
“Che fare?”, per Einaudi nel 1971, Vittorio Strada lega il populismo russo
all’anarchismo, come le due influenze maggiori sul giovane Lenin, sulla sua
formazione. Certo, Trump non è Lenin, ma un certo radicalismo è lo stesso.
Era populista,
naturalmente, Mussolini. Anche Hitler.
Resistenza
– È ora
tradizionalista. Contro la globalizzazione per la sovranità. Contro l’etica
della licenza. Contro le immigrazioni di massa. Negli Usa con Trump, in Francia
coi Le Pen, in Gran Bretagna con la Brexit. In Italia anche, dove sarebbe maggioritaria,
se Grilo si mettesse con la Lega e con la nuova vecchia sinistra. Anche in
Germania non c’è male, benché Merkel sembri poterla governare.
È una forma politica che sembra improprio
definire resistenza. Poiché non si oppone a un totalitarismo, anzi prospera
nella libertà d’opinione Ma si oppone al cosiddetto pensiero unico, rafforzato dal
politicamente corretto. Per cui si privilegia l’immigrato più del disoccupato,
il rom più del povero nazionale, e ogni minoranza, anche esigua, a spese della
maggioranza e contro di essa. Per un’errata – soverchiante, deflagrante – lettura
dei diritti umani e delle minoranze: come una leva per scardinare, come un hedge – giusto la denominazione della speculazione
che ci sta distruggendo – o una scheggia, una piccola fessura, brandita per
attaccare e dissolvere la città, dicendola la frontiera, il nuovo, il futuro, inarrestabile.
Rivoluzione
– “Le
rivoluzioni sono destinate tutte ad essere archiviate, a volte anche
demonizzate”, Luciano Canfora, “La Lettura” 29 gennaio: “Quella francese fu
recuperata solo un secolo dopo il suo scoppio”. E dopo tante ricostruzione non
benevole , tra esse quella di Manzoni, peraltro convincente.
Ancora Canfora: “Le rivoluzioni son tappe fondamentali
nella modernizzazione dei Paesi dove si producono”, la Russia, la Cina, “perfino
il Messico”.
Russia – È l’unico posto che non ha
fatto l’esame d coscienza al comunismo dopo la caduta. A Stalin sì, ma poi con
riserva – è pur sempre l’eroe della epocale resistenza a Hitler e alla
Germania, l’artefice della vittoria. Ma ad altri con più luci che ombre. Yeltsin
ci ha provato, da un punto di vista liberale, ma è fallito.
Putin a suo modo lo recupera, nell’assillo di
consociare la continuità nazionale, che è il trademark della sua politica, nazionalista-imperialista,
seppure non sovversiva – il comunismo sovietico fu pur sempre un forte
nazionalismo, più di quelli noti, il tedesco, il francese. Da subito, la fase putiniana
della lotta alla corruzione e al dissolvimento dell’unità nazionale sotto le
spinte localistiche di ras politici e profittatori della desovietizzazione. Consolidata
attorno al 2005, quando furono avviate le “rivoluzioni colorate” ai suoi confini
europei. Col nazionalismo in senso proprio, della difesa della comunità russa,
specie se minoritaria.
Lenin rimane col suo monumento, ma nessuno ne
parla, né per il male né per il bene. Il 7 novembre smette di essere un giorno festivo.
Sostituito da un 4 novembre che forse non ci fu, la vagheggiata cacciata dei
polacchi da Mosca nel 1612.
astolfo@antiit.eu