Il frigno del bambino infastidisce e si chiama
il cameriere. Il mugolio costante del cagnetto, inframezzato da abbaii
stizziti, dura tutto il pranzo, la padrona non lo porta mai fuori.
sabato 8 aprile 2017
Ingmar Bergman sembrava Ada Borelli
“Parecchi
ex giovani del Novecento si muovono ormai disinvolti fra i capolavori teatrali
di Schönberg e Stravinskij e Berg e Bartók e Šostakovič e Britten, quasi
familiari e abituali come i balletti di Ravel e Prokof’ev e De Falla, perché da
tutta la vita li incontrano e ritrovano fra le mostre e le feste che rendono
ancora piacevoli le vacanze non stupide. Sono il nostro paesaggio”. E dopo,
“che vera alta scuola spirituale e concreta, la presse parlée a caldo con Lele
D’Amico e Giorgio Vigolo ed Eugenio Gara in quegli intervalli e in quelle
trattorie dopo le grandi prime”.
È
sempre tempo di “vacanza” (“Le piccole vacanze” furono i racconti di esordio
sessant’anni fa) per Arbasino, fra concerti, opere, balletti, mostre, feste, e
letture. Non “intelligenti” ma non stupide:
Arbasino
è social scientist sensibilissimo,
della letteratura anche e delle arti. Le scorribande, sottintende in questa
raccolta “definitiva”, Arbasino va per i novanta, sono finite. Anche perché qualcuno
è morto, Vigolo e Gara trentacinque anni fa, D’Amico trenta. Ma non c’è
malinconia. Non c’è nemmeno nostalgia, tutto è ancora nuovo – l’Italia è impermeabile?
Lunghi
o brevi, la settantina di pezzi qui raccolti sono soliloqui in realtà. “Ci
sono poi quelli che hanno messo a punto un livello di scrittura stilisticamente
omogeneo, sia nei testi d’invenzione che in quelli di polemica o di commento
dell’attualità: per esempio Arbasino”: parlando di sé nella presentazione della
sua propria antologia “Un pietra sopra”, Calvino ha dato la più esatta “sistemazione”
dello scrittore lombardo. Omogeneo nel punto di vista personalissimo, delo scrittore semrpe parte in fabula.
La presse parlée è particolare e
eccezionale: Arbasino torna periodicamente a raccontarsi la vita passata, tra
spettacoli, incontri, letture, da “Parigi o cara”, 1960, in poi. Qui forse più
corposi – l’indice dei nomi prende venti pagine, a due colonne. Di un altro
mondo, anni 1960-1970 probabilmente (? sarebbe stato utile saperlo), mezzo
secolo fa, Arbasino va per i novanta, ma non remoti. Effetto della non
digestione. Della vivezza, anche, del ricordo. Con saggi letterari di spessore –
Arbasino direbbe “di spessore”: Flaubert, Francis Scott Fitzgerald, De Amicis
(quante cose Umberto Eco non ne ha dette), E.M.Forster, Adorno, Parini, Proust, Ludwig II di Baviera, Wagner. Ma più spesso cameos: impressioni, visioni, lampi, anche
da lontano.
Molto
rispettosi, Arbasino è descrittivo più che analitico. Ma con zampate decise. Ingmar
Bergman a teatro: “Quando si franava nella mestizia ai film di Ingmar Bergman
più melensi, ci si sentiva osservare: bisogna vederlo in teatro”. Va a teatro,
a più teatri, e ne esce sconsolato: “Pochi minuti dopo l’inizio, l’imbarazzo comincia
a serpeggiare” – “scena goffamente stilizzata”, “entusiastica gerontofilia”,
recitazione da “«La nemica» con Ada Borelli, o la Compagnia Ruggeri, senza
Ruggeri”. O il Brecht di “Non si deve andare più in là”: molto ammirato ma “un
vate dell’opportunismo”. Camus impossibile, almeno nel suo “Caligola”. Adorno,
buon’uomo. La Scuola di Francoforte, che “s’intitola «Istituto di Ricerca
Sociologica», però è un santuario della ripugnanza per la Realtà e i Fatti”. Non solo: “Passa anni di esilio negli Stati
Uniti, incontaminata da ogni empirismo o pragmatismo angloamericano”. O ancora:
“Questo monumento al pensiero astratto, nato come spregiudicata iniziativa
anti-accademica” diventa: 1) “torre d’avorio di mandarini più ‘feudali’ di un
Rettore Magnifico”, 2) “matrice involontaria”, da Adorno contestatissima, della
contestazione giovanile. O anche, semplicemente, i prezzi assurdi dell’offerta
culturale: neanche 30 mila lire a Berlino per una prima all’opera, centomila al
Maggio Fiorentino per un concerto, 150 mila allo Châtelet parigino, il doppio a
Aix-en-Provence, cinque volte tanto per la prima sempre a Aix.
L’effetto
è di un cimitero. Monumentale ma non glorioso. Arbasino si (ri)legge nelle sue
scalmanate scarpinate col ghigno. Esterofilo peraltro più che cosmopolita, da
Giovine Lombardo. Non c’è l’Italia, a parte Ronconi una volta. C’è un minuzioso
Alan Bennett, nemmeno una parola su Paolo Poli. Leggendo queste prose d’antan nell’Europa spenta di oggi,
sembrano un anticipo del funerale: molta presunzione e poco sugo.
Passato
indenne dalla fase “solito stronzo”, dopo essere stato la “bella promessa”, Arbasino
è approdato da tempo al “venerabile maestro”. Ma qualche graffio lo conserva.
Per il privilegio della critica, suicida – la “dolce morte” dell’Autore: la
dissipazione.
Alberto
Arbasino, Ritratti e immagini,
Adelphi, pp. 353 € 23
venerdì 7 aprile 2017
Il vallo atlantico degli Usa
Venerdì
ieri cent’anni fa gli Stati Uniti entravano in guerra in Europa, avviando
cent’anni di impero mondiale. Ma senza orgoglio né memoria: l’evento non si
celebra, o allora nel silenzio. Non uno studio. Non una rievocazione, una
cerimonia, un articolo di giornale.
L’evento
non si celebra da quasi quattro anni. Molti studi e rievocazioni si sono avuti
in Europa per i cent’anni della grande guerra, negli Usa niente. È in questo
vuoto che Trump diventa presidente, uno che non ha conoscenza del mondo,
ostenta di non averla. La sorpresa non sarebbe il neo presidente ma l’America stessa.
La
disattenzione è ugualmente rivolta ai vicini in America e al Pacifico? Per ora,
il muro che Trump intende costruire verso il Messico gli Usa lo hanno innalzato
nei confronti dell’Europa: una sorta di vallo atlantico della disattenzione.Un grande Stato pontificio, l'Italia
Agnelli
all’Antimafia, “la potente famiglia italiana” alla mercé di Rosy Bindi, fa
venire il dubbio che l’Italia non sia, non sia stata, piemontese ma romana,
papale – Bindi è di Siena. Che non si sia formata e non viva sull’imprinting sabaudo,
per quanto beghino, ma su quello dello Stato pontificio. La casuale
concomitante rilettura di un classico del 1859, “Roma contemporanea” di About, che
questo esito presagiva, consolida prepotente l’impressione: uno dei pilastri
dello Stato pontificio era la “giustizia” fatta in famiglia.
“Non
molleremo l’osso”, dice la capa dell’antimafia, che ha dovuto cercare
l’elezione in Calabria, l’unica eletta in quella regione senza voto di scambio.
Furba, certo: “Che la malavita sia arrivata perfino alla Juventus”. In fondo i
piemontesi, potenti e tutto, sono dabbenuomini, che stanno ala mercé di giudici
napoletani, il Pecoraro di oggi come dieci anni fa gli ineffabili Narducci e
Beatrice, che ci costruirono sopra memorabili carriere – Narducci che assolveva
il suo proprio figlio, e Beatrice, avete mai parlato col procuratore Beatrice?
– all’insegna del meglio che lavorare.A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (322)
Giuseppe Leuzzi
Pierre
Cardin, veneziano di nascita, non ha mai rivangato l’origine, anche se poteva
servirgli al lustro di stilista. Lo stesso del resto, pur nella sua costante ricerca di popolarità, il papa argentino, figlio
di un emigrato piemontese.
L’origine
è solo un fatto meridionale, una cosa familistica?
“Dico
sud perché sud dà molto più di meridionale senso di calore e gioca di
suono con sudore”, A.Savinio, “Nuova Enciclopedia”, 327-8. E di “sudicio”?
Contrario
all’infinito, che “reca pure danni ai troppo creduli”, il socialismo, per esempio,
l’impressionismo, Savinio ne esenta “i popoli meridionali”. “Privi dell’idea
dell’infinito”, spiega nella “Nuova Enciclopedia”, “dello ‘sguardo’
all’infinito, i popoli meridionali non sono né socialisti né impressionisti. Le
popolazioni della Basilicata, della Calabria, della Sicilia, della Puglia non
solo negano l’infinito come idea ma lo rifiutano anche come forma verbale. A Catanzaro
sostituiscono all’infinito una proposizione secondaria introdotta da mu, a Reggio da mi”. Il che è vero.
Poi
ci ripensa: “Dicono: Anno raggiuni mu ti
chiamanu ciucciu, hanno ragione a chiamarti ciuco. E questo esempio sembra
che io l’abbia scelto apposta, per evitare ogni fatica ai miei censori”.
All’ospedale
romano del Santo Spirito l’archeologo, romanziere e giornalista francese Edmond
About vede nel 1858 o 1859 “un contadino rosso come un pomodoro e trasudante a
grosse gocce nel suo letto”. Gli viene spiegato che “è stato morso dalla
tarantola”, ma lui non nota “nulla nel suo contegno che riveli la passione
della danza”. Chiede e gli viene chiarito: “Il mio giovane dottore m’assicura
che il morso delle tarantole induce un movimento di febbre assai gagliarda.
Tuttavia ritiene che la paura entri in buona misura in questa malattia. Tanto
che basta qualche volta un bicchiere d’acqua pura, o una pillola di mollica di
pane, per guarirla radicalmente”.
Quanta
scienza, quanta antropologia, su una somatizzazione.
Lo stupore del
Sud
Federico
II fu il classico figlio della madre. Era nipote del Barbarossa ma prese dalla
madre, Costanza d’Altavilla, l’irrequietezza. Lo”Stupor Mundi” si può dire anche
il padre prototipo, che oscura e divora i suoi figli - il padre-Crono. E con loro il
futuro della Sicilia e del meridione tutto: Sicilia, Calabria, Puglia, Abruzzi
e il salernitano.
Federico II di Svevia o di Hohenstaufen,
nato a Jesi e morto a Fiorentino di Puglia, imperatore del Sacro Romano Impero
regnante da Palermo, eletto a Aquisgrana, incoronato dal papa a Roma, nonché re
di Gerusalemme, per matrimonio e per autoincoronazione nella stessa città
santa. Il “puer Apuliae” detto anche “Stupor Mundi”. Figlio dei normanni
Altavilla. Ebbe tre mogli, con le quali fece sei figli. E molte amanti, una
diecina note, dalle quali ne ebbe altri undici.
Il primogenito Enrico fu
nominato re di Sicilia e di Germania dal padre, che se n’era fatto l’erede,
Enrico VII. Ma Enrico presto si ribellò: cresciuto in Germania, lontano
dall’influenza di Federico, prese il partito dei feudatari ribelli, e poi della
Lega Lombarda. Il padre lo destituì dai titoli regali con l’accusa di alto tradimento.
Che avrebbe comportato l’esecuzione, ma Federico II la tramutò nella
carcerazione a vita. Nel trasferimento dal castello-prigione di Nicastro a
quello di Martirano in Calabria, Enrico si suicidò buttandosi da un dirupo. Era
chiamato “lo sciancato”, per una zoppia rimediata cadendo da ragazzo da
cavallo. Ed era butterato dalla lebbra, contratta pare per contatto, con donne
portatrici sane. Una storia alternativa lo vuole morto invece di malaria,
sempre a Martirano. Federico II lo fece seppellire con onori regali nel Duomo
di Cosenza.
A Enrico successe Corrado VI,
figlio di Federico II e di Isabella di Brienne, la regina di Gerusalemme sposata
dopo al morte di Costanza d’Aragona, la madre di Enrico. Nato a Andria e morto
a Lavello. La madre diciassettenne morì pochi giorni dopo il parto. Corrado fu
duca di Svevia e re di Germania, e alla morte del padre re di Sicilia e di
Gerusalemme. Cresciuto a Palermo dal padre, fu inviato in Germania alla deposizione
del fratellastro Enrico. Fu anche nominato da Federico II suo successore alla
corona imperiale per testamento, senza rispettare il parere dei grandi elettori
tedeschi. Sarà il fondatore dell’Aquila, il capoluogo abruzzese. Ma morì subito
dopo il padre, nel 1254, di malaria. Fu sepolto a Melfi per metà, cuore e
visceri. Il corpo era destinato alla sepoltura solenne a Palermo, ma nella
sosta a Messina finì bruciato nell’incendio che distrusse il Duomo della città.
Corradino, suo figlio ed erede ad appena sedici anni, sarà sconfitto a
Tagliacozzo da Carlo d’Angiò. Che lo fece decapitare, nella piazza Mercato a
Napoli.
Concorrente di Corrado - e poi di
Corradino - fu il fratellastro Manfredi, nato da Bianca dei conti Lancia, o
Lanza, del Monferrato. Bianca sarebbe stata l’unico vero amore di Federico II.
Principe di Taranto, Manfredi tenne la luogotenenza del regno di Sicilia alal
morte del padre, in attesa di Corrado dalla Germania. Col quale non ebbe però buoni
rapporti. Morto Corrado, riprese la luogotenenza del regno di Sicilia. Morto
anche Corradino, si fece incoronare imperatore dai soli feudatari siciliani,
nella cattedrale di Palermo, e fu scomunicato dal papa. Ma durò poco: il 16
febbraio 1266, a Benevento, Carlo d’Angiò sconfisse e uccise anche lui – ch
fece seppellire sotto un ammasso di pietre, in riconoscimento del valore
dimostrato in battaglia. Riesumato, il cadavere sarà poi disperso, lontano ai
possedimenti del papa. Manfredì fondò Manfredonia, che doveva diventare la capitale
della Puglia.
Il figlio preferito fu il minore,
Enzo, che Federico II ebbe da Adelaide di Uslingen. Celebrato dal padre “nella
figura e nel sembiante il nostro ritratto”. Suo compagno nella caccia col
falcone – lo chiamavano “il Falconcello”. Divenne per matrimonio re di Torres e
Gallura. Acceso ghibellino, fu nominato dal padre nel 1339 Vicario imperiale in
Italia. In questa veste combatté vittoriosamente molte battaglie, a danno dei possedimenti papali
nelle Marche dapprima, e poi nella pianura padana. Fino alla sconfitta alle
porte di Modena nel 1249. Subì quindi la prigionia per un quarto di secolo,
fino alla morte, nel palazzo bolognese poi noto come del re Enzo. Una prigione
aperta, con compagnia di poeti e belle donne.
Il razzismo
del “Corriere della sera”
Stella
scrive il solito pezzo contro il Sud, questa volta contro Taormina. Che la grafica ingigantisce. Un lettore di Novara ne è tanto schifato
che si sente in obbligo di scriverne al giornale: com’è possibile che ci sia
tanta sporcizia e tanto squallore come a Taormina. La vedette concorrente del giornale,
Cazzullo, tenutario della posta, ne approfitta per dissociarsi: “Taormina è
bella e cara”. Non solo al mondo intero, intende, anche ai milanesi.
Segue
Stella sullo stesso giornale, o lo anticipa, una pagina per Davide Casaleggio, nobiltà dell’informatica, con sede a Milano, e della politica. E chi gli contrappone il “Corriere della
sera” come voce dal Sud, sulla stessa pagina? Salvatore Cuffaro, ex galeotto
per mafia.
Paolo Mieli storico inclemente dei giudici fa l’elenco
delle loro malefatte in un maestoso articolo lunedì. Ma lo limita ai giudici di
Puglia, nemmeno un accenno ai giudici di Milano, altrettanto esemplari, se non
di più.
Virginia
Raggi dice alla maratona domenica che Milano è “un po’ gelosa”. Profluvio di
commenti e commentatori: “La gelosia è vergogna”, etc. Mentre in altra pagina
lo stesso giornale mette Milano maratoneta in concorrenza con Roma. Puntiglioso
elencando, con evidenza grafica, tutti i numeri della supremazia di Milano
anche in fatto di maratone. Lo stesso giornale che qualche settimana prima
aveva decretato l’eccezionalità del turismo a Milano (turismo a Milano…) - che
anzi aveva sorpassato e surclassato Roma.
Un
giornale razzista, di dentro e di fuori (subliminalmente e dichiaratamente)
come il “Corriere della sera” è difficile concepirlo. Opera peraltro di un
editore che è un venditore di pubblicità: è la sola maniera per venderlo?
È
vero che lo fanno fare a meridionali, sia a Milano che a Roma. Lo stesso Stella
ha solerti collaboratori meridionali, piccoli quisling che aspettano la luce –
la chiamata, magari come fattorini, o per pulire le scale.
Ma,
ecco: i milanesi ci credono, al “Corriere della sera”?
Il Nord è Nord
il Sud è Sud
Una
coppia romana assortita, lei di famiglia veneta, lui di famiglia siciliana,
vive a Roma nei ruoli stabiliti, tacitamente, diciamo di tipo leghista.
Il
padre di lei ha applicato il maggiorascato, benché desueto e anzi illegale, a
favore del figlio maschio. Al quale ha anche comprato casa a Roma. Mentre alla
figlia non ha dato niente. Anche la madre, che vive vicino Roma e fa
affidamento sulla figlia per i problemi dell’età, ha aiutato e aiuta finanziariamente
il figlio maschio – non per bisogno.
La
coppia vive in un appartamento comprato con l’aiuto del padre di lui. Lei è
cosciente della disparità di trattamento. Ma la sua famiglia è quella di
origine.
La
sua famiglia è quella di origine con un sottinteso: che è più moderna e aperta,
mentre quella del marito è arcaica e patriarcale.
La piovra
Gli
appalti truccati e gli arresti al Comune di Milano non fanno notizia. Fanno
invece notizia, sui grandi giornali, alla Rai e su Sky, i sequestri di beni e
attivi della cosca Pesce di Rosarno. La quale è nota ai Carabinieri da
quarant’anni, che nel 1980 ne avevano tracciato tutte le attività, anche
minime, anche fuori d’Italia, in Costa Azzurra tra i campi di fiori, dove
alcuni familiari erano emigrati negli ani 1960. E periodicamente “sequestrata”
da almeno trent’anni, da quanto era Procuratore a Palmi Cordova. Come si leggeva
nel nostro “Fuori l’Italia dal Sud”, 1992 – la storia della famiglia era raccontata
a Bocca, “Aspra Calabria”, sempre 1992, dall’on. Giuseppe Lavorato, del Pds: Beppino
Pesce nel 1960 era un contadino povero, di famiglia grande e povera...
Una vera
piovra criminale, che si riproduce per quanti tentacoli se ne tagliano? Ma è la
ndrangheta una piovra o l’immagine piovra fa la ‘ndrangheta?
Ma
quanti sono questi Pesce che moltiplicano le attività da trenta e quarant’anni?
Si capisce che sguscino, nomen omen.
Però: perché non vengono arrestati per i crimini prima che sequestrati per i
beni, che ‘ndranghetisti sono?
Voglio un padre mafioso
Theodore Melfi, il nuovo regista giovane americano, “Il diritto di contare”, ha origini siciliane per parte di padre. Che carica di colpe gravissime nelle bio a uso delle interviste promozionali. Era irascibile, sposò la madre suora in quinte nozze, era della mafia, era manesco, e fu ripudiato dal figlio che aveva sedici anni. Mentre era un costruttore, dieci anni dopo essere arrivato dalla Sicilia, fallito, quindi giornalista e editore di giornali, sfidante di Mario Cuomo per il governatorato dello Stato di New York nel 1982, socievole e affettuoso - l’album delle foto di famiglia che Melfi esibisce stranamente lo prova. La madre era effettivamente una suora, ma giovane donna molto fragile, come lo stesso Melfi ricorda, che aveva da tempo abbandonato il convento, entrava e usciva dai manicomi, e nel padre aveva trovato una vita.
Che il padre fosse mafioso Melfi lo arguisce dal fatto che una volta uscì dal supermercato col carrello pieno senza pagare, con un semplice sguardo d’intesa col gestore. Con il fatto che prima abitavano in una bella casa e dopo in una minuscola. Un padre siciliano non può avere problemi economici, e magari fare la spesa a credito dal droghiere, o essere in credito col drogheire stesso, ma solo essere stato mafioso o non esserlo più.
Il peggio del carattere dell’uomo è che una volta gli fece mangiare davanti al cassiere il lollipop che Melfi ragazzino aveva rubato al supermercato e il cassiere gli aveva notato nelle tasche
Theodore Melfi, il nuovo regista giovane americano, “Il diritto di contare”, ha origini siciliane per parte di padre. Che carica di colpe gravissime nelle bio a uso delle interviste promozionali. Era irascibile, sposò la madre suora in quinte nozze, era della mafia, era manesco, e fu ripudiato dal figlio che aveva sedici anni. Mentre era un costruttore, dieci anni dopo essere arrivato dalla Sicilia, fallito, quindi giornalista e editore di giornali, sfidante di Mario Cuomo per il governatorato dello Stato di New York nel 1982, socievole e affettuoso - l’album delle foto di famiglia che Melfi esibisce stranamente lo prova. La madre era effettivamente una suora, ma giovane donna molto fragile, come lo stesso Melfi ricorda, che aveva da tempo abbandonato il convento, entrava e usciva dai manicomi, e nel padre aveva trovato una vita.
Che il padre fosse mafioso Melfi lo arguisce dal fatto che una volta uscì dal supermercato col carrello pieno senza pagare, con un semplice sguardo d’intesa col gestore. Con il fatto che prima abitavano in una bella casa e dopo in una minuscola. Un padre siciliano non può avere problemi economici, e magari fare la spesa a credito dal droghiere, o essere in credito col drogheire stesso, ma solo essere stato mafioso o non esserlo più.
Il peggio del carattere dell’uomo è che una volta gli fece mangiare davanti al cassiere il lollipop che Melfi ragazzino aveva rubato al supermercato e il cassiere gli aveva notato nelle tasche
Se non è mafioso il padre non è siciliano.
leuzzi@antiit.eu
La forza sia con la Germania
Un
rifacimento del “Federico il Grande “ di Carlyle: il gran re nel dubbio, solo,
minacciato dalla sconfitta, tentato dal suicidio. Due incursioni nella storia
del sé, in limiti storiograficamente compatibili, dei momenti precedenti l’evento
come poi si è registrato. Di cui però il lettore sa già che si è risolto
positivamente.
Un
invito alla fiducia, alla dichiarazione di Guerra del 1914 – “Un saggio adatto
al giorno e all’ora” era il sottotitolo della breve opera. Che sorprese amici e
parenti perché Thomas Mann non era un nazionalista. Con questo “Federico” lo
diventa. La somiglianza tra le due situazioni non c’è, tra il tentativo di fare
della Prussia la forza nazionale e la guerra del 1914, ma lo scrittore se la
inventa, vuole dare un messaggio ottimista. In due direzioni. Malgrado dubbi e
debolezze, vinceremo. La cultura tedesca si fa forza della forza, della durezza.
O
forse no, la somiglianza c’è: l’imperialismo del 1914-18 è un prolungamento del
percorso nazionale di tipo prussiano. O: la democrazia è insidiosa, la Germania
deve difendersi.
Nella
prefazione alla riedizione da lui consentita nel dopoguerra, Thomas Mann lo
dice. Si scusa del “mio stato d’animo nazional-conservatore e militarista dell’epoca”,
ma sempre schiettamente antidemocratico. “La democrazia si è dimostrata sempre
così connivente con il fascismo” è la prima frase, “e lo è ancora oggi”, “che
le sue colpe offuscano un po’ la vergogna con la quale ricordo la mia stoltezza
politica e l’incomprensione polemica che dimostrai nei confronti della
democrazia”. Questo scriveva nel 1953, in Svizzera, già dimentico dell’America
che l’aveva ospitato fino alla fine della guerra.
Questo
lato di Thomas Mann, accentuato tre anni dopo nelle “Considerazioni di un
impolitico”, è sottovalutato. Ma non è marginale nella “filosofia” del narratore,
nel modo come l’auore vede le sue storie. Ed è centrale nella storia della
Germania anche contempornea, nel suo modo di essere e pensarsi.
Thomas
Mann, Federico e la grande coalizione,
Treves, pp. 91 € 16
giovedì 6 aprile 2017
Il mondo com'è (300)
astolfo
Eugenetica – Non nasce
ora – ora è meno aggressiva di un secolo fa benché domini i media. Tutti i valori
della modernità convergono sulla buona morte, dagli Usa e gli scandinavi dei
buoni sentimenti, come dalla Germania. A fine guerra, l’altra guerra, forse
sopraffatti dalla sovrappopolazione, gli ottimi Alfred Hoche e Karl Binding, un
medico e un giurista teutonici, entrambi molto liberali, pubblicavano un “Via
libera all’annientamento della vita priva di valore vitale”, un volumetto che è
quasi una guida, spirituale e materiale.
Parte di un più vasto programma, della buona vita o
eugenetica.
La
parola è beneaugurate, la biologia fatalmente vi confluisce, gli anni Venti ci
credettero. Fu popolare agli inizi in Germania, i Krupp ne finanziarono la
ricerca. E negli Usa a opera di Charles Davenport, che a fine Ottocento divisò
una società in cui “innamorarsi con intelligenza”. Nonché di Madison Grant,
avvocato, e Theodor Roosevelt, poi presidente Progressista e Nobel per la pace,
che fondarono la New York Zoological Society, al fine di bloccare l’emigrazione
dall’Est e Sud Europa e sterilizzare gli immigrati da quelle zone, italiani,
iberici, balcanici. Il blocco divenne legge, e la sterilizzazione fu libera
fino a tutti gli anni Venti, fino a che la Depressione non la rese onerosa. La
sterilizzazione coatta dei poveri si praticò su larga scala, diecimila casi
nella sola California. Il giudice Oliver Wendell Holmes jr., pilastro del
liberalismo americano, e per trent’anni della Corte Suprema, fino ai suoi
novant’anni, la autorizzò nel 1927, quando ne aveva 86, per i “mentalmente
disabili”. Né si è spenta negli Usa la speranza di eliminare geneticamente la
criminalità.
Gli
amori intelligenti Davenport voleva tra partner astemi, danarosi e nordici.
Margaret Sanger, che gli subentrò nell’impegno, li praticò a partire da
Havelock Ellis, il sessuologo. Una volta libera dal secondo coniugio con tre
figli, dopo il primo di prova contratto a diciott’anni. Patrona degli
immigrati, distribuì profilattici gratis nei quartieri poveri di New York. Nel
controllo delle nascite individuando anche il nodo della liberazione della
donna. Si espongono o uccidono le bambine, Margaret spiegherà nel 1920 in “Woman
and the New Race”, in India e Cina, a iniziativa delle stesse madri. Come già a
Sparta, dove le donne, possedendo i due quinti della terra, controllavano la
famiglia e l’infanticidio selettivo. In Germania la pratica fu tanto diffusa che
“un solo principe ebbe a condannare ventimila donne a morte per infanticidio”,
e un decreto del 1532 dovette comminare a scopo dissuasivo pene quali
l’impalamento, la sepoltura da vivi, l’annegamento in un sacco con un serpente,
un cane e un gatto. In Italia per ogni 100 uomini infanticidi Margaret
registrava 477 donne – senza contare che l’uomo “di solito lo fa istigato dalla
donna”.
Era
una genetica utopista, quella degli anni Venti, che la povertà imputava ai geni
poveri dei poveri. Specie a Londra, dove l’eugenetica di Davenport fu
rilanciata da Keynes, Bertrand Russell, Wells e Maria Stipes, la quale nel ‘21
fondò una Società per il Controllo Costruttivo delle Nascite e il Progresso
Razziale. Con l’obiettivo di sterilizzare i maschi di colore. Era la parte
nobile del “razzismo scientifico”: estirpare il male. Che la Germania non omise
di copiare, adibendovi tipicamente una professione, l’“igienista razziale”. Nel
‘31 gli igienisti razziali Hans Harmsen e Fritz Lenz individuarono la radice
della criminalità nelle malattie ereditarie, e proposero un piano per isolare le
“stirpi malate”, per lo “sradicamento dei geni”. Eric Voegelin chiarì nel ‘33
in “Razza e stato” che il razzismo è
utensile dell’imperialismo. Ma Harmsen insistette, e nello stesso anno elaborò
con Gunther Ipsen, altro scienziato, un piano per la purezza del popolo tedesco
attraverso la separazione razziale e una politica selettiva delle nascite. Nel
‘34 Hitler se n’appropriò, creando la scienza genealogica del popolo tedesco.
Harmsen contribuì con la sterilizzazione dei disabili nella Innere Mission, il
fronte interno, una catena di cliniche protestanti di cui era l’ufficiale
sanitario. Sarà medico ancora dopo la guerra, fondatore della Pro Familia,
nuova denominazione delle vecchie leghe eugenetiche, di cui è stato il
presidente.
La
sterilizzazione, che si pratica tuttora in India, su base volontaria con premio
in denaro, ecologi e biologi non cessano di predicarla, un movimento anzi si
potrebbe creare, di ecologi che si tagliano le palle in pubblico, per fermare
le nascite.
L’eugenetica
fu semplice e bella anche per Margaret Sanger. L’aborto selettivo surroga oggi
l’infanticidio, con effetti variati: nei paesi islamici si abortisce, rilevò in
“Woman and the New Race”, dopo che è nato il figlio maschio. Negli Usa stimò
fra uno e due milioni di aborti l’anno, “una disgrazia per la civiltà”.
Abortivano di più i neri,
che però insistevano a procreare, e questo era insieme una disgrazia e un
problema, moltiplicandosi criminali e asociali. Su questa base l’aborto
selettivo diverrà la soluzione anche per Margaret, appena due anni dopo la
“disgrazia per la civiltà”: per duecento pagine in “The Pivot of Civilization”
calcola il costo “dell’imbecille sull’intera razza umana”, anche “finanziario e
culturale”, con prefazione di H.G.Wells. “The Birth Control Review” parlò di
“peso morto di rifiuti umani”, allargando la “minaccia alla razza” a neri, latini
e balcanici, a causa non della lingua ma dell’inferiorità mentale. Contro i
poveri fare appello alla scienza è non si sa se filantropia o crudeltà.
La Rassenhygiene nazista fu un’altra parola per la stessa cosa. E arrivò allo sterminio al termine di una progressione decennale: il gas e le altre tecniche di uccisione di massa furono introdotte per i tedeschi portatori di handicap. Né si è estinta. Gli antropologi americani e i biologi criticano i nazisti negando che ebrei e zingari fossero “vere” razze. Sono razze false? Siamo tutti un po’ ebrei, si dice, ma gli ebrei potrebbero aversene a male, a ragione. I terreni etnici sono scivolosi: saremmo ebrei per che cosa? E perché non lo saremmo? Ma col femminismo e l’espianto del maschio almeno uno degli aborti selettivi potrebbe andare a buona fine: quello che si pratica in India, Cina, islam se il figlio non è maschio.
Germania-Europa –
La Germania non è “collaborativa”, è anti-europea: Savinio, lo scrittore, ha
alla voce “Germanesimo” della sua “Nuova Enciclopedia”, “la guerra che da venti
secoli gli europei combattono contro il germanesimo”. Che, dice, “non è se non
la fatica ininterrotta che gli europei sono costretti a fare per riaccendere la
luce che i tedeschi tentano ogni volta di spegnere”. Evocando la lotta di Indra
contro Arimane, sospetta che “Arimane non muore, solo cambia nome e ora si
chiama Attila, ora Alarico, ora Barbarossa, ora Guglielmo II, ora Hitler. Ed è
sempre di razza tedesca” – “arianismo”, opina, come “arimanismo”?
“Germanesimo” è la voce più lunga
della “Enciclopedia” di Savinio, è anzi doppia - la seconda è in realtà un excursus
su Mussolini e i complessi del fascismo. Savinio non era antitedesco, la sua
prima emigrazione “in Europa” dalla Grecia è stata in Germania. Della Germania
dà però peculiare inquadratura: come di una forza, al centro dell’Europa,
antieuropea.
I nemici dell’Europa, sostiene lo
scrittore, sono le chiese – teosofia e massoneria incluse: “qualunque
istituzione ha il fine di imporre l’idea di dio”: Ma, aggiunge, “l’europeismo
ha in Europa un nemico più forte delle chiese, il germanesimo. Il popolo
tedesco è in mezzo all’Europa un popolo non
europeo. L’«Asia dell’Europa» è per Michelet la Germania”. Che Savinio
assimila alle “antiche civiltà orientali come l’assira, la babilonese,
l’egizia”. Di cui ha spiegato che “erano civiltà chiuse in sé e di carattere
divino (teocratico)”. Civiltà che “potevano insegnare – l’Egitto infatti insegnò alla Grecia – ma non potevano
collaborare”. L’opposto L’opposto della europeismo: “L’europeismo invece è una forma di civiltà collaborativa. Questa è la sua qualità
fondamentale”.
Il germanesimo? “La civiltà tedesca non
fonde i caratteri del germanesimo nel comune crogiolo i cui si fondono gli
elementi che tutti assieme compongono l’europeismo: è una civiltà
essenzialmente teocratica”, etc. Di una
religione nazionale: non che “il germanesimo sia dominato dall’idea di un dio.
Dio, nelle civiltà teocratiche, non è condizione sine qua non. Si dice Dio per intendere una idea centrale e
assoluta. Il dio della teocrazia germanica è la Germania stessa: è il ‘mito
tedesco’”.
L’affinità della Germania con le
antiche civiltà “teocratiche” Savinio dice testimoniata “da esempi
spaventevoli”. Uno, “il più spaventoso e ‘probante’”, è la deportazione di
interi popoli: “Le deportazioni di
popoli praticate dalla Germania nel secolo XX” nessun altro “aveva nonché osato
neppure pensato di praticare dopo la fine di Babilonia, di Ninive, di Memfi”.
Un altro è la guerra all’Europa, “i ripetuti tentativi della Germania di colonizzare l’Europa: mentre altri popoli colonizzatori,
Inghilterra per prima, colonizzano ‘fuori dell’Europa’”. Un’“altra prova è
questa”, aggiunge, “che il popolo germanico è il solo grande popolo dell’Europa
che non è mai intervenuto né con le armi né in altro modo a favore della
indipendenza di un altro popolo europeo o comunque per il suo bene”. E
conclude: “La Germania non solo è una nazione non europea in mezzo all’Europa, ma
è la nemica dell’Europa, la nemica dell’europeismo”.
In precedenza ha fatto i pesi: “Il
germanesimo può insegnare agli altri popoli europei, può arricchire il comune
patrimonio culturale e scientifico dell’Europa con elementi a lui appartenenti,
ma non può collaborare con gli altri
popoli dell’Europa né contribuire attivamente e positivamente alla costituzione
e al progresso dell’europeismo. La Germania ha una idea europea: ma di un’Europa sua propria, di un’Europa germanizzata, di
un Europa costruita con materiali germanici e animata da spirito germanico”.
Obiezioni? “La Germania non capisce una Europa ‘europea’”.
Russia – Il giornalista debuttante Edmond About, già archeologo capo-missione in
Grecia, tenne a partire dal 1857 sul nuovo giornale parigino “Le Figaro” una
rubrica, “Lettere di un bravo giovane”, che firmava Valentin de Quévilly.
Annotazioni che poi raccolse in volume, “Lettere di un bravo giovane a sua
cugina Maddalena”, di successo, già tradotto in italiano nel 1860. In una delle
lettere svolge un dialogo geopolitico, “La nuova carta d’Europa”, al tavolo comune in trattoria, come era d’uso,
tra vari personaggi, uno dei quali è “un russo di buon senso”. Il contributo
del russo alla “Nuova carta d’Europa” è questo: “Da 40 anni gli allarmisti dell’Occidente
si figurano che la Russia debba piombare sull’Europa, non altrimenti che nel
’48 vi si faceva credere (ai francesi, n.d.r.) che le periferie avrebbero assaltato
Parigi. Ebbene! Io voglio guarire la gente da questo terrore puerile”. E propone
la rinascita e ricostituzione della Polonia allora smembrata, tra Russia e
Austria-Ungheria. Potrebbe avvenire lo stesso con l’Ucraina?
astolfo@antiit.eu
La questione romana
“Roma
non è solamente la vittima, è anche complice del potere”. Dire Roma è oggi dire
calabresi e abruzzesi, più le vecchie generazioni di marchigiani e umbri, e il
gran numero di “ebrei del papa”, tutti più o meno annacquati. E il potere
temporale non esiste più. Ma il potere sì, e ben nelle forme del potere
temporale del 1859 - poco o nulla è cambiato da quando l’archeologo, romanziere
e giornalista del Secondo Impero ne scriveva, in “La questione romana” e subito
dopo in queste impressioni di viaggio – ma lui era piuttosto un residente,
italianato, romanizzato.
Per
il resto? “Si lavano i morti nell’acqua calda. Quanti Romani non ebbero che
quel bagno!” Anche qui tutto è cambiato: i romani si lavano. Ma non curano la
sporcizia, che sempre affligge la città. Non si accoltellano più come allora - c’era
a Roma, durerà fino al primo dopoguerra, la “tradizione” dei coltelli, degli “er
più” trasteverini”. Non
più tra amici e parenti, specie dopo aver bevuto, ma ne hanno continua la tentazione,
e una dozzina di assassinii l’anno per questioni sempre di nessun conto si perpetrano,
a fronte dei 120-50 di allora. Impuniti come allora? Più o meno sì, un assassinio
a Roma si sconta poco. Non è più la “dolcezza paterna” del potere temporale dei
papi, ma il suo succedaneo, quello
vicariale e democristiano, è ugualmente attivo: si tagliano teste, specie di
“amici” politici e “fratelli d’anima”, e si perdonano nemici.
Roma è sempre
uguale, irriformabile, immutabile? Parrebbe. Si legge questa memoria del 1859,
vigilia dell’unità, con senso di stanchezza. “Nessun popolo è meno capace di guidarsi da sé. Fecero la
Repubblica, ma accettarono contenti il ritorno del papa e il vecchio ordine”.
Vivono in pace coi nostri soldati, il cronista francese si meraviglia dell’occupazione,
ormai da dieci anni, “non celebreranno mai dei Vespri Siciliani”. E sarà vero
per altri dieci anni: Roma non fece nulla per unirsi all’Italia. “A Roma non vi
è legge”. E in Italia? Vi è la plizia, come a Roma sotto il papa, che è però un’altra
cosa. E “non ve n’è alcuno che non studii la maniera di non lavorare”. La mendciità
è “florida”. Con quel fondo di
durevolezza – vizi pubblici, private virtù - che la storia ha tenuto in vita millenaria.
“Ciò che loro non manca è il rispetto e la conservazione di sé stessi”.
Nell’unica
edizione approntata nel dopoguerra, quella della Ue Feltrinelli del 1953, una
vecchia traduzione annotata e introdotta da Ranuccio Bianchi Bandinelli, questi
ne fa un atto d’accusa contro lo Stato pontificio. E invece no, il potere
temporale About aveva discusso alcuni mesi prima, pubblicano “La questione
romana”. Qui racconta cose viste. Onesto.
About era massone emerito, scrittore eminentemente anticlericale. Scrive
inoltre nel 1859, dieci anni dopo che Pio IX, restaurato a Roma dalle truppe francesi,
si era impegnato col futuro Napoleone III alla riforma della giustizia e della
fiscalità, senza poi farne nulla. Ma l’inviato speciale si attiene alle cose,
sgradite e gradite, che vede.
Edmond
About, Roma contemporanea
mercoledì 5 aprile 2017
Quando Sartori era tabù al "Corriere della sera"
Il
”Corriere della sera” lo celebra in prima e in un profluvio di pagine interne, con necrologio di tuta la redazione nominativa, da Agnoli a Ziccardi, ma quanta fatica per farvelo penetrare. Gli stessi primi approcci, sul “Mondo”,
un periodico già a circolazione ristretta, dove non “offendeva” nessuno, furono
faticosi, limitati a una “vetrina”, un “naso”, una dichiarazione, di uno di
tanti esperti.
Il
professore rispose volentieri da New York ai primi approcci. Si faceva trovare,
e se non c’era rispondeva ai messaggi. Ambiva a dire la sua anche in Italia, e
non soltanto sulla “Nazione”, che considerava giustamente un giornale
provinciale – lui stesso aveva da tempo lasciato Firenze, e da New York, quando
non sarà più tenuto al bando dal “Corriere della sera” e dalla Rai, rientrerà a
Roma. Era anche il momento suo, della sua specialità, attorno al 1990, quando l’Italia
voleva cambiare regime politico e elettorale. Ma dovrà aspettare, che la caduta
del Muro travolga infine il Pci: le redazioni della Rizzoli Corriere della sera
erano presidiate dalla cellula del partito, giornalisti furbi ma occhiutissimi,
anche sulle virgole, e inflessibili. Sartori non solo non vi aveva spazio, ma “non
esisteva”.
E
questa è la storia: Sartori entra al “Corriere della sera” a settant’anni suonati,
già emerito. Per la porta di servizio. E non per chiara fama: per riequilibrare un po’ la caduta del Muro.
Il liberalismo del giornale lombardo si fermava al bobbiano (ipocrita) “pluralismo”,
un colpo al cerchio e uno alla botte. Sartori era invece di idee cristalline.
È
stato ai trent’anni uno dei giovani chiamati nell’allora facoltà unica di
Scienze politiche in Italia, l’istituto “Cesare Alfieri” di Firenze, dal preside
Maranini all’insegna del liberalismo di stampo anglosassone. Con Ferrarotti, Spreafico,
D’Amoja, Predieri, Tosi. E già insegnava “Democrazia e definizioni”, nella
pedagogia facendo largo spazio alla metodologia – fino a far precedere il corso
da 150 pagine di manuale meta-metodologico: di che cosa andiamo a parlare. Le
lezioni terminando con uno spazio per chiarimenti e contestazioni. Non ebbe più
spazio nell’Italia degli anni 1970, del compromesso storico, che obliterò la
cultura laica che Sartori rappresentava. E se ne andò in America, alla Stanford
e poi alla Columbia.
Una
coda si può aggiungere. Sartori fu recuperato, ma come una maschera da talk-show,
una delle tante, e per disquisire di sistemi elettorali. Il suo impianto
culturale (obiettivi, istituzioni, procedure, la prassi del buongoverno) rimane
tuttora affossato sotto la censura compromissoria di cui l’Italia ha fatto una seconda natura.
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Letture - 298
letterautore
Cicli –
Ricorrono anche nella letteratura, oltre che nella geologia e – pare – nell’economia.
Giotto “non esisteva” nell’Ottocento. Dante era un “barbaro” per il Settecento.
Non si legge più D’Annunzio, e non si tollera, che ha “fatto” il Novecento
italiano, fino a Pasolini.
Critica – Rifiuta (scarta)
l’esistente in blocco. Senza magari dirlo, che sarebbe già una critica, come
fece Citati con Baricco. Molti non esercitano più: i “novissimi” Berardinelli,
Ficara, La Porta, Onofri, e gli emeriti già militanti, Walter Pedullà, Asor Rosa, Ferroni, lo
stesso Citati. “La Lettura” ha Piperno per la narrativa straniera e nessuno per
quella italiana. Supplisce con le coperture da ufficio stampa\agente\scuola di
scrittura, tutte osanna e niente sostanza – una mano lava l’altra. Lo stesso il
“Corriere della sera”, dove Magris copre autori stranieri. Lo stesso il “Domenicale”
del “Sole 24 Ore” – i cui contemporaneisti, Gabriele Pedullà, Domenico Scarpa,
scantonano - su curiosità, storie, divagazioni, centenari. Nel “Robinson” e nei
settimanali non si trova mai un indirizzo giusto, convinto.
Dialetto
– “Il
dialetto restringe la vita, la rimpicciolisce, la puerizza”, Alberto Savinio, “Ascolto
il tuo cuore, città”, 11: “«Con lo scemare della coltura prevalsero
i dialetti», dice Francesco De Sanctis nel capitolo della sua Storia della
letteratura italiana dedicato ai siciliani”. Peggio: “Il dialetto è una delle
espressioni dirette dell’egoismo familiare, di quel «familismo» che è
all’origine di tutto il male, di tutte le miserie che deturpano l’umanità”.
Savinio crebbe cosmopolita, e non
bene con la madre e col fratello De Chirico. Questo non lo dice, ma si sa. Di
suo aggiunge: “E me, che famiglia non ho, mi guardano di tra i dialetti come
uno che non ha famiglia, non ha terra, non ha casa”. Peggio ancora: “Il
dialetto opera anche sull’apparato oculare, e chi parla in dialetto vede uomini
e cose in formato ridotto. Me i miei vicini mi vedono piccolo piccolo”.
Dossi – Carlo Dossi
ambasciatore a Atene il “greco” Savinio trova inadeguato, per la statura- “a un
ambasciatore si richiede la pienezza «doppia» delle figure delle carte
da gioco”.
Quando lo rivide in Italia, dall’ex
ambasciatore invitato “nella sua villa presso Como”, qualche anno dopo, lo trovò,
racconta in “Ascolta il tuo cuore, città”, p. 301, “un sospiro d’uomo”. Che per
di più si schermiva di aver scritto i suoi libri, attribuendoli a un fratello,
“che probabilmente non aveva” – Savinio di fratelli se ne intendeva.
Giallo – È lo
spirito scientifico, la ricerca. Savinio lo dice in questo modo (“Ascolto il
tuo cuore, città”, 57): “Lo spirito scientifico continua lo spirito poliziesco,
e tra le nostre facoltà è la più sviluppata di tutte”.
Italia – È il
filo conduttore dell’opera testamentaria di Jacques Le Goff, “Faut-il vraiment
découper l’histoire en tranches?”, dall’antichità al Settecento senza cesure: con la Scolastica, Giotto,
Dante, Petrarca, Ficino e fino a Muratori (trascura Vico, che pure conosce), e
le repubbliche marinare, i Comuni, i Principati. Le piccole patrie, l’equilibrio.
Italia-India
– L’Italia indiana è esercizio anglosassone –
Marx che se ne dilettò si può dire anch’egli per molti aspetti londinese.
Isherwood ne ha scritto, che è grande viaggiatore pur non conoscendo l’Italia -
c’è venuto tardi, già accasato a Don Bachardy, e a Venezia pianse: “I bengalesi
non sono affatto nordici, ma molto vitali, brillanti e volubili, e se piangono
non è per molto; somigliano molto agli italiani”. E Forster a proposito del
signor Fielding, suo alias in “Passaggio
in India”, di una sua fissa: “Guardare un indiano come se fosse italiano non è
errore consueto e neanche fatale, forse, Fielding tentava spesso delle analogie
tra questa e l’altra penisola, più squisitamente popolata, che si protende
nelle classiche acque del Mediterraneo”.
O forse
aveva ragione Loti, cui l’India piaceva ma senza inglesi.
Latino – È la
ragione per Savinio (“Ascolto il tuo cuore, città”, 276): “Non dico che nella sola
mente latina splende la santa luce della ragione, ma che soltanto in essa
questa luce splende e piena”.
Ne fa un esempio: “La ragione precede i fatti e
ne determina l’esistenza. È uno degli assiomi più beli della «mente
latina»”.
Leopardi
– Va di
fretta, geniale e sbrigativo. Che il francese disse lingua “della mediocrità”.
E il Vesuvio della “Ginestra” “Sterminator Vesevo”. E non leggeva romanzi.
Manzoni – A
lungo se ne sono evocate, ma senza indagarle, le “parti nere” del carattere e
della vita. I tanti figli morti, l’odio poco represso verso la madre, la moglie
dimenticata al passeggio. Di ogni altro si fa, italiano e straniero, si
pettegola anzi molto, di Manzoni niente. Gloria milanese, nazionale? La
tragedia della sua vita, che in qualche modo c’è stata, e non di poco conto
dietro l’olimpismo, lo diminuirebbe o non lo accrescerebbe? Per esempio lo
“modernizzerebbe”, levandolo dal bolsismo.
Fu stanziale – per sessantadue anni abitò nella
stessa casa, in piazza Belgioioso, dai ventisei fino alla morte. Ma non grigio.
La conversazione e gli aveva vivaci. Anche in quello che stampava: negli
scritti storici, per esempio, compresi quelli dei “Promessi sposi”, è molto
temperamentale, scopertamente, anche sulla pagina.
Mito – In
greco antico è semplicemente “parola”.
I miti “si creano”, parlando.
Natura – Non è
remota, secondo Savinio (“Ascolto il tuo cuore, città”, 57): “La natura a
portata d mano è tutta registrata nei libri”. La natura di cui fantastichiamo
“sta fuori dei libri, e forse della stessa natura”.
Omero – È
volentieri freddurista, nei nomi, che talvolta si diverte ad argomentare, e le
etimologie.
Freddurista fa anche Pallade Atena, quando, al
termine del discorso agi dei, gioca su Odisseo-odisào, che è odiare.
Sorella – Venuto
in auge con i giudici palermitani assassinati dalla delinquenza, il personaggio
è in auge con molti letterati: Byron, Leopardi, Stendhal, Nietzsche, Pascoli, con
“L’uomo senza qualità” di Musil, seconda parte, anche in Thomas Mann, che non ne aveva.
Veneziano
– “Il
veneziano è una lingua senz’osso”, Alberto Savinio, “Ascolto il tuo cuore,
città”, 12: “Dà riposo a incisivi e canini. È a uso di mastodonti, ossia di
coloro che hanno i denti a forma di mammelle. Il veneziano invita agli argomenti
scherzosi e a goldoneggiare...”.
letterautore@antiit.eu
L’insostenibile leggerezza del sapere
Un
ritorno? Il terzo postumo di un autore semplice ma evidentemente sostanzioso,
dopo l’eclisse che lo ha accompagnato a lungo, negli ultimi anni di vita e
successivamente, “uno dei rari grandi scrittori
italiani” del Novecento per il suo editore Calasso – che non manca di rilevarne
le doti riconosciute: l’ “intelligenza”, la “stupefacente mobilità di spirito”,
la versatilità, su fondo comico.
Duecento
voci, da “Abatino” a “Zoografia”, di vario genere, personalità, località, cose,
di grande discorsività, e di peculiare interesse, ognuna per un suo verso,
compongono la raccolta, cui Savinio lavorò negli anni 1940, pubblicata postuma
dagli eredi nel 1977, venticinque anni dopo la morte. Alcune lapalissiane – per
questo trascurate? Della Grecia che ha creato dei miti, mentre altri miti si
sono creati attorno alla Grecia. Della bigotteria democratica di Atene,
arrivata tardi alla filosofia, che sempre osteggiò. Le tre qualità, per gli
antichi, di Omero, grande poeta di città: l’eufonia, la safeneia, luce grande e viva su tutte le parti dell’opera, e l’asteiòtes, l’urbanità (“il gusto,
l’eleganza e la finezza, il movimento e la varietà, il sorriso cittadino” – un
altro Omero). Due cancellieri in Inghilterra per due utopie, durevoli, Tommaso
Moro a Francesco Bacone. L’avarizia come principio dell’aristocrazia.
Baudelaire come Copernico e Darwin della poesia, avendo anche lui “ucciso un dio”: prima “la poesia operava
con mani pulite”, poi se le è sporcate. Il marxismo come forma del “torbido
pitagorismo”. E molta Europa: “L’Europa è ormai più fuori dell’Europa che
dentro l’Europa”
Molte
agudezas, ma mai gratuite. Schopenhauer
amava soprattutto Rossini. Le tarde “Argonautiche” di Apollonio Rodio sono “poesia
avventurosa e divertente come uno spettacolo del Teatro dei Pupi”. O l’incredibile,
breve ma non riassumibile, analisi
tonico-verbale delle lingue e parlate inglese, francese e italiano, correlata
alla musica e al senso – chi è romantico
e chi no, e cosa è romantico.
Altre
voci, altrettanto attraenti, sono problematiche. L’amore è “intransitivo” – è
inutile spiegare come. Il verso è imperativo, non adattabile. I poeti apollinei
sono fatui: Byron, Shelley – e Puškin? Nietzsche è apollneo nel senso di
isterico. Nietzsche è un lirico,. Flaubert un fotografo di paese. L’Europa è la
tomba di Dio, Dio è asiatico - è tirannia. Il pensiero europeo è “superlativamente
grafico”. “Condizione ottima dello spirito europeo è il dilettantismo”. Solo l’Europa
non ha bisogno di Dio o della guerra.
Lo
scrittore, musicista e artista delle leggerezza e della “superficie”, contro il
“profondismo” e il “dolorismo”, conduce in realtà per molti labirinti, seppure
con soavità, come se le parole nascessero spontanee.
Alberto
Savinio, Nuova Enciclopedia,
Adelphi, pp. 401, ill., € 15
martedì 4 aprile 2017
Da Benin City a Roma le schiave prostitute
“Non
fosse per l’Italia, ci sarebbe la guerra civile in Nigeria, credimi”. Una
nigeriana sulla spiaggia di Tripoli, in procinto di essere stipato su un
gommone, rifornito con due latte di carburante, “quanto basta per raggiungere
le acque internazionali”, lo dice convinto a Ben Taub, giovane giornalista americano
che ha seguito la traccia dell’immigrazione dalla Nigeria all’Italia via Libia.
Attraverso il Niger. Un mondo di mafiosi e truffatori. Implacabili e impuniti.
In un mondo senza legge, compresa la Nigeria, che è “il paese più ricco
dell’Africa”.
Ma
questo è l’atto finale. Il lungo reportage
Nel
2016, si può aggiungere, circa 8 mila delle 11 mila donne nigeriane sbarcate in
Sicilia sono state avviate ala prostituzione. Un mercato schiavistico, che dura
con l’Italia da quarant’anni buoni, e nessuno indaga – solo il “New Yorker”.
Problemi di base teologici - 320
spock
Cur Deus homo, perché Dio si è
fatto uomo?
L’uomo
è un caso, un accidente della creazione, un surrogato, un tappabuchi, creato
fortuitamente da Dio in sostituzione degli angeli decaduti (san Gregorio
Magno)?
L’uomo
è stato fatto per il mondo o il mondo si fa per lui (Onorio di Autun – o Augustodunense,
o di Aquisgrana)?
L’uomo
è al centro del piano della creazione, o ne è un tassello?
È
l’uomo un microcosmo, l’essere razionale che assorbe il mondo, di cui è sintesi
significativa e attiva (Ildegarda di Bingen)?
Quanto
l’uomo è umano e quanto è divino?
La
scimmia penserà pure di essere divina?
spock@antiit.eu
Il petrolio non manca, l’allarme è artefatto
Yergin,
storico (debuttò con “The Shattered Peace”, sull’origine della guerra fredda) e
storico dell’economia, si è specializzato nel mercato dell’energia. Che è insieme
determinante per la sicurezza politica, ed è forse il più grande mercato
singolo nella vasta rete dell’economia mondiale. Il calcolo è di un investimento
di 6 mila miliardi di dollari nei prossimi anni per le sole riserve fossili di
fonti di energia – a prescindere cioè dalle fonti alternative e dal “quinto
combustibile”, le azioni per il risparmio (conservazione) e l’efficienza. Tutte
le previsioni, afferma lo storico, danno il mondo dipendente dagli idrocarburi,
per il futuro ipotizzabile, al 75-80 per cento dei consumi di energia.
Con
“The Quest” Yergin torna a spiegare che l’allarmismo sull’energia è artefatto:
il libro è stato pubblicato quando il greggio era a 70-80 dollari a barile –
poi è salito a 100 e oltre. Una quotazione, spiega, ingiustificabile sotto ogni
riguardo, né di costi materiali, né di ricerca e sviluppo, né di ammortamento,
né di costi finanziari. Un’analisi e un’informazione calmieratrici in un
mercato volatile, e molto dipendente dalla speculazione – voci, paure.
Lo
aveva già fatto con “Il premio”, 1991, per dissipare i timori seguiti al primo
(1973) e al secondo (1984) shock petrolifero, contrastando la facile speculazione
sulle materie prime. Ci riprovato con questo “The Quest”, la ricerca, sottotitolo
“Energy, Security and the Remaking of the Modern World”, dove modern sta per contemporaneo. Partendo
da un breve excursus sugli apocalittici, che si commenta da solo. Primo Lord
Kelvin, che nell’Ottocento profetizzò la fine vicina, dopo il 1881, per
l’esaurirsi delle miniere di carbone nel Galles. E dopo la guerra l’ammiraglio
Rickover, “il padre della Marina atomica”, per un facile rilievo: “La dotazione
di risorse della terra si è mostrata in nessun modo così desolata come Rickover
pensava”, malgrado Fukushima, le primavere arabe e l’incertezza dei
rifornimenti, la Bomba iraniana, i consumi esagerati.
In
questa chiave, e a parte, Yergin demolisce col sorriso il “picco di Hubbert”.
Hubbert era un colorito personaggio che ebbe fama per aver “predetto” nel 1956 che
la produzione americana di idrocarburi avrebbe avuto un picco tra il 1965 e il
1970 - il “picco di Hubbert” - e poi avrebbe cominciato a declinare. Basandosi
su un calcolo corretto delle riserve americane di idrocarburi e del trend dei consumi, del fabbisogno del
sistema produttivo. Il picco in effetti fu raggiunto nel 1970. E tre anni dopo
la richiesta dei paesi produttori di un aumento dei prezzi alla fonte fu facilitata,
nello “shock petrolifero” dell’ottobre 1973, proprio dall’ingresso degli Usa
nel mercato internazionale come grande importatori. Hubbert ci prese gusto, e “nel
1978 predisse che i bambini anti nel 1965 avrebbero visto tutto il petrolio
disponibile consumato nell’arco della loro vita”. Questo naturalmente non sta
avvenendo: “Nel 2012”, spiega Yergin, “la produzione Usa di petrolio è stata
quattro volte più alta di quella prevista da Hubbert”. Che nel suoi calcoli
escludeva l’innovazione e i prezzi.
I
problemi del mercato dell’energia sono di altra natura, spiega Yergin in
dettaglio. Uno è “la globalizzazione della domanda”: ci sono più soggetti
acquirenti sul mercato mondiale per quantitativi importanti, la Cina, l’India,
lo stesso Giappone e la Germania dopo Fukushima e l’abbandono del nucleare.
Oggi – 2010 – il consumo medio pro capite è di 14 barili di petrolio nei paesi
sviluppati e di 3 nel mondo in via di sviluppo: che succederà quando i miliardi
di nuovi entranti nel mondo dello sviluppo consumeranno 6 barili l’anno?
Poi
c’è il problema della sicurezza. Contro i cyber-attacchi, la pirateria
informatica, molto possibile nella complessa logistica delle forniture d
energia. E contro le guerre e l’insicurezza del Medio Oriente, dell’area del
Golfo – che detiene il 55 per cento delle riserve mondiali di petrolio e gas.
Ma
il petrolio non manca e non è scarso. “Come prova del picco, i suoi sostenitori
argomentano che il tasso di scoperta di nuovi giacimenti di petrolio è in
declino. Ma non si tiene conto di un punto cruciale. La maggior parte delle
forniture di petrolio non è il frutto di
scoperte, ma di riserve e rivalutazioni”. La differenza tra le prime
valutazione, quando “si scopre” un giacimento, e le successive revisioni e
rivalutazioni è solitamente elevata: il potenziale mediamente raddoppia.
E
gli investimenti in nuove prospezioni non diminuiscono, ma aumentano “drammaticamente”.
Daniel Yergin, The
Quest, Penguin, pp. 820 € 19
lunedì 3 aprile 2017
Secondi pensieri- 301
zeulig
Artigianato – Materializza
la creatività. L’oggetto artigiano può non essere di buon gusto e più spesso è
di cattivo gusto, ma si annusa golosamente e si apprezza per essere un manufatto
creativo. Il vasaio, il fabbro, il liutaio, anche il falegname e il muratore, a
lungo sono stati onorati, quando ancora esercitavano secondo apprendistato e
mestiere, in qualche modo padroni di un segreto (la tecnica è un segreto), come
creatori. La manualità è diminuita nel giudizio da non molto tempo – forse in
vista dell’abbandono.
Civiltà – È difesa? È
acquisizione? Non può essere che l’una e l’altra, volendo la parola convogliare
positività, “valori” di bene. Col vecchio residuo di connotare negativamente,
“barbarico”, tutto ciò che è ai margini o esterno, sottintendendo l’esclusione
come una diminuzione – ignoranza, rozzezza, incapacità. Questo è da qualche
tempo inammissibile, e anche sbagliato – molto c’era di civile nei barbari. Ma
in che limiti è civile il volersi appropriare della civiltà altrui?
È
il problema del multiculturalismo.
Mondo liquido – È in Savinio, lo
scrittore-musicista-pittore,1944, “Ascolta il tuo cuore, città”, prima che in
Bauman. Come operazione attiva e non subita: “La conoscenza, come nave che non
può ammainare le vele, si alontana sempre più verso le cose che la mano non più
riesce a raggiungere né l’occhio a vedere. L’intelligenza dell’uomo perde via
via il suo carattere «manuale» e si liquefà”. Anzi, va più in là: “E quando la
liquefazione non basta più, l’intelligenza si «atmosferizza». E quando anche
l’atmosfera non basta più, l’intelligenza diventa particella dello spazio.. E
quando lo stato di spazio nello spazio è troppo corposo ancora, troppo
«toccabile», l’intelligenza si annulla. La fine del mondo avverrà per
tentazione dell’infinito”
Mundus senescit – Il mondo
deperisce è concetto medievale, l’idea che il mondo si decompone, e non va alla
salvezza ma alla perdita di sé. Derivato dalla fine del mondo che sant’Agostino
avrebbe profetato, nella sua periodizzazione, al libro IX della “Città di Dio”,
delle sei età del mondo, la sesta andando dalla nascita del Cristo alla fine
del mondo.
Ragione – La Scolastica
riprende nel Duecento, con Alberto Magno e Tommaso d’Aquino, l’idea che “la
ragione nasce all’ombra dell’intelligenza” dal “Libro delle definizioni” di
Isaac Israeli, IX-X secolo (articolo “Raison”, in “Dictionnaire du Moyen Âge, a
cura di Cl.Gauvard, A. de Libera,
M.Zink).
Omeopatia – È il metodo e
la panacea della scaramanzia: è il male che scaccia il male, la morte
(augurarla, prevederla, invocarla, minacciarla) che scaccia la morte.
Religione – Se è un
supermercato, approssima l’apoteosi o la sua fine? Ce ne deve essere una per ognuna,
o deve essere una per tutti? È barrire alla libertà, nel sentito illuministico,
o una delle sue strade? La religione tende a essere dommatica, sotto il
principio di autorità. Ma il “ritorno del sacro” si vuole riappropriazione di
un campo di libertà. Una rivolta contro il senso del limite che la ragione
ragionevole, sia pure involontariamente, impone – un vincolo. Ragione e libertà
non vanno di pari passo?
Sogno - È un
rovesciamento, in qualche modo, della realtà. Dell’ineluttabilità – della cosa
in sé. Fosse pure dell’abitudine. Un disegno di libertà.
Ma
la libertà vive nei sogni scomoda: non solo nell’incubo, in qualsiasi sogno
resta sottinteso e prevalente che c’è, ci sarà, un ritorno alla “normalità”, un
risveglio. Sia pure sotto forma di prigionia, di chiusura: nella morale, la
coscienza, la conoscenza, gli stessi nostri segreti
Storia – Nasce nell’Ottocento:
romantica e nazionale. Inventiva, logica e misteriosa, e imperiale: una
raccolta di “storioni familiari”, quali avrebbero colmato il secolo – fino ai quattro
quarti dei miserabili. La storia è inizialmente di orgoglio, una volizione.
Tradizione – Non
necessariamente – non se ne vede ragione – ma costituisce un valore. Che
qualcosa sopravviva al proprio tempo e si tramandi, mentre il resto si
deteriora e decompone, spesso rapidissimamente, è in questa continuità l’idea
dell’immortalità.
Universo – “Gli
astronomi hanno individuato un buco nero supermassiccio a 600 milioni di anni
luce, che crea nuove stelle fino a trenta volte la massa del sole. Ce n’è
abbastanza per fondare l’infinito – c’è un dato quantitativo
nell’imponderabile, il non circoscrivibile.
zeulig@antiit.eu
Problemi di base napoletani
Perché
la Juventus, che domenica notte ha giocato a Napoli e mercoledì deve rigiocare a
Napoli, se ne è tornata a Torino e ritornerà a Napoli poco prima della seconda partita?
Perché l’albergo che la ospitava era inospitale, e anzi ostile. E per motivi di
rodine pubblico – non si sa mai.
Perché
ai tifosi juventini non è stato permesso l’accesso? Meglio 4-5 mila posti
vuoti, e mezzo milione d’incassi in meno?
Perché
la Società Sportiva Calcio Napoli ha promosso e distribuito decine di migliaia
di fischietti colo azzurro (il colore sociale), per fischiare Higuaìn?
Perché
De Laurentiis, il patron dell’SSC
Napoli, finge di aver dovuto cedere Higuaìn per volere di Higuaìn, mentre lo ha
ceduto volentieri per incassare una enorme plusvalenza, 80 milioni?
Perché
l’SSC Napoli, che ha come colore sociale l’azzurro, si è vestita di bianco per
la gara con la Juventus, lasciando il suo colore al club sfidante? Per compiacere
i produttori di magliette (diversificare: volendo ricordare quella partita bisogna acquistare
una maglietta diversa).
Perché
Napoli crede a De Laurentiis, appassionatamente?
Cosa
costringe Napoli a farsi innaturalmente antipatica, ostinatamente?Le scienziate segregate
È
una satira, in salsa patriottica. Un film sulla stupidità. Annacquata
nell’American Dream, delle segregate nere che invece sono americanissime,
pioniere e paladine della libertà.
La
storia è di tre matematiche che lavorano alla Nasa nel 1960. Ma essebd donne e
nere è cme se non ci fossero. Una fisica matematica che è l’unica capace di
calcolare le orbite, di crociera e di rientro, delle prime capsule spaziali, si
deve assentate per fare pipì almeno quaranta minuti, se corre come una pazza,
fino ai gabinetti separati per neri. Una informatica che sola sa far funzionare
i primi potenti calcolatori Ibm ma non può entrare nella sala calcolatori, top
secret. Una esperta ei materiali che dà i suoi suggerimenti per la capsula, la
parte debole della missione spaziale Friendship, in funzione di occasionale
suggeritrice, come portaborse. Tutte vengono tenute fuori dalle sale riunioni perché
donne – ma le bionde entrano.
Tutto,
forse, anche vero, reale: la segregazione razziale era un fato negli Usa, nella
civilissima Florida, cinquant’anni fa, al tempo di John Kennedy. I fisici sono
rigorosamente maschi, in camicia bianca e cravatta. Le cape-reparto
biondissime. Le nere, per quanto coltivate, sono tenute in disparte, per i
lavori meniali, tollerate come lavoratrici socialmente utili. Alla Nasa, la
punta di diamante della ricerca e l’innovazione negli Usa e nel mondo. Ma il
direttore Kevin Costner serioso ha un dubbio, quando vola la cagnetta Laika, e
poi Yuri Garain: “Che hanno più di noi, sono più intelligenti?” Il regista non
lo dice, ma lo sottoliena discretamente. Quando arrivano a Cape Canaveral per
l’addestramento i futuri cosmonauti, al nordico colonnello John Glenn fa
salutare ostentatamente, fra tutti i dipendenti in parata, il gruppetto delle
nere, disinvolto e gioviale.
Un
film che appassiona per la storia, più che per le immagini. Melfi è regista disimpegnato,
come Damien Chazelle (“La La Land”). Europeizzante, anche per le origini:
cresciuto a Brooklyn da padre siciliano, è americano filosoficamente
(candidamente) critico. Senza calcare la mano.
Se
se ne può fare una generazione col più giovane Chazelle,
si direbbero scientificamente postmodernisti, che rifanno la vecchia commedia
americana, tutta sorrisi e beatitudini. Ma con leggerezza. L’American Dream disturba
solo all’arrivo dei Nostri - che è poi l’avventura breve e miracolosamente finita
bene di John Glenn, il primo americano nello spazio extraterreste. Con promozioni,
onori, titoli, e medaglie per tutti, comprese naturalmente le tre eroine nere. Ma
prima la storia è appassionante di stupidità. E, poi, Melfi evita di fare delle
tre scienziate segregate le solite bellezze al bagno: sono madri di famiglia, molto
al naturale, giustamente grevi.
Theodore
Melfi, Il diritto di contare (Hidden
Figures)
domenica 2 aprile 2017
Trump fa il tedesco
Che
deve fare un paese sommerso da merci d’importazione, spesso vendute sottocosto?
Deve in qualche modo proteggersi.
È
presto per dire cosa succederà con le misura protezionistiche annunciate da
Trump: il presidente americano è ancora un oggetto misterioso. Ma la sua
iniziativa non è economicanente non ortodossa – già Obama era arrivato allo
stessa conclusione. La novità è infatti vecchia. È che per negoziare bisogna
alzare paletti, raccomandarsi è inutile.
Trump
fa quello che i governi europei non hanno fatto di fronte all’aggressività
della Germania, che accumula avanza commerciali stratosferici “a danno” degli
altri paesi della Ue: la Francia, la Gran Bretagna prima di andarsene, hanno
fatto come Renzi, hanno chiesto, perorato, ragionato, a nessun effetto.
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Ombre - 360
“Crolla a
9,75 il rapporto fra alunni e insegnanti”, è l’allarme del “Sole 24 Ore”. Era
di 12 a 1, “un valore che continuava a essere distante inferiore ala media Ue,
e distante da Francia, Germania, Regno Unito e Spagna”. Cioè, è meglio la
scuola con meno insegnanti – “fa peggio solo la Grecia”.
Il
giudice in aspettativa per fare politica non può iscriversi a un partito. È la
regola dei giudici italiani. Perché la giustizia si vuole ipocrita?
D’altra
parte c’è chi fra i giudici, come un certo Emiliano a Bari, non indaga un
capopartito, o allora in modi e tempi che non lo feriscano, e poi si fa
segretario locale del suo partito. Quindi sindaco. Quindi presidente di Regione,
sempre per lo steso partito. Quindi candidato alla guida del partito. Senza mai
abiurare la magistratura. Ha paura di restare col culo per terra? Ha il
metabolismo difficile? Un giudice ingordo? non sia mai.
L’assicurazione
manda l’avviso a dicembre che la Rca scade a gennaio. L’avviso viene consegnato
dal Fulmine Group ad aprile – l’1 aprile, ma non èn pesce d’aprile. Quella del
recapito postale è un’incapacità congenita degli italiani?
“A Pechino
si sono accori che Trump usa la stretta di mano per «sottomettere» l’avversario”.
In vista del vertice tra Xi Jinping e Trump nel resort di quest’ultimo in Florida, si arriva a queste sottigliezze.
Magari non è una bufala, ma che fatica la trumpofobia.
Il Grande
Comunista incontra in due giorni di svago il Super-Tycoon, ma non c’è altro
motivo d’interesse.
“Islanda,
boom di nascite a nove mesi dal 2-1 con l’Inghilterra. A giugno la vittoria
della nazionale all’Europeo, e oggi nel paese è record di parti”. E’il disgelo?
Ma a giugno in Islanda è giorno 24 ore.
Di Grillo
non si può dire se non che si diverte, lui come Di Maio, Di Battista. Ride e fa
ridere. Riesce così a fare due mestieri, il comico in teatro la sera, e il
capopartito di giorno. Senza deprimersi cioè. Ma gli italiani lo prendono sul
serio.
Quello che
non ha fatto la Lega lo fa Grillo: commissariare Roma - “Roma ladrona”
eccetera. Assessorati, aziende, consulenze, Grillo manda a Roma in
defettibilmente gente del Nord, affaristi, manager, ragionieri, avvocati. Mai
uno, per dire, napoletano, o pugliese, a non volersi fidare dei romani.
Bisogna
riconoscere che gli inviati di Grillo a Roma non strafanno: scendono lunedì alle
15 e se ne salgono giovedì alle tredici. Non vogliono occupare Roma.
Folle di
candidati presidente in America, e qualche presidente, sono stati inibiti da
ragazze di poca virtù in cerca di pubblicità che esibivano relazioni
extraconiugali. Perché l’America, si dice, è puritana. Ma il vicepresidente
Mike Spence si vuole incriminarlo perché lui di proposito non va a cena da solo
con una donna che non sia sua moglie. E non a ricevimenti dove si beve se non è
accompagnato dalla moglie. Più che puritani, gli americani sembrano pruriginosi
– si gratteranno?
“Sono
stato onorato di conoscere Salvatore Buzzi”, dichiara solenne Carminati in
tribunale - lui “nero” di Buzzi “rosso”: “È una persona superiore a tutti gli
imprenditori romani”, da intendere: tutti specializzati a “lavorare coi soldi
pubblici”. Beh, torto non ha: l’ex (quasi) ergastolano li surclassava tutti.
Il
processo Mafia Capitale è il processo del terzo settore famelico contro la “29
giugno”, le cooperative rosse rappresentate da Buzzi.
Dice
Berlusconi ai borghesi del Rotary: “Non ho mai fatto lavorare Grillo nelle mie
tv perché voleva essere pagato in nero”. Magari è vero, ma non è questo il
punto: i rotariani voteranno ora Berlusconi, o correranno da Grillo?
Grillo,
che si querela contro tutti i giornalisti per diffamazione, non cita Berlusconi
in giudizio. Dove peraltro sarebbe sicuro d ottenere una condanna, non c’è
giudice che se ne priverebbe. Farsi pagare in nero non è diffamazione?
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