Borromini – Architetto “navale” lo vuole
Ungaretti felice in viaggio verso l’Egitto nel 1931 sull’“Esperia”, “bastimento
di lusso”. In contrasto con la decorazione “fare bello” dei saloni, in linea
col cattivo gusto coppedé o “parnassiano” o “gaudiano” di moda, l’architettura
della nave Ungaretti vede di “rara eleganza”. E non la
decorazione, l’architettura gli richiama Borromini: “Mi viene in mente
per contrasto Borromini, architetto che meriterebbe il nome di navale per l’accorato
distacco, la vertigine, l’annuvolamento di forme strane sorprese di sfuggita”.
Conan Doyle – Fu molte cose, ma soprattutto dottore, e scientista.
Watson è dottore, come CD di una certa esperienza. E incontra Sherlock Holmes
in veste di medico legale, all’università, esperto di farmacologia, anatomia,
microscopia. E .J.Wagner, la patologa autrice di “La scienza di Sherlock
Holmes”, lo dice conoscitore esperto dell’incipiente medicina legale.
U.Eco – È, brillante, lieve, ma politicamente
corretto? Di proposito, quasi un opportunista? Lo spirito beffardo e in parte
sacrilego non spinge ad assumere interlocutori non “in linea”. Peirce sì,
Popper no. Qualsiasi filosofo anglo-americano del linguaggio sì, Chomsky mai. L’interpretazione, tema prediletto, sviuppa prolisso senza mai citare Gadamer. Il postmoderno, senza Lyotard. Come uno che non leggesse, mentre era bulimico e
anche onnivoro.
Corrive, conformiste, anche le
“bustine”, e più per il piglio irridente. Da sindrome delle vacanze
intelligenti. Da “salotto buono”, il vecchio tinello raccolto attorno a zia
Felicita-Scalfari, sorridente, a volte magnanimo.
Egitto africano – È rivendicazione contemporanea,
a partire dalla tesi di laurea del senegalese Cheikh Anta Diop alla Sorbona, “Nazioni
negre e cultura”, 1960. Poi sempre più comprovata, fino a Black Athena”, 1987,
del sinologo inglese Martin Bernal – nel quadro di una più vasta semitizzazione
della storia. Ma era nozione antica, di prima del nazionalismo, di quando l’unità
delle culture non era stata sezionata – e non funzionava a vettore unico, dall’Africa
nera, per dire, verso il Mediterraneo lungo il Nilo, viceversa no, l’africanizzazione dell’Egitto
è anch’essa operazione nazionalistica.
Joyce – Le sue traduzioni sono sempre
in –evole: lodevole, lamentevole, manchevole.
Media . “La stampa, Watson,è
un’istituzione di sommo valore, se solo la si sa usare” – idee precise aveva
già Sherlock Holmes, “Avventura dei sei Napoleoni”.
Meismo – Dai selfie al’io-me, senza
più freni, diarroico? Il “Corriere della sera” ha una pagina di Teresa Ciabatti,
mancata vincitrice del premio Strega, che di sé dice profusamente che non ha mai vinto nulla e
anche a scuola aveva promozioni mediocri. Magari inaugura un genere.
Nero – Riproposto come “giallo” da Michel
Bussi, le ninfee nere che ossessionarono l’ultimo Monet, era il problema (ossessione)
della pittura del secondo Ottocento: il non colore che cattura la luce.
Ungaretti in Egitto nel settembre del 1931 se ne sente invaso guardando il
deserto al tramonto, senza più il sole e senza ancora le stelle, in una col
silenzio, e il vuoto: “Il sole già cade a piombo; tutto ora è sospeso e turbato;
ogni moto è coperto, ogni rumore soffocato. Non è un’ora d’ombra, né un’ora di
luce. È l’ora della monotonia estrema. Questa è l’ora cieca; questa è l’ora di
notte del deserto”.
Peirce – “Il grande matematico e
fisico americano”, lo ricorda Popper, “e secondo me uno dei più grandi filosofi
di tutti i tempi”. Sempre ammiratissimo, specie per la capacità logica. Come
Umberto Eco dopo di lui, che però non menziona Popper – la citazione di Popper
è da una conferenza del 1965.
Sherlock Holmes – Il fascino del personaggio
intramontabile, benché tirato via, contorto, affastellato, è detto da Conan
Doyle stesso, aprendo la tarda “Avventura della fascia maculata”. È tragico, comico,
bizzarro, ma ordinario - professionale: “Lavorando come lui faceva più per amore
della propria arte che per lucro, rifiutava di spendersi in alcuna investigazione
che non tendesse all’insolito, e addirittura al fantastico”. Le sue storie sono
poliziesche al limite con la fantasy.
Ebbe successo in America prima che in
Gran Bretagna.
Trovatori – I troubadour, dalla Catalogna all’Occitania, non sarebbero gli
imitatori o traspositori della poesia lirica araba, del regno di Cordoba? Di
Ibn Arabi, Omar Ibn el Farid e altri numerosi. In una col ciclo cavalleresco,
che adattano alla lirica d’amore.
Volendo radicare il Basso Medioevo nel
Mediterraneo arabo e islamico (molti temi sono persiani), la poesia cortese è migliore
veicolo che non il “Libro della Scala” di Maometto per Dante e la “Divina
Commedia”. Grande scavo filologico se ne ricaverebbe, scendendo per li rami a
Petrarca e quindi a tutta la poesia profana rinascimentale e post. Un
sovvertimento.
11 Settembre – C’è tutto in un appunto
che Ungaretti prese ad Alessandria d’Egitto, la sua città, nell’estate del
1931, pubblicato nel 1959 col titolo che dà il nome alla raccolta, “Il deserto”:
“Quando vedo gli Arabi, che sanno il valore dello spazio…. , quando li vedo
guardare con avidità un’automobile, e sognare l’aeroplano – tutte le loro
leggende sono piene d’uomini volanti – non posso, sapendo che la loro terra è
culla d’imperi, non domandarmi se questi mezzi non saranno un giorno voltati
contro chi ne ha loro insegnato la manovra”. E non è finita: “Intanto non
dimentichiamo che l’islam ha una forza di proselitismo nel mondo nero e estremo
orientale che va crescendo ogni giorno”.
letterautore@antiit.eu