astolfo
India – Fu la meta di Napoleone in Egitto, che doveva essere una tappa, e sua
ambizione costante. Lo era stata della Rivoluzione: Il decreto del Direttorio
che autorizzò la spedizione di Napoleone in Egitto chiedeva anche di “fare
tagliare l’istmo di Suez ed assicurare il libero ed esclusivo dominio nel Mar Rosso
alla Repubblica francese”.
La spedizione napoleonica viene
volentieri avvolta nel mistero. Legandola al ricco bottino archeologico, che
poi fu il suo unico esito. E ai tatticismi del futuro imperatore, che partiva per
farsi richiamare – “perché la sua assenza lo rendesse indispensabile”, come è
stato detto. Ma c’era un disegno, nazionale.
La questione coloniale e
l’India erano state portate presto all’attenzione dell’Assemblea Nazionale. Un
memorandum dei mercanti marsigliesi l’1 settembre 1790 prospettava
l’occupazione del Cairo come via all’India: “Il Cairo offrirebbe una facile
comunicazione con le Indie e sarebbe fatale al commercio degli inglesi. Se
vogliamo partecipare al commercio ch’essi fanno con quelle ricche regioni, è
verso Sud e il Mar Rosso che dobbiamo volgere gli occhi”.
Napoleone avrebbe voluto una
spedizione via terra, sulle orme di Alessandro Magno. Nel 1802 inviò nel
Levante – poi Siria, Libano -.il colonnello Sebastiani per prepararla. Mentre inviava
il generale Decaes in India per
prepararne la rivolta. Nel 1807 inviò il generale Gardane a Teheran, a studiare
l’invasione dell’India dalla Persia. L’anno successivo, il 2 febbraio, scrisse
allo zar Alessandro con la proposta di una marcia franco-russo.austriaca su
Costantinpoli, il Levante e l’India.
Italia-Egitto - L’Italia, calcolava Ungaretti nel 1931, ha investito
in Egitto “un capitale di 5 miliardi”, in prestiti e opere pubbliche: strade,
ponti, ferrovie, porti, canali, giardini, il primo serbatoio di Assuan.. Più un
capitale incalcolabile in consulenze: consigli, expertise, diplomazia. Soprattutto
prima dell’unità, l’Italia divisa non suscitando al Cairo timori di mire politche,
e subito dopo. Per quasi un secolo, dopo l’avvio della modernizzazione con
Muhammad Alì Pascià (1760-1849), i suoi tramiti con l’Europa, senza passare per
Istanbul e la Sublime Porta, furono italiani: Carlo de Rossetti prima, e Bernardino
Drovetti prima. Che curavano anche gli interessi di Francia (il titolo di Drovetti
era di console di Francia ad Alessandria), Inghilterra, Austria, Prussia,
Venezia.
Drovetti sbarcò in Egitto nel 1798,
come ufficiale dell’esercito napoleonico. Restò come collezionista di
archeologia. La vendita al re di Sardegna nel 1824 della sua prima grande raccolta
costituì la base del Museo Egizio. Rossetti fu attivo dal tempo dei Mamelucchi,
coi bey Alì e Murad, fino alla spedizione di Napoleone, e ai primi atti di
indipendenza di Muhammad Alì. A volte consigliava entrambe le parti, il pascià del
Cairo e il sultano di Istanbul.
La prima missione archeologica in
Egitto fu franco-toscana, di Champollion e Rosellini. Il Papiro Reale di Torino
e la Pietra di Palermo sono stati la base degli studi cronologici dell’Egitto
dei faraoni. Il Museo di Alessandria fu fondato da un italiano, Botta, che ne fu
a lungo poi il conservatore – succeduto dopo la Grande Guerra da Evaristo
Breccia. Botta, naturalizzatosi francese, figura come Paul Émile, ma era nato
Paolo Emilio, a Torino, figlio di Carlo Botta, lo storico politico.
La modernizzazione portò fino
alla Grande Guerra, prima dell’occupazione inglese, nomi italiani, perché la burocrazia
era stata ammodernata da italiani: Anagrafe, Statistica, Catasto,Dogane, Poste
(i primi francobolli egiziani portano la scritta in italiano “Poste Egiziane”),
Tribunale, Cancelleria, Ornato. Tutti gli atti ufficiali di Muhammad Alì
trascritti in lingua europea lo sono in italiano. Alla Scuola dei cadetti da lui
fondata gli istruttori erano in prevalenza italiani, e l’italiano era la lingua
europea che vi si insegnava, in aggiunta all’arabo, il turco e il farsì. Anche
la flotta fu creata dalla marina italiana. Italiano è stato il primo studio scientifico
del regime del Nilo, 1864, dell’ingegnere Elia Lombardini. La Società di
Geografia fu fondata al Cairo da Ismail per preparare e aiutare le spedizioni
sulle sorgenti del Nilo, fu progettata e creata da italiani. A lungo lo
studioso meglio informato della storia dell’Egitto fu Lumbroso.
Re Fuad I, il modernizzatore
dell’Egitto tra le due guerre, parlava piemontese – “se trova con chi scambiare
due parole in piemontese, è tutto felice”, testimonia Ungaretti nel taccuino
del suo ritorno ad Alessandria, 1931. Era cresciuto in Italia, durante l’esilio
del padre Ismail a Napoli, e aveva trascorso gli anni giovanili alla scuola di
guerra a Torino.
L’Egitto era stato fino alla Grande
Guerra uno dei paesi di emigrazione degli italiani, delle maestranze. Dalla
Puglia, la Calabria e la Sicilia in prevalenza, ma anche dalla Toscana e dal Veneto.
Sono statti gli italiani i maestri tornitori, falegnami, idraulici, muratori,
ingegneri e geometri, cuochi, artisti, che hanno aiutato i ceti urbani egiziani
a modernizzarsi.
Panarabismo – Ritorna col terrorismo islamico. Non dichiarato ma
nei fatti Nell’insorgenza oggi dell’islam sunnita contro l’islam sciita. Che è
in realtà, e di fatto, dell’islam arabo contro l’Iran e i suoi alleati, Siria e
Libano. La renitenza a ogni difesa, quando non l’apporto sostegno al
terrorismo, di molti regimi arabi, specie le petromonarchie, con le loro
emittenti, in particolare Al Jazira, la tv del Qatar, si spiega anch’essa con
lo schieramento panarabista, una sorta di nazionalismo etnico.
Il panarabismo propriamente
detto era il disegno strategico di Nasser, il leader egiziano: il mondo arabo
sotto la leadership del Cairo, all’insegna del socialismo di Stato. Con la
reviviscenza della Lega Araba. E con vari tentativi di unioni istituzionali,
specie tra Egitto e Siria, con Sudan e Libia (da ultimo con Gheddafi) come
contorno. Fino alla morte di Nasser e dopo, un paio d’anni dopo la guerra del Kippur,
che restaurò l’onore, anche militare, dell’Egitto, perduto con la disfatta del
1967. Allora il panarabismo era nemico delle petromonarchie, arretrate bigotte,
patrimoniali (nel 1974 tre principi sauditi, tra essi il futuro re Fahd, passarono
i tre mesi dell’autunno a Montecarlo col progetto di sbancare il casinò….). Che
ora hanno fatto proprie le armi allora progressiste - radio Cairo fu per un ventennio
l’Al Jazira del panarabismo, molto temuta nella penisola arabica. .
Roma – Ebbe la sua celebrazione massima nelle repubbliche rivoluzionarie del
Settecento. Negli Stati Uniti, che si modellarono sul diritto romano nei
codici, a partire dal diritto costituzionale, e nelle istituzioni – riempiendosi,
anche figurativamente, di Campidogli e Senati. E nella Francia della
Rivoluzione, che si sviluppò al passo e con gli accenti di Plutarco. Con
dispendio di “virtù romane”. Il codice Napoleone fu modellato sul diritto
romano. Romana fu l’oratoria all’Assemblea Nazionale. “Romana” fu l’arte,
architettura, scultura, pittura.
Sinistra – Si può dire imbalsamata nelle sue buone intenzioni. Lo
scrittore Foster Wallace la dice vittima, soprattutto, dell’imbroglio del
politicamente corretto. In una “interpolazione” (digressione) molto argomentata
del saggio centrale della raccolta
“Considera l’aragosta”, “Autorità e l’uso americano”. La sinistra politica
americana, dice lo scrittore, è vittima del suo politicamente corretto nella
questione centrale della redistribuzione della ricchezza su presupposti e a
fini sociali. Il PC è “una vanità di sinistra” che è “nemica delle cause della
stessa sinistra”, la vanità trasformandosi in orgoglio cieco: “Rifiutandosi di
abbandonare l’idea di se stessi come “Unicamente Generosi e Compassionevoli
(i.e. come moralmete superiori), i progressisti perdono la possibilità di configurare
le loro argomentazioni redistributive in termini che siano insieme realistici e
realpolitiker.
astolfo@antiit.eu