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sabato 5 agosto 2017

Problemi di base storici - 348

spock

Se fosse (stato) presidente di una sua società, Donald Trump non si sarebbe già licenziato?

Napoleone era alto m.1.69-1,70, in epoca di altezza media 1.64: perché si toglieva i centimetri?

Carlo Magno era analfabeta?

Si può fondare un impero sacro e romano essendo analfabeti?

Hitler era un folle oppure uno stupido?

Mario Monti è un economista?

È il Louvre che fa la Gioconda, o la Gioconda che immortala il Louvre?

spock@antiit.eu

Il situazionismo che ci cambiò la vita

Nella seconda metà del Novecento un fanatsma si è aggirato per l’Europa – e gli Stati Uniti.  Un fantasma vero, presente e assente: il situazionismo. L’imsieme di teorie e precetti elaborati nei primi anni 1960, del boom che sembra inarrestabile della ricchezza, sintetizzati poi ne precetti “rivoluzionari”: non consumare, non lavorare, non integrarsi. Un movimento che si segnala per aver navigato sott’acqua, senza gruppi organizzati né manifestazion in piazza, anzi ignoto ai pù, e a molti che lo cavalcavano.
Marelli ne fa la storia. Partendo da Guy Debord, che ne fu l’anima e l’iniziator e. Una ricostruzione del movimento, e delle sue vicissitudini, seguite attraverso i personaggi più rappresentativi. Ma con una chiave riduttiva, come se la storia fosse di un fallimento. Mentre innescò un rivolgimento che definire colossale è forse poco, si apprezzi o si condanni: quello che verrà chiamao il Sessantotto.
Il fallimento come setta sì, era inevitablle, Tanto più di una setta senza santoni né organizzazione. La caratteristica diffusione ciclostata, rudimentale, dischizzi, disegni, analisi, slogan, s’incontrava a opera di barbuti nelle viuzze del Vieux Carrè a New Orleans, tra le ragazze in altalena col popò che usciva dalle finestre per invitare dentro a bere. Roba da mercatino turisco, insomma. Ma il messaggio è il Sessantotto.
Il Sessantotto è molte cose, ma è indubbiamente all’origine di una società più aperta e democratica. Più giusta anche, in quanto ha rinnovato il diritto di famiglia e di procreazione, e lo status femminile. E molto libera: le menti ne sono state liberate delle donne non solo, ma anche degli uomini. Tutte cose che si radicano nello sconosciuto situazionismo. Che si può dire una visione coerente del reale, se non un innesco del cambiamento. Di successo quindi.
Un successo tanto più enorme in quanto ottenuto senza truppe né guerre, e senza alleati né protettori, dichiarati o surrettizi. Per la sola forza delle idee.
Gianfranco Marelli, L’amara vittoria del situazionismo, Mimesis, pp. 446 € 26



venerdì 4 agosto 2017

La politica della bugia

La bugia non paga. E irrita: il popolo non è stupido, tende anzi a essere furbo. Come i suoi politici, che all’evidenza lo sono meno.
Dopo Berlusconi, un immobiliarista e un venditore, che ancora ancora si poteva capire come fenomeno milanese, vince in America un immobiliarista e fenomeno televisivo da baraccone. I riccastri. E dunque? Dunque, era peggio Clinton, Hillary – bugiarda per costituzione.
È una deriva di  destra, di sinistra? Si è tentati di dire di sinistra, in Francia, in Spagna, con la Clinton. In Italia naturalmente – basta la parola, il Pd. Ma Sarkozy? Cameron e May?
È impressionante l’insensibilità di Renzi dopo il referendum. La sua dipendenza da Berlusconi, che evidentemte lo disprezza e lo mette regolarmente nel sacco, a Roma, a Torino e col referendum (sulla propria riforma che Berlusconi era “sceso in campo”, con “grave sacrificio”, suo, della famiglia, dell’azienda, per realizzare, etc. etc.). Impressionanti le catastrofi che assomma. La metà del partito che lo lascia. Un governo solido di Roma buttato giù per affidare la capitale a Matteo Orfini. A Orfini. Orfini presidente del Pd… Forse perché si chiama Matteo.
Da qui il voto del disprezzo più che di rivolta. Del rifiuto: si vota di più con l’astensione. E viene fuori uno come Trump, incapace, fuori dell’immobiliare, e nocivo. Che gestisce la più grande potenza del mondo senza un solo collaboratore esperto e fidato. Un improvvisatore in politica. Dentro la quale si aggira come un orso che uscendo dal letargo si trova alla Casa Bianca. 
L’analogo di Berlusconi, senza la vaselina del milanese: due venditori di fumo - Berlusconi aveva più ville, portava i suoi a fare jogging perfino ai Caraibi. O Grillo, il cui mestiere è il comico. Per non dire della fantapolitica digitale della Casaleggio, una presa per i fondelli talmente incredibile da rasentare il miracolo - le primarie online, roba da call center, da televoto Rai, da scemi.
Ma più che dei politici, di destra o di sinistra, il buco è dei media. Che più la politica è insulsa più inneggiano. Anzi, in un senso costringono la politica a essere insulsa,  a “rinnovarsi”. Nell’economia del talk-show studiata per gli intervalli obbligatori della pubblicità: le cinque-sei batture pronte – limate, ripetute allo specchio. Che sul “Corriere della sera” o “la Repubblica” diventano interminabili sceneggiate. Dell’onorevole Bocchino nella passata legislatura (un portaborse di Romeo, l’imprenditore degli appalti pubblici), di un onorevole Di Maio in questa. Entrambi napoletani forse non a caso, per la loquela sciolta sul nulla.
Si dice populismo ma è la politica della franca bugia, dichiarata, dell’irrilevante. Sulla quale, chissà perché, i media che tanto ci perdono puntano.

Le nostre paure sono quelle del 1940

“The Ministry of Fear” è  il titolo originale – più aderente il titolo italiano, dal film che Pabst ne trasse a caldo, nel 1944: non c’è nessun “ministro della paura”, nessuno che si erga a tanto tra i personaggetti che popolano il romanzo. Scritto sugli avvenimenti, subito dopo i bombardamenti tedeschi passati alla storia come Battaglia d’Inghilterra l’estate del 1940, pubblicato nel 1943.
Un plot striminzito. Dipanato sul filo di un libro per bambini dimenticato, “The little Duke” di Charlotte M. Yong - il romanzo di Riccardo Cuor di Leone, re bambino della Normandia. Anche tirato via: lo spunto è alla Christie, una torta vinta alla lotteria della parrochia, “fatta con vere uova”, il centro del complotto  una seduta spiritica. Guarnito di molte frasi famose, quasi una parodia della frase famosa. Spesso sulla solitudine: “C’erano uomini che vivevano volontariamente nei deserti, ma avevano in comune la compagnia del loro Dio”. Sul lutto dell’amico cui è appena morta la moglie sotto i bombardamenti: “Si dice che la tristezza invecchi, ma altrettanto spesso la tristezza ringiovanisce: libera dalla responsabilità, dando al suo psto il perduto disancorato aspetto dell’adolescenza”. “Un assassino è per se stesso un uomo ordinario” – ma “è solo se un assassino è un buon uomo che può essere visto come un mostro”. “Dietro i dettagli complicati del mondo stanno le cose semplici”. “La pietà è una cosa terribile”. “Non si uccide necessariamente perché si odia, si può uccidere perché si ama”.
La verità sta in un vecchio messale, che Mr Rowe, il piccolo protagonista, si ritrova sotto il naso mentre si nasconde in una libreria di vendite all’asta, il lotto numero 20, aperto a caso: “Non lasciar prevalere l’uomo”. Verità che l’autore commenta: “Il coraggio polverizza una cattedrale, la resistenza lascia morire una città di fame, la pietà uccide… Siamo intrappolati e traditi dalle nostre virtù”.
Ma Greene riesce a farsi leggere. Delineando anzi le due forme della spy story: un centro perverso del male da tenere in guardia e combattere, lo schema che sarà di Ian Fleming; o il Male (mitico, archetipo, sovrastante) contro il male quotidiano, la sofferenza di vivere. Di questo piccolo male soffre il mr Rowe del romanzo – il tipo che ritroveremo fino a Le Carré, Oltre che essere vittima di un Grande Gioco. La storia è di un piccolo uomo, che deve affrontare e vincece i suoi demoni, prima di poter affrontare quelli che minacciano il grande mndo – che suona male chiamare protagnista.
È un romanzo storico anche, importante. D’ambiente. Di Londra nell’anno dei bombardamenti, massicci, quotidiani. In cui si perde un giorno il vìcino di casa. E il giorno dopo la stessa casa. È il mondo di William Le Queux, dice a un certo punto il narratore. l’inventore delle invasioni tedesche. Tale che il manicomio al confronto viene detto un luogo sano: “Ognuno in quel posto era molto  ragionevole”. Una storia di precarietà. Che però, a differenza dei romanzi tedeschi pstbellici, non diventa mai protagonista: è vissuta staticamente, è una guerra che bisogna combattere.
Straordianaria – certo per caso- è l’anticipazione d temi d’attualità, settant’anni e passa fa. C’è la psicoanalisi. Il vero plot è la morte misericordiosa, l’eutanasia, di cui il protagonista si è reso responsabile con la moglie, per la quale è stato processato e assolto, ma non liberato – per “l’orribile e orripilante emozione della pietà”. C’è anche la valigia esplosiva a strappo. La guerra batterica, minacciata, incontrollabile. La perdita selettiva della memoria. E ci sono i rifugiati: “I rifugiati non sono mai soli… I rifugiati avevano sempre amici: gente che contrabbandava lettere, fabbricava passaporti, corrompeva i burocrati… Un rifugiato ha sempre un partito - o una razza”. Il “ministro della paura” dell’originale sarebbe allora quello dell’insicurezza, che ci attanaglia oggi?
Più che un dramma, quale si vissuto al cinema di Pabst, sembra un divertimento, scritto con penna leggera. In Sierra Leone, dove Greene era comandato in guerra, “nostro uomo all’Avana” in una scena vuota – giusto per stare lontano dalle bombe?
Graham Greene, Quinta colonna, Oscar, remainders, pp.266 € 3,80


giovedì 3 agosto 2017

Secondi pensieri - 314

zeuligAvanguardie – Sono votate alla morte, si sa. Al tempo del Gruppo 63, di letterati e filosofi, il poeta Alfredo Giuliani lasciò a un certo punto l’organo del gruppo, la rivista “Quindici”, troppa politica – e Leo Paolazzi, il poeta “Antonio Porta”, che la faceva, non gli diede torto. Giuliani voleva l’avanguardia dieci anni prima a Firenze, ma il toscano non si presta, le avanguardie parlano lombardo, che va veloce. E il toscano Renato Poggioli, in pausa dall’invenzione del russo che fingeva di tradurre, ebbe buon gioco  mostrare le avanguardie votate alla morte: la vita le avanguardie vogliono eroica, e quindi breve, anche suicida. Agitarsi è triste, disse Eco, “per ogni filosofia esiste un frammento dei presocratici che la anticipa”.

Consapevolezza – Federico Faggin, il fisico, la dice di necessità “primaria” – a Martina Pennisi,  “Corriere della sera” di domenica: “Una proprietà della natura che esiste fin dall’inizio. Una qualità fondamentale fuori dalla materia come la conosciamo oggi”. Una proprietà evidentemente della vita animale: “Se l’aspetto cognitivo non viene considerato come punto di partenza si potrebbe concludere che viviamo in un universo senza significato”. Un fondamento creazionista formidabile. Ma basato su un punto fermo: per un fisico l’insignificanza è un macigno.  

Leggere – Si può leggere molto, molto di più che in qualsiasi altra epoca storica, benché il tempo si sia rappreso – sfugga, evapori, per l’incombere incessante dell’innovazione e del mercato (niente dura più di pochi giorni, dal cellulare a windows. Molto è fruibile di tute le letterature, che non molti anni fa sarebbe rimasto sconosciuto. Anche al’istante, tutto si vuole subito, nell’immediatezza, la produzione, l’offerta e il consumo. E tuttavia c’è il senso di un immenso spreco. Di tempo e di energie. Forte se uno ha il gusto del classico, che gli impone di “situare” la lettura, su una scala inevitabilmente comparativa.  Ma sensibile anche per chi vive l’attualità, e la stessa tendenza corrente alla trasformazione in continuo, di sensibilità e interessi, e degli stessi linguaggi, non solo i gerghi. Di letture cioè che, appena finite, e non dopo dieci o venti anni,  sono niente, tempo sprecato. Dove si mette Benn? Celan è un buon minore. E questa è tutta la consolazione.

Male – È persistente, cumulativo? Lo dice il Marco Antonio di Shakespeare, “Giulio Cesare”, 3,2: “Il male che gli uomini fanno vive dopo di essi. Il bene spesso resta interrato con le loro ossa”. Nella storia bene e male vanno in parallelo, come conseguenze delle azioni umane. Ma è vero che il male si accumula, persistente e in certo senso indistruttibile: le carceri si allargano, in proporzione alla popolazione, i delitti si accrescono, gli armamenti si ingigantiscono, senza ritorno o distruzione possibile, le malattie proliferano. il bene deve rinnovarsi costantemente.

Morte – È stata eroica, romantica, fascista. Si eulogizza ora nella morte misericordiosa – che però fu anche di Hitler, ed è, non dichiarata, di molta eugenetica, nei paesi scandinavi e nella stessa Germania – si dà ora ai vecchi come al tempo del riso sardonico di Propp. Ma più che mai si vive come una sconfitta, non un fatto naturale. Dagli stessi sogni progressisti che muovono l’eutanasia. Si vuole infatti totale, assoluta. Nient’altro essendoci a parte il corpo che decade e muore.

È stata rivoluzionaria. Fu la Rivoluzione che, dando a ogni popolo il suo Dio, come Sciatov dice a Stavroghin, gli diede la segheria. La tecnica e l’economia di dare la morte a ognuno nel nome della Ragione, il proprio dio, in cui la Rivoluzione eccelse.

Di Omero è stato detto che al suo Ulisse fa fare in realtà un viaggio nella morte. Nove volte Ulisse avrebbe incontrato la morte. Però in forma di donna.

Nel concetto di massa è il germe di una democrazia della morte: è pensiero di Jünger.
Manzoni la storia dice guerra illustre contro la morte.
Il giudizio universale, il paradiso, l’inferno, e l’anima immortale che rende buona la morte, tutto è già in Assioco - chi era Assioco?

O il problema è la morte della morte. Per nessun motivo specifico, sia pure triviale, l’età, la malattia, il numero, l’atomica, la camera a gas - non tutti gli ebrei finirono nei campi, la maggior parte sì, ma perché non erano ricchi o protetti: la banalità non esaurisce la tristezza, che ha riserve  incommensurabili. “Lo scopo di tutta la vita è la morte”, e “il non essere esisteva prima dell’essere” sono di Freud, e non poteva non essere, della cultura del lutto. Filosoficamente invece l’essere, la vita, esiste prima dell’esser-ci, e esiste dopo la morte. È in questo senso che va inteso Erasmo: “L’uomo è più grande dell’uomo”.
Lo stesso Freud dice giusto per una volta: “Ogni essere vivente muore necessariamente per cause interne”. Per un credente però niente cambia: la morte della morte è la fine del progresso – il tempo, la storia - e di ogni altro significato della vita fuori della vita.

Odio – È senza limiti per essere tribale e rivoluzionario, per il resto se ne può fare a meno

Progresso – Fu la prigione, la pena detentiva in isolamento. Un riferimento importante, benché sottovalutato da Foucault, che il progressista Victor Hugo evidenzia in apertura dell’arringa contro la pena di morte e il carcere, “Claude Gueux”, 1832. Teatro, nel caso specifico, una prigione ricavata da un’abbazia, quella celebre dei benedettini di san Bernardo a Chiaravalle, “abbazia di cui si è fatto una bastiglia, celletta di cui si è fatto un ripostiglio, altare di cui si è fatto una berlina…  Quando parliamo di progresso, è così che certe persone lo comprendono e lo realizzano.”

Sogno – Quello a occhi aperti è un disegno di vita – rinnova la vita, ne è ricostituente. Quando induce tedio o paura sarà la depressione in agguato.

Stupidità – Si definisce come mancanza d’intelligenza. Ma la forma sua più diffusa e coriacea – imbattibile – è di chi si ritiene superiore, per condizione e capacità, di tutto sapendo meglio di tutti. E specie nelle evenienze ingovernabili, malattia, calamità, crac.

Sviluppo – Monsignor Galantino lo riporta all’etimologia: è un dispiegamento, il contrario di viluppo.. Come spiega meglio la parola inglese e francese, col de- più indicativo della “s” avversativa, contrazione di “dis-”, e con un senso positivo dell’azione. Ma più delle libertà “reali” evidentemente, economiche. Delle risorse. Materiali e immateriali – l’istruzione, i diritti di difesa, i diritti di libertà. Finanziarie – che hanno una grana antica e una sintassi propria, e un’economia specifica. Politiche. E ora, si ritiene, anche di opportunità.
Il segretario dei vescovi italiani lo lega, facendosi forte di Albert Einstein, allo sviluppo della individualità, o meglio alla moltiplicazione dele individualità – le “personalità creative” del padre della relatività generale. Ma è proprio di regimi bonapartisti, e meglio ancora dittatoriali: l’Italia di Mussolini, la Germania di Hitler, la Russia di Stalin, la Cina odierna. Che lo sviluppo possono “programmare”, riducendo gli sprechi, e “accentrare”, per facilitarne la condivisione. Lo sviluppo dall’alto, l’accumulazione per lo sviluppo.

zeulig@antiit.eu


La Ditta al governo di Roma

Casaleggio Associati, Consulenza per le strategie digitali, fa e disfa il Comune di Roma. Casaleggio Associati è cacciatore di teste? E perché manda a Roma sempre gente inadatta, che dopo pochi mesi o settimane se ne va o deve andarsene?
Casaleggio Associati è cacciatore di teste a percentuale? Di cariche pubbliche da 240 mila lordi l’anno. Non granché a essere onesti, ma evidentemente appetite, il potere piace. Se lo è bisognerebbe saperlo: è la ragione per cui li cambia così spesso. 
Casaleggio Associati fa le nomine al Comune di Roma all’insaputa, a ogni evidenza, di Virginia Raggi, che la città ha votato a sindaco. Raggi è associata della Casaleggio? Ma sindaco, giunta e aziende comunali sono organismi politici, che vanno governati attraverso il voto, cioè dalle persone elette. Rispondendone agli elettori, non a una società di consulenza.
Davide Casaleggio, titolare dela Casaleggio Associati, esibisce la sua partecipazione al Movimento 5 Stelle, lo stesso che ha candidato Raggi. Ma lui è uno specialista di ecommerce, e non ha l’attitudine politica e la passione del padre Gianroberto, il “creatore” di Grillo – del blog e dell’itinerario politico di Grillo, dal “vaffa” ai cinque punti.
È Casaleggio o padre Pio?
Davide Casaleggio gestisce primarie, candidature e manager pubblici da semplice esperto di ecommerce. Nella memoria del padre, per la nostalgia della dinastia? Sarà così, le cronache ne sono appassionate. Ma il Comune di Roma è grande e complicato come la Fiat, non è una televendita. 
L’esito è l’incuria. Il disordine amministrativo. Interessi privati in ogni piega. Spese enormi a nessun fine. Nell’impunità. Ci sarebbe voluto molto meno in altro contesto per denunciare il conflitto d’interessi della combriccola. Invece, meraviglia, non una censura. Né legale e nemmeno politica. Nemmeno una critica, nemmeno velata, su nessun giornale, di nessuna delle petulanti associazioni degli utenti-consumatori-elettori-cittadini. Casaleggio è intoccabile per essere milanese? O tutti in coda, come coi santoni? Beh, certo, santo è il Digitale – sarà Davide Casaleggio un padre Pio junior?
Ieri un lettore del sito lamentava tra il serio e il faceto lo strapotere della Casaleggio Associati su Roma, la giunta comunale e la sindaca. Oggi Davide Casaleggio che lui di proposito non inconra la sidnaca, che sarebbe Virgina Raggi. Cioè la telecomanda. giustamente nel Digitale.

Le guerre della piccola gente, con humour

Apologhi, più che racconti, del “Soldati” britannico. Umori, ritratti, cose viste. Dei tempi dificili,di guerra e subito dopo. Della piccola gente. Gli studi per corrispondenza – oggi online. La scrittrice divorante. L’adulterio per caso, dopo essere stato impossibile. I furbi della devozione, gesuiti, segretarie. I primi hooligans, che distruggono per nulla una casa firmata Wren. Il mal d’Africa alla Conrad. Il lavoro che non c’è, non per i giovani. L’assassinio-suicidio di coppia.
Da ultimo, in un prolisso abbozzo di romanzo, “Sotto il giardino”, Greene si esercita senza freni nell’arte predletta della saggezza conclusiva, della sentenzosità. Sulla vita, la morte, la donna, la sessualità, la natura. La vena morale era in questo scrittore d’aventure dominante.  
Con curiose traduzioni di Piero Jahier, evidentemente operate sui racconti singoli alla prima pubblicazione – la raccolta è del 1975, dieci anni quasi dopo la morte dello scrittore fiorentino.

Graham Greene, Amori facili, amori difficili

mercoledì 2 agosto 2017

Le furberie di Macron

Ha atteso di avere la maggioranza parlamentare e ha attaccato l’Italia. In Libia, su Stx, su Telecom, e sugli immigrati, a Ventimiglia e nel canale di Sicilia – il no di Médecins sans frontières parte dall’Eliseo. Mentre manda manager e ministri italianisti, mobilita i fratelli di loggia di piazza del Gesù, e fa sapere che intende passare le vacanze in Puglia.
La strategia napoleonica che i concorrenti fratelli di palazzo Giustiniani imputano a Macron si appunta con determinazione contro l’Italia – anche l’originale partì con una campagna d’Italia. Macron non ha fatto altro fino ad ora che creare problemi all’Italia. Perché l’Italia è il debole tra  i grandi Ue, e questo basta per la gloriola nella quale si esaurisce la Francia. Consentendogli di continuare  a fare il valletto di Merkel e di Washginton.
Non una grande strategia – Macron sembra avere molti fratelli nei media ma non nel governo di Gentiloni. Anzi, una serie evidente di furberie. Che, se l’Italia non fosse l’Italia, pagherebbe anche caro: tradire accordi, nazionalizzare, chiudere frontiere e aizzare guerre civili costerebbe più caro alla Francia, troppi interessi ha in Italia.
Le stesse furberie in atto sono balorde. Fincantieri senza Stx sta bene, il viceversa no. Médécins sans frontières pagherà molto di affitto e stallie, con la nave ferma per i controlli, senza poter partecipare al banchetto degli sbarchi – i salvataggi sono pagati. E l’hotspot in Libia (una delegazione francese in Libia per stabilire chi è rifugiato e chi no), paese in guerra intestina multipla, tribale, mafiosa, bonapartista?

I danni dell’Olimpiade

Due miliardi e mezzo di dollari di investimenti del Comitato Olimpico, di cui 160 da destinare a impianti e attività per giovani, e il costo di gestione e amministrazione dei Giochi a carico del Comitato stesso. A questa ricca sorgente ha rinunciato una certa Virginia Raggi, una sorta di ectoplasma che i romani hanno eletto sindaco di Roma. Ma dietro si vede il testone di Grillo, se non è una maschera, uno che si dice comico, e non ama Roma perché non ama la Rai. Non c’è nessuno a Roma che chieda i danni?
Sembra di scherzare e invece è la realtà. Così vanno le cose nella repubblica delle banane a cinque stelle. Guai a fare qualcosa, anche solo spazzare le strade, Grillo se ne potrebbe dispiacere: lui sa tutto, fa tutto, decide tutto. In genere niente – l’unica cosa che ha fatto in cinque o dieci anni ormai è espellere dal suo blog-piattaforma-movimento-partito chi ha un’altra opinione, liti lunghe e feroci.
O è Casaleggio jr., il badante di Grillo? Decidono entrambi – di non decidere – ma quello che parla è Casaleggio.

Mussolini in difesa di Sacco e Vanzetti

L’omaggio forse migliore alla memoria di Sacco e Vanzetti, per i novant’anni del loro assassinio di Stato in America. nella ricorrenza. Lorenzo Tibaldo, che molto ha scritto per le battaglie di libertà nel Novecento, tra queste anche dieci anni fa quella di Sacco e Vanzetti (“Sotto un cielo stellato. Vita e morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti”), analizza qui l’intervento del governo fascista in loro favore, pubblicando i documenti dell’Archivio Storico Diplomatico della Farnesina. Con un saggio dell’italianista americano della City University di New York Philip V. Cannistraro, specialista di storia del fascismo (suo il seminale “La fabbrica del consenso”), sul contesto americano della condanna.
I materiali sono analizzati nell’intento di spiegare il motivo del sostegno di Mussolini alla causa dei due anarchici. Del capo del fascismo, che pure voleva e considerava gli Stati Uniti paese amico. Per le sue radici anarco-socialista? Improbabile e anzi impossibile. Più convincente l’ipotesi nazionalista, di affermare l’italianità in un caso giudiziario che impegnava l’attenzione del mondo intero. Del resto, alla fine, Sacco e Vanzetti per null’altro furono giustiziati se non per essere italiani.
Il tentativo non fu di facciata. Seppure nei limiti della diplomazia, l’interessamento del governo fascista fu consistente.
Philip V. Cannistraro-Lorenzo Tibaldo, Mussolini e il caso Sacco e Vanzetti, Claudiana, pp. 144 € 14,90

martedì 1 agosto 2017

Letture - 310

letterautore

Buon francese – Robert Mengin, che visse a Napoli coi genitori prima di Mussolini, e dopo la guerra ha diretto l’Agence France Presse a Roma dal 1955 al 1972, ne dà una definizione a contrariis molto attuale, nel secondo volume dei suoi “Souvenirs de guerre”, 1942-1945, che intitola “Vous êtes un mauvais français”. Subito alle prime righe:
“Un «cattivo francese» è, per esempio, un cittadino che non mette al di sopra di tutto l’indipendenza nazionale. Io non metto l’indipendenza nazionale al di sopra di tutto.
“Un «cattivo francese» è, per esempio, un cittadino che non mette gli interessi della patria al di sopra degli interessi delle altre patrie. Io non metto sistematicamente l’interesse della nostra patria al di sopra dell’interesse delle altre patrie”.
Il “Lei è un cattivo francese del titolo” è detto a Mengin a Roma dopo la guerra dall’ambasciatore Gaston Palewski, al quale il giornalista aveva rifiutato di “smentire una notizia imbarazzante ma vera”.

Cattivo Pas méchant, mauvais – Victor Hugo fa la distinzione parlando del carceriere di Claude Gueux, che quest’ultimo ucciderà. L’italiano non distingue, siano tutti cattivi.

Dante – Troppo “contemporaneo”, non sarebbe più Dante? Che è, e rimane, uomo del Medio Evo. È vecchio argomento, che Claudio  Giunta esuma sul “Sole 24 Ore” l’altra domenica recensendo un “Dante, nostro contemporaneo” di Marco Grimaldi. Uno studio incentrato su questa difficoltà, di assorbire Dante nella contemporaneità. Salvo imporgli, a quel che obietta Giunta, l’elogio della monarchia come se fosse una moderna tirannia – magari militare o elettiva (plebiscitaria). O, al contrario, rinnegarlo perché la sua idea di impero sarebbe “totalmente distante”, Giunta cita Grimaldi, “agli occhi di chi, come la maggior parte di noi, vorrebbe un mondo libero, democratico ed egualitario”. Che sembra un rimprovero buffo a uno col vissuto di Dante. 

Fake news – Il giornalista Robert Mengin nel libro sopracitato rifiuta di smentire una notizia che ha dato, meritandosi l’invettiva “Lei non è un buon francese” dal suo ambasciatore che gliela richiede, per una ragione semplice, anch’essa d’attualità: “La smentita avrebbe costituito una falsa notizia”, la fake news oggi d’ordinanza.
La smentita caratteristicamente, allora come oggi, veniva richiesta dalla stessa fonte della notizia, l’ambasciatore.

Figlia – Nonché non voluta e spesso trascurata, nelle vecchie culture nomadiche, e in molte moderne culture asiatiche (islam, India, Cina), mantiene in francese una connotazione derisoria pù che denotativa. Fille sta in francese per prostituta (“fille publique”), e per amante, anche convivente (“compagna”) ma non sposata.

Hitler – La critica letteraria del “New York Times”, Michiko Kakutani, recensendo un libro sulla sua ascesa gli assimila passo per passo, senza nominarlo, Trump. Un esercizio di abilità. Ma Kakutani, che ora che si dimette dal “New York Ties”, fatto irrituale, viene celebrata per la competenza e l’acutezza di giudizio (il “New Yorker” assicura che dopo di lei niente sarà più come prima), evidentemente non conosce la storia di Hitler – probabilmente non la letto nemmeno il libro sulla sua ascesa. Hitler quindi è già  dimenticato.

Italia-India – Per la “curatrice” di Palazzo Vecchio in “Inferno” Ron Howard sceglie, quale esagerazione dell’italianità (gestualità, vivacità, maternità, superficialità), un’attrice indiana, Ida Darvish – che forse non lo è ma lo sembra molto. Da Marx e Cattaneo, la fama dell’Italia specchio dell’India è arrivata a Hollywood.

Le Queux – Sembra il mondo di Le Queux, William, lo scrittore di spionaggio più letto, anche se non in Italia. Francese naturalizzato inglese, giornalista, scrittore appunto di storie di spionaggio, .. console onorario di San Marino a Londra, specialista di invasioni, dalla Germania principalmente. Con “L’invasione del 1910” , moltiplicò nel 1906 le vendite del “Daily Mail” e raggiunse fama mondiale istantanea. L’invasione successiva fu dalla Russia. Le Queux si voleva inseguito da agenti russi, o tedeschi, e pretese la protezione di Scotland Yard. Pioniere delle nuove tecnologie, fu pilota d’aereo, aprì nel 1909 una stazione radio che trasmetteva musica, e si occupò nel 1924 del progetto di televisione – ma non investì negli esperimenti, disse che i suoi capitali era bloccati in Svizzera.
Aveva esordito con una invasione mista, francese e russa, nel 1894, “The Great War in England in 1897”. Passando poi presto alla Germania, con “The Invasion of 1910”(1906). Tre anni dopo reiterava con “Spies of the Kaiser”, in cui riusciva a mettere insieme nel complotto la Germania e la Francia. Inaugurò da ultimo il genere gossip, con “Things I know about Kings”, e un “Celebrities and crooks”.
In quest’ultimo anticipa anche il Russiagate. Racconta di aver visto un manoscritto in francese di mano di Rasputin che chiariva i delitti e la personalità di Jack lo Sventratore. Jack era un medico russo, Alexander Pedachenko, specializzatosi nei delitti a catena per confondere – oggi sarebbe hackerizzare – Scotland Yard.

Pound – “Quello che crede che l’oro è il male… è naturalmente attratto dal sistema economico tedesco”. Sembra scritta per lui questa riflessione di Graham Greene, a metà di “Quinta colonna”.

Roma – Legge Roma controcorrente Carlo Ossola avviando a conclusione il suo periplo delle radici  e nervature dell’Europa - è partito dalla Anderlecht di Erasmo.La legge con l’Adriano di Marguerite Yourcenar: “Roma si perpetuerà nella più modesta città dove dei magistrati si diano cura di verificare i pesi dei mercanti, di pulire e illuminare le strade, di opporsi al disordine, all’incuria, alla paura, all’ingiustizia”. Ora, l’illuminazione c’è, ma per il resto? Quella di oggi non sarebbe Roma, una falsa copia?

“È insensato andare a Roma se non si possiede la convinzione di tornare a Roma”, è citazione famosa di G.K.Chesterston, forse perché non si sa cosa significhi.Ma Chesterston è anche autore di “La Resurrezione di Roma”, opera tarda e anche minore, riscoperta in anni recenti (in Italia tradotta, quasi in incognito, nel 1950, e subito poi scomparsa). Ma piena di apprezzamenti. Un reportage di viaggio dello scrittore inglese nella capitale italiana. Dove scendeva allo Hassler Villa Medici. Il più importante fu nel 1930 per la beatificazione dei Martiri Inglesi. Nell’occasione ebbe due incontri importanti, come Mussolini e con Pio XI, incontri in cui fece scena muta, racconta, perché Mussolini parlava solo lui e il papa lo intimidiva.
Anche Roma lo intimidiva, sebbene ne scriva per 360 pagine. Avrebbe potuto scriverne un libro, scrive, anche solo guardando dalla sua finestra in albergo. “Roma”, conclude con altro detto famoso, “è troppo piccola per la sua grandezza, e troppo grande per la sua piccolezza”. La trattazione è eccezionalmente prolissa. Ma i paradossi non mancano. Roma è la città delle fontane, che corrono dal basso in alto: simbolo delle cose segrete, che zampillano dal basso verso l’alto.
E ancora: Roma è piena di tombe, che però sono piene di vita. I monumenti e le immagini mortuarie “non si trascinano il sapore della mortalità ma piuttosto dell’immortalità”. E non è un posto dove torniamo al passato, ma dove il passato torna al presente.
Molte pagine della “Resurrezione di Roma” sono sulla santità, la teologia, e i nemici della chiesa. Chesterston è stato e resta scrittore influente nella chiesa di Roma: “I ultimi due Papi”, ha scritto “L’Osservatore Romano”, “hanno molto apprezzato gli scritti di Chesterton, si può dire che egli sia stato uno scrittore «ratzingeriano» per la sua difesa della ragione, ma anche tomista come Giovanni Paolo II”. La “resurrezione”, nella prospettiva ascensionale adottata per Roma, vide nella basilica di San Clemente, che anch’essa si trasforma crescendo in altezza: dal Mitreo al soprastante horreum, magazzino-granaio, sul quale una basilica paleocristiana è stata edificata, e sopra di essa quella attuale del secolo XII. La chiesa prospettando come moto ascensionale, dalla terra al cielo. Anche per la continuità dei culti, da Mitra a Cristo. Per il bisogno inesausto di più luce.
Il libro non si pubblica forse perché elogia il fascismo. Chesterston critica, anche con durezza, la dittatura – col solito schema logico “browniano” del rovesciamento: “Risponde all’appetito di autorità senza dare chiaramente l’autorità per l’appetito”. L’elogio è del resto anch’esso a doppio senso. Il fascismo può aver messo ordine nello Stato, ma non può durare se non mette ordine nella mente. E “può zittire i ribelli nella pratica, ma invita alla ribellione in principio”.
“La Resurrezione di Roma” Chesterston dedica a Charles Scott Moncrieff, “che combatté per l’Inghilterra e sperò così tanto per l’Italia\ e morì come un soldato romano\ a Roma”. Traduttore di riferimento di Proust in inglese, “Alla ricerca del tempo perduto” avendo traslato con lo shakespeariano “Remembrance of Things Past”, titolo canonico nella traduzione inglese fino a recente. Protagonista di note disavventure omosessuali, morto a Roma da poche settimane di cancro all’Ospedale del Calvario, la clinica delle suore dell’ordine del Calvario.  

letterautore@antiit.eu

Il Sud torna alla superstizione

Fa male leggere di magherie al Sud – sottinteso: un segno dell’arretratezza – il giorno in cui Davide Ancelotti, “Plugo”, il figlio beniamino di Carlo Ancelotti, l’allenatore vincente, confida tranquillo a Elvira Serra sul “Corriere della sera”: “Ai tempi in cui allenava il Milan teneva diverse cose nella giacca”- dopo aver precisato, nota la giornalista, che “di un padre scaramantico non può rivelare troppo”.
L’ennesima indagine “sul campo”, assicura l’autrice. Dal malocchio alla jettatura, dalla scaramanzia alle apparizioni. Sulla traccia sempre di Ernesto de Martino, “Sud e magia”, dei jettatori, dei malocchi, e delle tarantolate. Anche se la ricercatrice non ha titolo, avendo studiato lingue e proponendosi come traduttrice. Senza dimenticare – ancora de Martino – la chiesa. La chiesa cattolica beninteso, le altre sono immuni alla superstizione. Senza mai il sospetto che, come già negli anni 1950 di de Martino, la superstizione corra in tutte le chiese. Magari come autosuggestione. O svago.
Alessia Rizzo, Superstizioni e prospettive. Inchiesta sulla magia quotidiana, Graus, pp. 93 € 13

lunedì 31 luglio 2017

Ombre - 376


755 diplomatici americani a Mosca? Anzi, no: 1.210 – sono 755 gli espulsi. Un reggimento. Una truppa d’occupazione.

Shahbaz Sherif, governatore del Punjab, diventa premier del Pakistan. In sostituzione del fratello Nawaz, dimesso dalla Corte Suprema perché evadeva le tasse a Panama. Il suo partito, la Fratellanza Musulmana, ha scelto il fratello al suo posto. Ma già a capo del Punjab, che ha più della metà della popolazione del paese, Shahbaz era una sorta di vice di Nawaz. Anche la democrazia è dura in Asia.

Fed, Bce, Banca del Giappone, Banca Popolare  della Cina, Bank of England, Banca Nazionale Svizzera, le maggiori banche centrali del mondo, avevano passività a fine 2005 per poco più di 5.000 miliardi di dollari – il denaro che avevano messo in circolazione. A metà 2017 ne hanno per 19.000 miliardi. Viviamo sul debito. Neppure allegramente.

Grandi discussioni, gravi, sulle pensioni dei parlamentari. Degli stessi che hanno boicottato e infine bocciato la riforma costituzionale che avrebbe ridotto il potere dei politicanti, riportando i partiti al loro alveo. Ma questo non  si dice nemmeno.

Il New York Times” cresce online, testi redazionali e pubblicità. Nel secondo trimestre i ricavi degli abbonamenti online hanno superato la raccolta pubblicitaria su carta: 83 milioni di dollari contro 77. La raccolta pubblicitaria online è ancora inferiore a quella su carta, 55 milioni. Ma è in crescita del 23 per cento, mentre quella cartacea è in flessione dell’11 per cento.

“Seguire le politiche adottate dal regolatore europeo sta creando una vera e propria situazione di distorsione sui crediti a rischio”. Semplice, lo dice Cimbri, ad di Unipol, a Nicola Saldutti sul “Corriere della sera”, ma non è la scoperta dell’America. Solo: non se ne parla. Tutto è dovuto, anche fallire, a un’Europa totem. La quale invece fa solo gli interessi dei grossisti di crediti insoluti. L’Europa non è stupida, è cattiva.

L’avvocato Lastraioli di Empoli, famoso per avere una trentina d’anni fa, prima delle revisioni di Pansa, provato che la strage al Duomo di San Miniato, nel 1944, 55 morti, fu opera degli Alleati (fuoco amico) e non dei tedeschi, come invece voleva la verità ufficiale della Repubblica. Ci scrisse sopra  “La Prova”. Poi è venuto Pansa. Ma nessuno storico ancora si avventura nella palude della guerra civile postbellica.

Per perseguire Alfredo Romeo, sicuro monopolista di appalti pubblici a Roma, con Rutelli e Veltroni, e poi con Renzi, i giudici napoletani ipotizzano un “metodo Romeo”: mazzette pagate con il “nero” di un albergo Romeo e con un canale “estero su estero, pianificando l’utilizzo di una società inglese nella disponibilità dello stesso Romeo e dei suoi familiari”. Non dicono dove, come, quanto Romeo ha pagato, ipotizzano. Basta per al gloria. Ed è sempre meglio che lavorare.
 
Sembra solo improvvisata - anche un po’ ridicola per chi sappia anche poco della Libia, del mondo arabo in genere – la pace di Macron a Parigi tra Serraj e Haftar. Ma viene ripresa sul serio da alcuni commentatori: c’è ancora un partito francese in Italia, come al tempo di Mussolini, giovane?

Ci sarà dunque un Ruby-quater. Com’è giusto per consacrare Berlusconi - c’è stato un Moro-quater e c’è un Borsellino-quater. Poi si dice che i processi in Italia non si fanno.

Ma il top sarebbe un Ruby-quinquies. Intanto sarebbe un record, e poi testimonierebbe che il latino in Italia non è trascurato.

L’identità europea è unitaria

Il “Viaggio nell’anima dell’Europa” che Ossola sta completando per il “Sole 24 Ore” la domenica l’aveva anticipato a un convegno quindici anni fa della Fondazione Cini. Di cui questa pubblicazione contiene gli atti, con saggi di una ventina di studiosi, italiani e europei – tra essi Raimondi, Furio Diaz, Carena, Ritter Santini, Fumaroli, Strada, Olender . L’Europa è cambiata, molto, nel Millennio, ma l’idea di Europa del filologo no: l’identità dell’Europa è unitaria. Già da Alessandro Magno - e fino a Hitler. Anzi già dalla, seppure specialissima, cartografia mediterranea del viaggiatore Ulisse.
È l’idea dell’Impero Romano, di Carlo Magno, di Carlo V, di Napoleone. Di progetti non tutti commendevoli, insomma. È l’Europa anche delle Crociate, e poi della tratta dei negri e del  colonialismo (che qui mancano), oltre che dei pellegrinaggi, dei santi condivisi. Ma, è vero, l’Europa delle tante lingue e piccole patrie si riconosce unitaria: si vede come territorio unico e si vorrebbe in qualche modo unita. Di una cultura, soprattutto, condivisa. In una scena che si vuole unita: hanno viaggiato dal catai a Parigi i paladini di Ludovico Ariosto, e da Cartagine in rovina a Gerusalemme gli eroi del Tasso. Vico era scrittore europeo, come poi Beccaria, gli Illuministi, etc.
Una considerazione dello stesso Ossola va però tenuta a mente. E non come fatto incidentale come lo studioso sembra assumere. Spesso, dai suoi confini, come se implicassero una visione potenziata, l’Europa ha contemplato la sua fine. Dalla navigazione di Rutilio Namaziano, “De Reditu”, o dalla “Mosella” di Ausonio, alla Port-Bou di Walter Benjamin.
Carlo Ossola (a cura di), Europa: miti di identità, Marsilio, remainders, pp. XVI-288, ill., € 12,91

domenica 30 luglio 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (333)

Giuseppe Leuzzi

La tenacia, la testardaggine Victor Hugo spiega in “Claude Gueux”, l’arrringa contro la pena di morte e il carcere, come una virtù che conduce a mali passi. Per essere irrelazionale, direbbe lo psicologo. Anarcoide.

Sequestrati beni a Riina per 1,5milioni. Dopo venti o venticinque anni dall’arresto?
Sequestrati e non confiscati. È un collaboratore di giustizia anche Riina?

Quattro processi per via D’Amelio, venticinque anni, e poche certezze. Per un fatto di sangue così efferato, e contro le istituzioni, Figurarsi gli altri processi, poi si dice la mafia.

“Continuo a essere convinto che la Sicilia offra la rappresentazione di tanti problemi, di tante contraddizioni, non solo italiani ma anche europei, al punto da poter costituire la metafora del mondo moderno”. È saggezza di Sciascia, 1979, che lascia allibiti.
La Sicilia al centro dell’universo, quanto male le ha fatto – e le fa? Eppure i siciliani hanno sempre viaggiato, visto il mondo, prosperato altrove, in culture ben diverse. Bisognerebbe far viaggiare i suoi intellettuali.

Che fa l’Antimafia a Milano? Nell’ultimo anno nulla. Citiamo dal “Corriere della sera”, ieri: Franco D’Alfonso, assessore di Pisapia, ora delegato di Sala al Bilancio della Città Metropolitana (l’ex Provincia), “è stato indagato, e poi stralciato in via d’archiviazione, per aver chiesto voti alle prossime regionali a un imprenditore, interessato a un bar all’Idroscalo, presentatogli da un ex sindacalista che i pm accusano di concorso in associazione a delinquere con imprenditori contigui al clan catanese Laudani”. Non c’è droga a Milano, e non si trafficano capitale. Solo voto di scambio – giusto per non dire che i giudici non lavorano. Forse, ma pare di no.

Facciamo figli per il Nord. Li laureiamo anche per il Nord. In quindici anni se ne sono andati in 200 mila, calcola la Svimez. A 100 mila euro l’uno un investimento delle famiglie meridionali di due miliardi a favore del Nord. A 200 mila euro l’uno da quattro miliardi.

I pentiti alla prima Crociata
Quella di Contrada nel docufilm di Rai 1 su Borsellino non sembra una scena avulsa. L’ex capo della Polizia a Palermo, promosso vice-capo della Polizia a Roma, lo incontra nei corridoi del Quirinale, con sbalordimento di Bocci-Borsellino, perché poco prima aveva ascoltato il neo pentito Mutolo che diceva il superpoliziotto al soldo di Riina. E in effetti non lo è. Ma perché è, drammaticamente, significativa in altro senso.
Contrada non è stato assolto dalla Corte Europea di Giustizia. È stato dichiarato non processabile in base a una legge successiva ai fatti delittuosi che avrebbe commesso. Quindi potrebbe averli commessi. Tutto è possibile, Ma come non vedere il fatto. I fatti. Che il pentitismo è “falso”, in siciliano, e bisogna saperlo gestire: gli americani, che i pentiti hanno inventati, lo sanno fare, e Falcone, che aveva imparato dagli americani, pure. Borsellino, invece, che ne sarà vittima, no.
Un pentito all’improvviso, Gaspare Mutolo, aveva denunciato a Borsellino Contrada, cioè la Polizia a Palermo, come collusi con la mafia - la stessa cosa farà poi con Dell’Utri, cioè con Berlusconi in Sicilia. Un anno dopo altri pentiti all’improvviso accuseranno i Carabinieri di Palermo, da Mori in giù. Come non vedere in questo pentitismo all’impronta una strategia?
I giudici, di Palermo e di Caltanissetta, non l’hanno fatto e continuano a non farlo. Stupidi non sono, Ma allora quali sono i “pezzi dello Stato” collusi?   
La cosa si confronta col processo per la morte di Borsellino, che si è tenuto quattro volte, e senza esito. Perché manovrato prima da un pentito, Scarantino, e poi da un altro, Spatuzza. Questo ritenuto più attendibile perché ripercorre le tracce di Mutolo, ma di per sé di nessuna affidabilità – si era proposto come Mutolo anche lui come testimone contro Berlusconi, la stampa di tutto il mondo si mobilitò, e fu una pagliacciata.

Napoli
“Come si fa ad amare una città che non riconosci più? L’ho amata, come una donna votata al suicidio, all’autodistruzione”, confida Peppe Barra a Antonio Gnoli sul “Robinson” il 4 giugno.

E ancora, continua Barra con Gnoli: “Una volta Pino Daniele mi disse: ma perché non te ne vai? Risposi che ero troppo vecchio e che non si abbandona una nave che affonda”. Al napoletano piace questa metafora: Napoli si vive meglio da lontano. È una nostalgia.

Si lamentano molto i  napoletani di Napoli. Ance i non napoletani, soprattutto quelli borseggiati o maltrattati. E tuttavia è la città forse più innovativa in Italia, nei trasporti, nell’edilizia pubblica, nell’urbanizzazione metropolitana (pendolarismo, servizi). E nell’industria della copia.
 
Martin Mittelmeier, filologo, con una lunga esperienza di direttore editoriale in Germania, pubblica la tesi di dottorato, “Adorno in Neapel”, in cui si propone di indagare come “un panorama struggente si stramuta in filosofia”. Non si riferisce in particolare a Adorno, ma a lui come a tutti gli altri scrittori e pensatori tedeschi che negli anni 1920 privilegiarono il Golfo di Napoli, la città, Capri, Positano. Perché offrivano la possibilità di vivere bene con poco. Ma non senza riflessi sul loro pensiero e la scrittura: Benjamin, Sohn-Rethel, Kracauer, Ernst Bloch, Gretel Karplus, futura moglie di Adorno, Asja Lacis, Gilbert Clavel. Una “costellazione”, la chiama lo studioso, ferace.

Mittelmeier mette Adorno nel titolo come colui che per primo e più di tutti ha abominato il turismo di massa. Ma si diverte poi a rintracciare echi diretti e indiretti del suo soggiorno a Napoli e dintorni anche nelle opere – un “arricchimento materiale”, di roba d’autore. Più del paesaggio come fondale, ma di fatto di un mondo.

Fino agli anni 1950 Napoli e il Golfo furono meta di un turismo colto e esigente (elegante). La città ha sbracato col laurismo: una sorta di peronismo da cui non si è più liberata. Nel sindacato, nella politica, nella stessa vita intellettuale. Prima di livello ben europeo, eccezionale per l’Italia. Dentro l’università e fuori.

In un concorso per l’innovazione architettonica e urbanistica verrebbe certamente prima. Ben prima di Milano. Prima anche della Roma di Rutelli che pure rilanciò le tranvie e le piazze, e commissionò qualche opera pubblica, a Piano, a Maier.

La dinamica della fannullaggine a Napoli, che entusiasmerà Alfred Sohn-Rethel, non piaceva a Charles de Brosses, il presidente del Parlamento di Digione, che ne scrisse ai corrispondenti in viaggio per l’Italia nel 1939-1740 (la raccolta delle lettere dall’Italia fu pubblicata un secolo dopo). Napoli anzi vedeva come un corpo in decomposizione. Un aneddoto simbolico racconta alla signora Courtois che finisce con queste battute: “Dottore, un suo collega mi ha detto che dovranno amputarlo”. “L’imbecille! Come non vedere che cascherà da sé?”. Pur dicendo Napoli la sola città d’Italia con allure da capitale. E “la capitale musicale d’Europa, che vale a dire del mondo intero”..

leuzzi@antiit.eu

La vita sotto i ponti

Il genere è il picaresco contemporaneo. Un romanzo della marginalità, dei rifiuti della vita. Che la vita ha rifiutato o la vita hanno rifiutato, proteggendosi nell’isolamento, con l’anonimato. Fra tutti gli “Strega” probabilmente il più solido. Troppo?
Nucci parte di fretta. Un avvio allitterante, di sibilanti sorde rafforzate: “canneti smossi”e file di pini “si scoprono, macchie di rovi indistinti, macchie scure… mentre pennacchi smorti… a tratti spinti da un soffio o uno sbuffo di brezza… s’irrobustivano e parevano scintillare”. L’allitterazione piace a Nucci: “la limpida lontana ineffabile luce” apre il capitolo “Come un lampo”. Su di essa costruisce il romanzo della vita sotto i ponti, attorno a un “amico di tutti senza speranza”: abbandoni, rifiuti, malattie, morti. Ma alla partenza suona come volersi sgravare di un peso indigesto: bisogna scrivere il secondo romanzo, e scriviamolo.
Molte carte l’autore dispone. Il romanzo vuole dei “non luoghi” e delle “non persone”. Alla Victor Hugo ma senza il “popolare”. Con una prima, ragionata, reazione alle frasi fatte del femminismo – la “retorica femminea”. Compresa la consecutio lamentosa cui lo strizzacervelli abilita, inevitabilmente accusatoria. E malgrado il colorismo verbale, tre o quattro dimenticati fa emergere. In una Roma – è pur sempre Roma – umida, gravida di piogge, canali, rogge, liquami, lungo un fiume già stagnante nel delta.
Nella cinquina dello Strega Nucci brilla di luce durevole: sa il “valore” della scrittura. Ma questa storia di vita sotto i ponti apre porte invece di chiuderne. Una coppia scoppia e non sappiamo perché – mentre una bambina, molto amata, muore rifiutata dalla mamma, e questo non è possibile. Gli zingari non sono simpatici: la polizia li controlla, i campi sono abietti, ma loro trafficano droga e prostituzione, rubano, e impongono la protezione. Gli ultimi pescatori di anguille neppure – uno dei due è spacciatore in grosso. Non c’è redenzione, ma non c’è nemmeno luce tra le pieghe.
Si potrebbe dire il romanzo una celebrazione di Tor di Valle, il cui architetto “immortale” Julio Lafuente ricorre più volte. Proprio là dove deve sorgere lo stadio dell’amata As Roma, la squadra di calcio. Ma sarebbe troppo anche per Freud. E allora? Alla fine Nucci lo dice anche: “Il 3 maggio 2009 Pietro Romanelli mi invitò a mangiare in una chiatta sul Tevere all’estremità occidentale di Roma”, che quello stesso giorno decise sarebbe stato l’ambiente del suo secondo romanzo – “il romanzo che avrei scritto appena possibile, per raccontare una storia che ancora non conoscevo”.
Non si sa che dire di un romanzo fluviale, in senso proprio e in senso figurato. Col vezzo di smazzare le carte del racconto alla Saporta. Per tenere sveglio il lettore, certo, ma con una certa fatica: tra il prima e il dopo, il chi è della storia, il soggetto e l’oggetto, e quale storia stiamo leggendo. Nucci non ne abusa, siamo solo a tre o quattro narrazioni, e a due soli stili tipografici – non al confronto dell’ultimo Eco, per dire, che era arrivato a cinque o sei, e quattro font. Ma non risolve. Non ha neanche una fine. Parmenide, che ricorre a due terzi del libro, non sarebbe stato contento. Figurine corpose s’intravedono, ma nell’umidiccio – non c’è più la cura editoriale di una volta?
Matteo Nucci, È giusto obbedire alla notte, Ponte alle Grazie, pp. 366 € 18