sabato 12 agosto 2017

Secondi pensieri - 315

zeulig

Dio - Sartre (in A. Glucksmann, Le discours de la guerre) ha scritto di Hiroshima: “Era pur necessario che un giorno l’umanità venisse in possesso della sua morte… Dopo la morte di Dio ecco che viene annunziata la morte dell’uomo. Ora la mia libertà è più pura”. La Bomba purifica, dunque. È orrenda la storia assunta a filosofia, contro la storia, il senso comune e il senso filosofico. Dio, che non c’era già da qualche secolo prima  di Hiroshima, ora è qui che ci perseguita fino nel sonno. E nessuno di no si sente più libero. Anzi, benché mai la libertà sia stata così estesa nell’umanità e protetta, siamo qui a tentare di respirare, ci sentiamo soffocare. La ragione deve recuperare il senso della giustizia.

Eliocentrismo – Fa torto a Copernico, che l’ha “scoperto”, nella forma che gli si addebita: “E in mezzo a tutto sta il sole”. Che è e esatto, per un trattato come il suo, “De revolutionibus orbium coelestium”: la terra gira attorno al sole. Ma non nel senso che se ne inferisce, senza sua colpa: che l’uomo non è più al centro dell’universo. Come non lo sarebbe, chi può dirlo? Quello che lo può dire è solo l’uomo - Copernico e chiunque altro. 
Lo stesso per ogni scoperta scientifica. Sì, il Big Bang 14 milioni di anni fa, ma prima – che cosa, come? Ci sarà pure vita intelligente nell’universo, ma l’unico che lo può dire – che intende cosa è la vita intelligente – è l’uomo. Il mondo siamo noi, per il resto non si è mostrato niente di sensato. Il riscaldamento può anche uccidere la vita sula terra, uccidere l’uomo, ma allora per un errore umano. Mettiamo pure per un suicidio collettivo. Ma allora come quello, non altrettanto remoto, che minaccia il day after.
E poi il Big Bang non va inteso nel senso della Bibbia, della creazione armoniosa, ma di un tumulto, di fissioni e fusioni e catastrofi, duratomilioni, miliardi di anni, seppure è finito.

Intelligenza – Il Lepisma saccharina di Linneo, il pesciolino d’argento che si forma nella polvere e la colla dei libri, va veloce verso una sua meta nel pavimento. Il movimento brusco del piede o l’ombra che esso proietta deve averlo messo in allarme, giacché si ferma. Passano alcuni secondi, forse un minuto, poi riprende il suo cammino, come rinfrancato.
Ha avvertito un pericolo, si è fermato a riflettere, ha calcolato un tempo per accertare il pericolo stesso. Come farebbe una persona minacciata da un bombardamento. Di cui magari è poi vittima. La polvere è intelligente.
Il pesciolino d’argento, che in realtà è d’argento non proprio Ottocento, ha una sensibilità, poiché non ha la vista. Ha una memoria. Ha un giudizio. Sa contare. Dall’inanimato all’animato, la creazione c’è, il salto organico.

Morte – Il rito americano – il segno più forte, anche se ambiguo e forse esteriore, sciocco, dell’ottimìsmo della volontà - cancella la paura della morte, cioè la paura. Che non è un meno, non per forza, e può essere un di più, gli americani non sono scemi, sanno che si muore, se la morte imbellettano. Non ne hanno paura, com’è giusto se si è vissuto, anche solo una volta, un attimo, nell’intimo.
Federico, il Gran Re di Prussia, lo subodora nell’epistola al maresciallo Keith “Sur les vaines terreurs de la mort”, nella poesia che Kant loda: “Oui, finissons sans trouble et mourons sans regrets,\En laissant l’univers comblé de nos bienfaits:\Ainsi l’astre du jour au bout da sa carrière,\Repand sur l’horizon une douce lumière”, lasciamo il mondo contenti colmo delle nostre buone azioni, come il sole tramontando sparge una dolce luce.
Anche l’annullamento egualitario è stimolante, una maniera forse migliore di arrivare alla morte, cioè di vivere. Fino all’abuso di sé, l’esperienza presto portata all’oltraggio, la canna a ripetizione, i tre micidiali superalcolici dopo il lavoro prima di cena - gli americani, tenaci, mettono a punto ricette e modi di essere che il mondo poi adotta: ora sono per la saccarina contro lo zucchero.

Phoné, la voce, era in greco la morte. A riprova che l’etimologia dice tutto, cioè niente?

C’è una presenza nell’assenza, come c’è senz’altro vita dopo la morte, nel senso di vitale, vigile brigata, assidua, amichevole. È ciò che si dice gli angeli.

La morte è ricorrente. All’anagrafe arriva una volta sola nella vita – o per una volta è accertata, per incidente o sfinimento. Ma ognuno muore in effetti più volte, incluso in forma di suicidio, del rifiuto degli altri per rifiuto di sé, per cattiveria, sfida, follia, e per tara biologica, perché no. Gli altri, i fortunati, forse non hanno nulla da perdere. “L’eternità viene nel tempo, l’immensità nella misura”, direbbe san Bernardino da Siena, “l’invisibile nel visibile, Dio nell’uomo”.

Ridere – Paul-Louis Courier, lo scrittore che fu soldato di Napoleone, famoso per le lettere, e per essere morto cornuto dispiaciuto, per ridere leggeva Plutarco: “Le vite sono romanzi comici”, diceva. E in punto di morte: “I libri istruiscono soltanto coloro che già sanno”.

I filosofi, spiega Arendt, “non hanno ancora scoperto a che serve il riso”. Platone lo proibiva, lui che fece, vecchio, tre volte il viaggio a Siracusa, per insegnare al tiranno locale la matematica, da lui ritenuta propedeutica alla filosofia. Il problema viene da più lontano: è quello, narrato da Platone, di Talete e della serva tracia, del matematico che guardando le stelle cadde nel pozzo e fece così divertire un modo la serva.

Filosofia – Quella politica è notabilare e tirannica, va per le spicce. “L’inclinazione verso il tirannico può essere rilevata teoricamente in quasi tutti i grandi pensatori (Kant rappresenta la grande eccezione)”, Hannah Arendt.

La buona filosofia è buona letteratura? Buona narrazione. Platone e Aristotele sono due scrittori eccellenti. Anche Kierkegaard, e il Kant minore.

Scambio – Presiede a tutte le religioni – compreso fino a recente, quando ancora si montavano i Sepolcri per la Settimana Santa, il cattolicesimo (ma tuttora, con le offerte in denaro, in opere, in opere di bene). Tutte fanno o hanno fatto sacrifici e offerte “in cambio” della grazia, di vita o di morte.
È al centro del baratto naturalmente, ma anche dell’economia del dono. 

Sicurezza – È la passione dell’epoca, che pure forse mai non ne ha avuta tanta: niente carestie, niente pesti, niente guerre, e anche la malvivenza (furti, soprusi, corruzione) è in calo. Il Suv ne è il concentrato, per chi ce l’ha e per chi non ce l’ha – l’accettazione è vastissima. È una necessità benché il mezzo sia faticoso, costoso, invadente. Caro di prezzo e di gestione, consumi, assicurazioni, tasse. Faticoso da guidare benché provvisto di tutti i servocomandi. Difficile e faticoso da parcheggiare. La domotica  è un altro aspetto, una cui parte rilevante è mirata alla sicurezza - la serie di gadget che dovrebbero garantire la sicurezza della casa in assenza. Ci specula la rete, moltiplicando e ingigantendo intrusioni e collassi. E tutta la montagna – benché vuota, burocratica – che è stata montata sulla privacy.

zeulig@antiit.eu

La classicità è frivola

Una piccola mostra – poche vetrine – all’interno del monumentale Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria. Curata da Carmelo Malacrinò e Damiano Pisarra. La prima di una serie programmata per valorizzare tematicamente l’enorme quantità di “materiali” che restano nei depositi del museo, e che apre uno squarcio curioso sulla classicità: edonistica e anzi frivola.
Una parte degli unguenti, profumi, pomate erano a uso votivo (religioso, funerario), o terapeutico, ma il più era a uso estetico. Con abbondanza di contenitori ricchi – alabastro, metallo prezioso, lavorazioni preziose. Prma di uscire da casa la donna classica, e anche l’uomo, passava molto tempo alla toilette.
Aròmata, Reggio Calabria, Museo Archeologico Nazionale

venerdì 11 agosto 2017

Problemi di base europei - 349

spock

Tryton significa noi ci divertiamo ai trasbordi in mare, poi ve la vedete voi?

Bisogna applicare all’acqua la “tariffa europea” da 400 , così non c’è la siccità?

Europeo è un parolaccia?

Portare la pensione da 60 a 67 anni, negli anni di peggiore crisi dell’economia, per escludere  una generazione dal lavoro?

Aumentare le tasse per diminuire i consumi?

Perché all’Europa le tasse non bastano mai?

A quando una Norimberga sull’economia europea, cosa aspetta Trump?

Una piccola su Monti?

Il debito italiano varrebbe di meno o di più senza l’euro?

spock@antiit.eu

Il mito dei Bronzi di Riace

La serie d’obbligo di ipotesi su chi erano i Bronzi, dove andavano, chi li aveva fatti. Per la loro eccezionalità, di bronzi originali greci, oltre che per la loro resa estetica, collegati ai migliori esiti della statuaria greca. Ai maggiori eventi dell’epoca. Ai maggiori artisti noti, Policleto, Fidia, Mirone, et al.. Al mito: Alberto Angela li vuole eroi nel sottotitolo, anche se non sappiamo di quale impresa. E a una committenza anch'essa straordinaria.
La storia è più del restauro. Dapprima a Reggio, poi per sei anni a Firenze. Nel laboratorio di restauro creato dopo l’alluvione del 1966. Col trionfo finale: esposti a Firenze temporaneamente a dicembre 1980, restano in mostra sei mesi, fino a giugno. Per l’eccezionale interesse suscitato, dice Angela. Ma più per la discussione se confinarli a Reggio non era destianarli all’invisibilità. E anzi se non ci aveva più diritto a esporli Firenze, che li aveva recuperate.
Poi la decisione fu presa di riportarli a Reggio. E sulla strada Pertini li volle in mostra gratuita al  Quirinale. Fu qui che il successo planetario.esplose. Quanto al recupero, anche Reggio si è distinta successivamente, nella terza o quarta operazione di restauro, durata quasi un decennio, in un laboratorio-esposizione allestito a palazzo Campanella nel capoluogo calabrese.
Come per ogni fatto importante, una morte epocale, una nascita, anche per i Bronzi c’è un capitolo  misteri. Sul Terzo Uomo – i bronzi erano due o erano tre (erano due)? E dove sono le armi – ci dovrebbero essere (ma forse erano di legno)? Non manca chi ha visto molta altra roba che più non si trova. I Carabinieri non ci credono, ma è anche giusto che ogni mito si corredi di ipotesi.
Alberto Angela, I Bronzi di Riace, Rizzoli, pp. 177 ill., ril, € 15

giovedì 10 agosto 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (334)

Giuseppe Leuzzi

Si discute alla Camera il decreto per il Mezzogiorno, voluto da tutte le forze politiche, per “dare ulteriore impulso alle politiche di sviluppo”. Il ministro per il Mezzogiorno De Vincenti entra in aula, e la vede vuota: i deputati presenti sono quattro, di numero. Non a Ferragosto, il 31 luglio.

Valeria Genova, gentile giovane signora di Treviso che ha passato due anni a Napoli col marito pilota dell’Aeronautica Militare, ne riparte commossa, con grandi elogi in rete – “quando nel 2015 ho saputo che avrei dovuto seguire mio marito a Napoli mi sono messa a piangere”, non di gioia. Ha fatto la scoperta di Napoli, che esisteva prima di Treviso e di tutta l’Italia.

Pasquale Gagliostro, un collaboratore di giustizia per vari delitti, tornato a vivere al suo paese, Palmi, è stato assassinato. È il sesto o settimo delinquente pentito – che ha cioè denunciato i suoi complici – ucciso in Calabria. Tutti erano tornati a vivere al paese di origine, dove avevano compiuto i delitti. Si è fatta molta filosofia sui pentiti, e si dice che c’è un programma di protezione pentiti, ma sono solo i vecchi informatori, passati dalle brusche polizie ai seriosi giudici.

Gagliostro viveva in una casa già di sua proprietà, a suo tempo confiscata e assegnata al comune di Palmi. Da quando si era pentito, nel 1993, era stato arrestato più volte per delitti “minori”: furti, minacce, porto d’arma. Il pentimento serve solo per evitare il carcere.

La prolissità e la concisione
Linguaggi privati concisi, concisissimi, basta un cenno, una non risposta, un lieve movimento del capo, del ciglio, per fare un discorso. E un linguaggio politico, compreso il giornalismo, invariabilmente prolisso. Inerte, tanto quanto è sussiegoso. E bolso, cioè controproducente. Si leggano le cronache locali in Calabria e Sicilia, estive e anche autunnali o invernali, e un po’ pure in Puglia, si verrà sommersi da elenchi dettagliati di chi c’era – a partire in genere dal comandante dei Carabinieri (il vescovo da qualche tempo latita), seguito dal sindaco, vari assessori, il dottore, l’imprenditore, il mecenate. O assistere a un evento, anche culturale: qualsiasi recita, qualsiasi esecuzione musicale, qualsiasi mostra anche, per goderseli bisogna sorbettarsi lunghe, vuote, prolusioni, con elenchi del già fatto e del futuribile, e dei premi, secondi, terzi, quarti premi, vinti nella sezione terza, quarta, del concorso non si sa che di non si sa dove.
Non è l’autorevolezza. Se non in forma di equivoco – nessuno è autorevole in Calabria o in Sicilia, non si dà credito gratuito. È un abito soprammesso, a una comunicazione rapidissima. Quindi intimamente rifiutato. Può essere un difetto culturale, derivato da un insegnamento sbagliato. Ma anche in questo caso è un abito soprammesso, la burocrazia, dall’Italia - sia pure un’Italia ora perenta, il Sud per alcune cose muove in ritardo. 

Sudismi\sadismi
Il “Corriere dela sera” pubblica una pagina grafica sull’estate degli incendi in cui evidenzia con macchie di colore più dense gli incendi nel Sud continentale dell’Italia, da Caserta a Modica e Palermo, e tabellarmente elenca invece gli incendi più grandi e gravi in Portoglallo, Spagna, Bosnia. Croazia. Ammesso  che uno abbia voglia di leggersi le minuscole didascalie: l’informazione è nei colori. C’è molta superficialità nel giornalismo. Ma anche pesandola con la superficialità, la disonestà lascia ancora senza respiro, talmente è stupida: gli incendi sono “meridionali”, soprattutto quelli dolosi.
Quest’anno per prima è bruciata la Maremma. Con incendi, purtroppo, anche spettacolari, e evacuazioni di migliaia di persone, presso località di grande rinomanza, Castiglione della Pescaia, Roccammare eccetera. Ma gli incendi sono diventati notizia, con servizi sulle tv e grandi foto sui giornali, quando hanno divampato in Sicilia.

Sud e magia
Si potrebbe pensare la magia del Sud quella dei viaggiatori ammaliati e dei libri di viaggio, necessariamente emozionanti. E invece no, è di magia in senso proprio che si continua – 2017 – a parlare. Il Sud vive di superstizioni, malocchio, jettature. Come se questa “magia” fosse una specialità.
È di sicuro uno dei pendentif  dell’arretratezza: il Sud non solo è mafioso, e mangiatore a ufo, è anche superstizioso e sciocco. Ma proliferano anche le “ricerche” para-antropologiche su questa magia del Sud. Uno che vive al Sud ne può solo ridere, ma se ne fanno, si stampano e si discutono. A opera di meridionali.
È uno degli effetti Lega – il Sud è Africa, etc.. Ma, di più, è l’eredità  De Martino: il Sud è ancora nella trappola di Ernesto De Martino, che le sue paure e superstizioni collocò “al Sud”, come proprie del Sud. E in una prospettiva – non antropologica - di sviluppo: cioè come materia e segno di arretratezza. Compreso, sempre nello schema De Martino, un legame tra magia e cattolicesimo popolare.
Il curioso è che, da questo punto di vista, delle attaches religiose, se ne troverebbero molte di più oltralpe, tra i riformati. A partire da Lutero, che era ossessionato dal diavolo e le sue cattiverie, dal malocchio al maleficio. Ma come si fa credere alla sopravvivenza di riti magico-rituali nel Sud iperconsumista, a ritenerle veritiere e attive e non sopravvivenze, modi di dire? O allora sì, ma al modo dei milanesi.
Le tv sono piene di maghi e esorcisti, ma meno al Sud – in Calabria e in Puglia non ce ne sono. Per non dire degli altarini votivi che a Roma s’incontrano su ogni marciapiede, alcuni di devozione sterminata, a giudicare dalle iscrizioni interminabili p.g.r, per grazia ricevuta.  “Astra”, che si pubblica a Milano, è piena a metà di cartomanti, sensitivi, veggenti, prefissi 02, 06, 075 (Umbria), 080 (Bresciano), 051 (Bologna), 0575 (Arezzo), con corsie speciali, molteplici, per “gli amici della Svizzera”. E si sa che Torno è una capitale della stregoneria, dell’occultismo. L’ultimo processo per stregoneria si può dire quello tenuto a Milano – con condanna, è vero – a carico di Vanna Marchi, della figlia e dei conviventi, con i quali impoveri milioni di spettatori della Padania illudendoli col magnetismo dello sguardo – “a me gli occhi” – e della voce.
Il mondo è molto cambiato rispetto a duemila anni fa. Anche rispetto a mille anni fa. Anche al Sud.
Ma il Sud dice che no, tutte queste sciocchezze sono del Sud. Lo dicono i nativi, se lo raccontano cioè. E non si capisce perché – non interessa a nessuno, il Sud è già ampiamente squalificato. L’antropologia, anche raccogliticcia, come più spesso al Sud, al Nord non si occupa del Sud, che non ha misteri - ha interessi più seri. Un mistero resta il Sud per i nativi meridionali, da De Martino in giù.
Non tutti lo dicono, è vero., Ma poi ci credono, credono alla narrazione della magia del Sud. Capita magari, scorrendo le esercitazioni sulla magia del Sud di una gentile traduttrice dall’inglese, una che è stata anche a Londra, di leggere contemporaneamente un romanzo di Graham Greene su Londra sotto i bombardamenti che è centrato su una seduta spiritica, e dove si colloquia senza riserve di scaramanzie e cattivi presagi. A Londra però non fanno magia, al Sud sì.

Lo Stretto s’inverte
Reggio Calabria e Messina, benché divise dallo Stretto, sono da tempo considerate dai geografi una “conurbazione”: due città integrate. Con un ruolo subordinato di Reggio nei confronti di Messina. Che aveva l’università, i migliori specialisti e le migliori cure, i migliori negozi di abbigliamento, e perfino le migliori pasticcerie. Un porto migliore, a uso militare a civile, con un arsenale – cantiere navale militare. Più impieghi e più investimenti di Reggio. Una squadra in serie A, o almeno in serie B. E faceva i giornali (“il giornale”, la “Gazzetta del Sud”) per Reggio.
La conurbazione era più egualitaria in materia di religione e di svago: molti messinesi erano – e sono - devoti della Madonna di Polsi in Aspromonte. E andavano – e vanno – a raccogliere funghi e sciare in Aspromonte piuttosto che sull’Etna. Ma più estesa, e quasi ancillare, era la devozione di Palmi e Reggio per la Madonna della Lettera di Messina, e anche per la Madonna Nera di Tindari, per non dire di tutta la Piana di Gioia Tauro per Mata e Grifone, i "giganti" di Messina. Nel quadro di una subordinazione di Metauros (oggi grosso modo Gioia Tauro), che pure era colonia locrese, a Messina-Zancle.
Lo storico Galasso documenta, “La Calabria spagnola”, un traffico molto più intenso a Messina nel Cinquecento rispetto a Reggio. E nella stessa Reggio un buon terzo delle operazioni portuali in capo ad agenti e committenti messinesi. Oggi il traffico è invertito. Reggio ha centri commerciali, musei e rovine ben curate, ristoranti e ottime pasticcerie, e l’università. Una fiorente, mentre quella di Messina, una delle più antiche d’Italia, si è provincializzata. È anche un porto attivo, anche se solo per l’immigrazione irregolare, mentre Messina è un porto bello e vuoto, se non per imbarcazioni minime della Marina Militare  – le traghetto dalla Calabria utilizzano un attracco fuori città verso capo Faro, lontano dal porto, allo snodo con le autostrade per Catania e Palermo. In linea generale Messina ha preso il posto di Reggio, come luogo di passaggio. La geografia economica e sociale muta, può mutare – niente, in ipotesi, impedirebbe al Sud di diventare moderno e ricco.
Oggi i ruoli sono invertiti.

leuzzi@antiit.eu

Dissolvenze in Sicilia

Come può il Pd affrontare un’elezione con Alfano, e viceversa? In Sicilia si può.
Sciascia direbbe che la Sicilia prefigura l’Italia. Ma alle prossime regionali prefigura una dissoluzione, un suicidio programmato. Succede anche al Signore di perdere quelli che ama, e quindi i democristiani, neo e paleo. E i siciliani non sono indenni dalle scemenze. L’unica logica in questo matrimonio è che Alfano è contento di aver avuto una parte da protagonista per un decennio, e gli piace finire ministro degli Esteri, alle politiche a marzo.
Ma sarà dura, in Sicilia, per via della legge elettorale. Vince la presidenza della Regione il candidato che ha più voti al primo turno. Quindi sarà il. candidato di Berlusconi, o quello di Grllo. Alleandosi con Alfano è come se il Pd rinunciasse alla corsa: non molti iscritti andranno a votare gli alfaniani, e meno ancora, benché pochi in tutto, saranno gl alfaniani che votano l’odiato (concorrente) Pd. Senza cotare i crocettiani, e i fuoriusciti del pd con D’Alema.
Il Pd potrebbe anche emergerne con una qualifica-squalifica: partito democristiano a tutti gli effetti, benché “di sinistra” - come le vecchie “sinistre” della Dc. Di più rischia Alfano, di cui però si comprende la logica: lo sbarramento in Sicilia è al 5 per cento. Alfano, che non ha tanti voti, preferisce due-tre posti sicuri in consiglio in lista col Pd.
Ma la gara sarà difficile. Anche perché alla prossima elezione i consiglieri si contrarrano ulteriormente, fino a 70, dai 90 che erano qualche anno fa. La lotta intestina per candidarsi nei vari partiti sarà ferocissima.  

L'arte in montagna, bella e isolata

Avviene d’avvertire, camminando in montagna, un suono sottile, remoto, in continuo, come di campane cui fosse stata messa la sordina, che non cresce avvicinandosi, quasi di onde sonore isobare, che si modulano sulla distanza – e si avvererà un suono di campane, ma di cristallo e quarzo, intonate dal musicoterapeuta Mimmo Chiara. E una volta arrivati, all’ombra di un biancospino gigante, che è il nome del rifugio di montagna che li ospita, vedere le opere di artisti che le espongono a beneficio del trekker occasionale. La moda ecosostenibile della sarta designer Malia. I gioielli in materiali poveri dell’art designer Pasly (Pasqualina Tripodi). Le fotografie di Oreste Montebello e Ernesto Sestito, l’uno colorista vivacissimo, l’altro esperto in metafisici seppiati, la lezione forse di Salgado, l’uno e l’altro testimoni della natura e la storia d’intorno.
Un’emozione estetica, sovrastata da una considerazione storica. Perché di questi artisti non sentiremo parlare – l’arte ha bisogno che se ne parli, è comunicazione. Probabilmente, forse certamente. Benché giovani e quindi, come si dice, col futuro davanti a sé. Perché vivono e operano in un mondo marginale. Non a ridosso di una capitale della cultura. Non a ridosso nemmeno di un agglomeraro comunque denso di persone, se non sensibile. Una scelta – per esempio per Pasly, diplomata del prestigioso master in oreficeria del Politecnico di Torino – di cui non si può non apprezzare la valenza, ma come di un sacrificio.
Avviene per l’arte come per i prodotti della terra: che hanno bisogno di un grande mercato di sbocco per prosperare. Per questi cinque giovani artisti come per Rosella Cataldo, per esempio, che nel villaggio prospiciente di Delianuova espone fascinose pitture in volute e spirali, con uso anche del rilievo. Il discorso dell’arte eterna va rivisto: può eternizzare, ma per lo più è ddestinata alla morte alla nascita.

Armoniose visioni, Rigugio “Il Biancospino” di Antonio Barca, Piani di Carmelia, Delianuova (Rc)

mercoledì 9 agosto 2017

Letture - 311

letterautore


Bellezza – “La bellezza non proviene dalla bellezza. La bellezza può generare soltanto la grazia.”, Graham Greene, “Amori facili, amori difficil,i”, p, 300: “La bellezza diminuisce continuamente, è la legge dei profitti calanti”.. Bruttezza e bellezza, si vede anche in guerra: quando non rimane altro di una casa se non un paio di pilastri profilati contro il cielo, la bellezza di quella casa ricomincia daccapo”.

Donna – “Conosciamo le preferenze sessuali degli uccelli femmina meglio di quanto conosciamo le preferenze sessuali delle donne”, G,Greene, Id,  302: “Le donne sono più misteriose degli uccelli”.,

Giornalismo online – Molto giornalismo online, con un numero sterminato di blogger, e non un solo giornalista di fama, bene o male acquisita. Anche i commentatori, sono sempre quelli del giornalismo classico.

Gramsci o Montanelli – Tra le letture estive proposte dal “Corriere della sera” c’è anche questa alternativa. Ne discutono Francesco Cevasco, pro Momntanelli, e Marco Bonazzi.

Genitori – Sono diventati infausti per le letteratura. Almeno per quella francese, prima Céline, ora Modiano e Houellebecq. Più il padre che la madre – la madre divorante di più nella letteratura che in qualche modo si richiama all’ebraismo..

Madre-figlio – Ricordo sommamente ingeneroso di Houellebecq sul “Robinson” ( un estratto dall’ultimissimo libro, “Mourir”) di una madre che palesemente aveva molti problemi suoi personali – accudiva al figlio maldestramente per problemi suoi, che rimbalzano evidenti dal  racconto di Houellebecq scrittore ma che l’Houellebecq figlio non considera nemmeno.
Lo scrittore ha certo una sua psicologia, quella di uno che si costruisce misantropo, in linea con la sua letteratura (la vita copia l’arte, eccetera), L’ultimo incontro con la madre, che probabilmente ancora vive,  ricorda sgradevole sulla guerra del Golfo: la colpa questa volta della madre essendo solo la difesa di Saddam Hussein – scelta che uno scienziato politico oggi, dopo le diecine di migliaia di morti delle varie guerre civili irachene, direbbe illuminata. Ma è anche vero che il rapporto genitori-figli in letteratura è stranamente un rapporto di dare e avere, di chi ha cioè, il genitore, verso il figlio necessariamente in bisogno. Estremizzato, perfino oltraggioso, in James Ellroy. Con poche eccezioni – forse solo Colette, e  nei riguardi della madre, non del padre, cancellato. Non c’è altro. Il figlio non è mai adulto?,

Onanismo – Scorrendo l’(involontario) indice del “Robinson” domenica una serie di letture all’insegna dell’ombelico vengono proposte: scrittori che scrivono di sé. Non nel senso di una ricerca del sé (sant’Agostino) ma di un’esibiziioe (Rousseau).. Con quattro pagine di Houellebecq, l’arcinarcisista. E altri testi della\alla mamma, o di chi si annoia e scrive della noia, o è ribelle, in proprio, fin da bambino è ovvio.

Soldati – È il Graham Greene italiano, le stesse morbide narrazioni, in giallo e non. Su fondo etico (cattolico). O Greene è il Soldati inglese? Sono coetanei, e scriviono\pubblicano in parallelo. Soldati non è stato commediografo, ma ben regista di cinema e uomo di scena.

Thoreau o l’americano ambiguo – Cos’è oggi il “vero americano”, quale Thoreau è stato nell’elogio funebre che Ralph Waldo Emerson ne fece il 9 maggio 1862: “Non è esistito americano più vero di Thoreau. La sua predilezione per il suo proprio paese e modo di vivere e la sua avversione per i modi e i gusti inglesi e europei rasentava il disprezzo”? È tutto e il suo contrario.
Il “vero americano” è oggi dubbio in America. Forse per la prenenza ingombrante di Trump – di cui nessuno curiosamente dice che è americano di seconda generazione, e che suo nonno era tedesco-tedesco, benché immigrato a New York. La “New York Review of Books” se lo chiede analizzando una dozzina delle pubblicazioni che su Thoreau sono uscit per il bicentenario della nascita.
“Qualsiasi cosa si può dire degli americani che è vera, l’opposto è ugualmente reo”, esordisce il recensore, Robert Pogue Harrison. Il paese più senza Dio e più religioso, più puritano e più libertino, più caritatevole e più egoista. Per il governo minimo (“il governo migliore è quello che governa meno”), ma dipendente dai governi per qualsiasi problema. Ecologista e contrario ai controlli. “Siamo fuorilegge ossessionati dalla legge, individualisti devoti ai valori comunitari, una nazione di obesi con ideali di bellezza anoressici”. Una serie di paradossi che il recensore riporta alla Dichiarazione d’Indipendenza, “in cui padroni di schiavi proclamavano che tutti gli uomini sono dotati dal creatore di un diritto inalienabile alla libertà”.


Tristano o Isotta – Anna-Sophie Mahler, wagneriana anti-wagneriana, fa teatro a Venezia con un “Tristano o  Isotta”. Per “riflettere”, spiega ai giornali, “su quello che oggi resta della visione romantica dell’amore”. Di Tristano più che di Isotta, vuole dire? In fondo, Isotta non è per nulla innocente: è una che vuole tutto. In questo senso la storia è certamente di Isotta, Tristano è un comprimario, uno dei tanti: un innocente, per eufemismo.. 

letterautore@antiit.eu 

Hemingway italiano ne sapeva di più

C’è un Hemigway parigino, uno spagnolo, uno cubano, uno africano, nella sua opera letteraria. Su fondo ben americano. E uno italiano:; in Itala esordì, col racconto di Caporetto e la Grande Guerra, e s’illustrò, tornandoci poi spesso in vacanza, se non per ragioni di vita. Sempre gradevolmente grato: “I miei scritti dall’Italia”, nota egli stesso, “hanno quel non so che di speciale che si riesce a mettere solo nelle lettere d’amore”.
Owern ricostruisce molti particolari dei suoi legami e le visite in Italia. La notte in cui si uccise passò moltotenmpo a salmodiare una canzone appresa in Guerra a Cortina. Ma trova anche una sorta di traccia indelebiole impressa nella sua visione di vita dal Tagliamento, dalla laguna di Venezia alle Dolomiti, la tela di fondo di “Addio alle armi”.
“Addio alle armi” riletto è il romanzo più vero della Guerra sul Carso, e sulla vergogna del dopo-Caporetto, delle fucilazioni all’impronta da parte dei Carabionieri, della guerra dei generali inetti che i soldati concepivano come massa, una sorta di barricata umana. Un capolavoro, di intriospezione, capa cità di giudizio, compassione. Che forse per questo si tace nelle tante evocazioni della guerra, anche, ora, del sinistro 1917 che Hemingway ragazzo, fresco volontario, si trovò a dominare per sopravvivere, da semplice lettighiere.
Richard Owen, Hemingway e l’Italia, Donzelli, pp. 227, ill. € 25

martedì 8 agosto 2017

Il mondo com'è (312)

astolfo

Nazismo – Vinse contro la migliore Germania. L’1 agosto 1932 il partito Nazista otteneva il 38 per cento del voto popolare, diventando il partito di gran lunga più forte in Germania. Partì l’ondata che avrebbe portato Hitler qualche mese più tardi a capo del Paese. Hitler non ha vinto sull’onda della disperazione: ha vinto nel momento in cui la repubblica di Weimar aveva cominciato a funzionare. L’economia era finalmente solida, dopo le riparazioni di guerra, l’inflazione e il crac del 1929. E il Paese era di nuovo ordinato, contro tutte le spinte eversive.
Le storie trascurano i due fatti, ma non si potrà dire a lungo che il nazismo fu eletto al potere in reazione alla depressione economica e politica. 

Mutamento climatico – A metà Trecento ebbe inizio in Europa una “piccola età glaciale”. Caratterizzata dal raffreddamento del clima, con una espansione dei ghiacciai nelle regioni montane. “Glaciazione” che i metereologi prolungano fino all’Ottocento, quando avrebbe toccato il suo punto massimo. Dal Novecento , secondo la temporalità della meteorologia, inizia una fase di riscaldamento, con una costante e sensibile risalita delle temperature.
Della piccola glaciazione si ricordano alcuni picchi più freddi: in Italia gli inverni 1510-1511, 1547-48, 1607-1608 (approssimativamente quello in cui Virginia Woolf immagina le gite sui pattini del suo “Orlando” sul Tamigi), 1655-1656, e il decennio 1675-1684. Ma c’erano eccezioni. Il freddissimo 1607-1608 fu preceduto da un 1606-1607 registrato come uno degli anni di maggiore calura del secondo millennio. Ma già nel Cinquecento, anni di siccità, e quindi di carestia, si erano segnalati numerosi, e di lunga durata: 1549 e 1550, 1559 e 1560, 1569, 1573, 1581. Nel 1549 non piovve da metà marzo a tutto giugno.

Reggio Capitale – È vocazione vecchia e costante della città. A partire dal 1562, quando Napoli decise lo sdoppiamento dell’amministrazione regia in Calabria, fino ad allora accentrata su Cosenza. Si scelse come centro della Calabria Ultra Catanzaro, che aveva una sericultura importante, seconda solo a Napoli. Reggio protestò, e qualche anno dopo, nel 1582, arrivò a offrire, per diventare sede della seconda Udienza delle Calabrie, 20 mila ducati, impegnandosi ad ampliare a proprie spese il carcere, e a costruire un edificio appropriato per l’Uditore e i funzionari dell’Udienza. Filippo II scelse invece Vibo Valentia, allora Monteleone, e in tal senso diede indirizzo al viceré a Napoli, il duca di Osuna. Senonché i Carafa, feudatari di Monteleone-Vibo,  si opposero, temendo di perdere i diritti feudali. E nel 1584 Filippo II scelse Reggio.
Dieci anni dopo, però, nel 1594, la sede dell’Udienza fu di nuovo trasferita, dapprima a Seminara, feudo degli Spinelli, per poco tempo, e poi d nuovo a Catanzaro, che la conserverà fino all’unità. Salvo il decennio 1806-1816, sotto i due Napoleonidi, che a Catanzaro preferirono Monteleone-Vibo: Catanzaro  era di difficile accesso, Monteleone invece lungo la direttrice maestra Napoli-Reggio.
La città, già centro navale principale degli ultimi bizantini in Italia, era ambiziosa. Nel 1616 si era offerta in feudo al granduca di Toscana, pur di essere al centro del territorio. Il granduca poi comprerà, trent’anni dopo, i Casali di Cosenza. Reggio la rifiutò per “non aver fatto buona difesa” contro i Turchi nel 1594.

Socialismo – È scomparso di fatto e di lessico. Una parola all’improvviso svanita, mentre tutto indica che ce ne sarebbe bisogno. Per una concentrazione della ricchezza che non fa bene alle economie, oltre che alle società. Ovunque in Occidente, e in Russia, in Cina, in India. Dove non solo c’è lo zero virgola che si accaparra il 20 o il 25 per cento della ricchezza nazionale, ma si consolida un 20 per cento di borghesia più solida che si accaparra i migliori servizi, alle università alla sanità, negli impieghi.
Se ne parla per Cina e Cuba per una concentrazione del potere che non fa bene alla democrazia, quindi in senso negativo.

Trasgressione – S’inquadra negli anni 1960, del boom, e confluisce nel Sessantotto, ne è il filo. Sul “Corriere della sera” Elisabetta Rosaspina la fa cominciare a Cannes e Ibiza, nel 1967. Ma non è propriamente così – quella dei “figli di papà”, come si esprime Rosaspina, è semmai già un’adulterazione della trasgressione, quella che confluirà nel mito odierno di Ibiza, della bottiglietta d’acqua a 50 euro, mentre Cannes serve come tappeto rosso di Caronte, per divi americani, in età avanzata. La trasgressione è un modo d’essere che non ha un inizio: va dall’indipendenza (vivere da soli, invece che coi genitori) ai capelloni, alle droghe, agli amori occasionali, all’abbigliamento assolutamente casual, si direbbe oggi. Non ha classe, è il primo e più naturale movimento egualitario – d’istinto, non egualitarista, cioè di proposito, politico. Ed è un movimento di liberazione del sé, un rito di passaggio autonomo e generalizzato, fuori dalle regole e anche contro – che sarà il nocciolo del Sessantotto. Ma se si vuole darle una data di nascita, questa era e rimane il 1966, la vita libera a Essaouitra-Mogador in Marocco, sul mare al limite col deserto.
Il Sessantotto”, così è sintetizzato in Astolfo, “La gioia del giorno”, p.585, “è un balzo gigantesco nella modernità. Della quale fa parte il recupero della tradizione. - Il Ses-santotto è più cose, è beat, è hippy, è provo, è individuo e gruppo, pacifista e rivoluzionario, rifiuta i consumi e ne impone il rinnovo. Ma non c’è da obiettare, il Sessantotto sarà stato un anno che è un decennio. Con Mary Quant e il no bras, Mogador e l’amore in spiaggia, i Beatles, Berkeley, la Kent University, Ohnesorge a Berlino, il rifiuto del lavoro, la felicità in agenda, il Vietnam, e nell’autunno caldo la festa dei diritti. Col dopoguerra di pace, certo, e di boom, il papa buono e il Concilio”.
La data canonica di nascita è 1966, il luogo Mogador-Essaouira nel Marocco sull’Atlantico al limite del Sahara, un’estate d’erba e musica, con la presenza più o meno in contemporanea di miti-non-miti, Zappa, Hendrix, Sting, Marley. La musica n e è parte centrale. È più che il luogo fighetto. L’abbigliamento. Il rifiuto del lavoro.

astolfo@antiit.eu

Il sacro recinto dell’immigrazione, con vittime

Non ha resistito il “prete” Delrio ad azzannare il “rosso” Minniti.  Benché suo compagno di partito e di governo – compagno s’intende casuale, di banco. Il business degli immigrati non deve sfuggire ai “preti”.
Si fa forte il ministro dei Trasporti del diritto della Navigazoone, con l’obbligo di salvare i naufraghi. Ma non è scemo: sa bene che i mercant libici di africani “investono” sul codice della Navigazione, sull’obbligo del salvataggio. Un investimento lucroso, a esborso zero, al più qualche centinaio di euro per i gommoni, da cui la Libia ricava il 40 per cento del pil.
La Guardia Costiera, che sta agli ordimi di Delrio, lo sa da molti anni e non avrà mancato di dirglielo. Il ministro ha anche un ufficio stampa. Che non avrà mancato di segnalargli come l’Australia ha bloccato tre anni fa analogo investimento in schiavi asiatici. Salvando quindi in tre anni dai 1.500 ai  3.000 asiatici clandestini che venivano sacrificati ai pesci – dai 500 ai 1.000 l’anno  negli anni precedenti.
Ai “preti” non interessano i morti? Non si può dire. Nè certo sono con gli schiavisti libici. Ma guai a chi tocca le Ong: il terzo settore è il nuovo recinto sacro della chiesa cattolica, comprensivo di vittime sacrificali e tesori - le elargizioni dei fedeli e i contributi dello Stato.
I preti, quelli veri, hanno una singolare vocazione a fare. Anche bene. Ma con una distinta divaricazione: fanno bene la cosa loro, privata, male e malissimo la cosa pubblica. In Italia.In Gerrmania, per esempio, invece no. Forse perché lì si confrontano coi luterani, e qui non si controllano. Ci vorrebbe un Minniti luterano, anche solo nel senso di pasolioni, del maestro di scuola – bisogna portare pazienza.

Il Sud stava meglio con la Spagna

Un “saggio storico”. Di uno studioso che si è formato studiando la Calabria. Verso la quale, nei suoi verdi anni, da “napoletanp totale”, ebbe un trasporto, “folgorato dalla bellezza della regione”, ricorda in prefazione, “allora largamente intatta, specialmente sulle sue amrine”, e dalla “sua particolare «civiltà umana», così varia nelle articolazion locali, eppure così unitaria nel modo di essere e di proporsi agli altri”. Un saggo ambizioso, anche perché ineguagliato, la Calabria è ancora terra vergine per gli storici: sia pure sia pure per “altezze e picchi anoramici”, come diceva Mommsen, è “un profilo di storia della Calabria spagnola”. Con una considerazione che è un invito e un auspicio: che gli storici futuri della Calabria, che ne ha gran bosogno, possano e sappiano coniungare “spontaneità” e “necessità” in “organicità”, come all’autore è capitato per l’ormai classico “Economia e società nella Calabria del Cinquecento”, e ora in questa “Calabria spagnola”. C on un corredo, anche, di tabelle e grafici che sono un romanzo per sé, tabelle d’epoca o ricostruite, dell’economia umana come è evoluta, e del feudo, come si è spezzettato e suddiviso nei secoli, coi nomi dei feudatari che si succedevano..
La Calabria ha avuto due secoli di Spagna. Nei quali si è aperto il solco dello “scambio ineguale” delle elebo razioni terzomondistiche , o “asimmetrico”, tra materie prme, spesso monoculturali, a basso valore aggiunto (ricchezza), e produzioni industriali, che invece la ricchezza incorporano, sotto forma di salrio e profitto. E dal dominio finanzirio esterno: in Calabria e nel Regno segnata nel Tre-Quattrocento dalla potenza mercantile e finanziaria tosscana, e nel Cinque-Seicento dai genovesi. Tra il “lungo Cinquecento” di Duby e Marrou, e la “crisi generale del Seicento” di Hobsbawm. In polemica con Augusto Placanica, che vede invece tutto buio: nei due secoli, scrive nella sua “Storia della Calabria”, la regione aveva smarrrito “i pochi elementi di prestigio, economico sociale politico” di cui aveva goduto in precedenza, e anzi “si trovò a perdere l’identità, divenendo una delle dodici canoniche province del Regno, o, meglio, quella in cui lo Stato rivelava sempre più le di sue carenze”.
Dopo un avvio promettentissimo, per tutto il Cinquecento. Senza terremoti. Con la ripresa demografica. E con l’introduzione e lo sviluppo della sericultura. Ma già a fine secolo e poi nel Seicento la Calabria perdeva terreno rispetto al resto del Sud, come il Sud rispetto al Centro-Nord Italia. Un divario avviato – Galasso ha vari studi in proposito, contro la saggezza comune – dalla dinastia normanno-sveva, stabilizzato e aggravato dagli angioini. Una specie di anti-Manzoni. Galasso non ne ha minimamente l’ambizione, ma è di fatto quello dice: sotto la Spagna si stava meglio – non bene, ma meglio. Che poi, specifica, quasi a voler sacrificare ai valori lombardi, erano spagnoli austriaci: parliamo dell’epoca degli Austrias a Madrid, da Carlo  V a Carlo II.
È soprattutto nella cultura  che il “lungo Cinquecento” si mostra anche in Calabria ferace e fiorente. La lista di personalità di spicco che Galasso accenna è già sostanziosa, poi ineguagliata: Bernardino e Antonio Telesio, Campanella, Parrasio, il cardinale Sirleto, Sertorio Quattromani, Bernardino e Coriolano Martirano, Luigi Giglio, Giulio Isolino, Girolamo Tagliavia (consultato da Copernico), Stelliola, Barrio, Marafioti, Gian Galeazzo di Tarsia. 
Due secoli di innovazione più sul lato istituzionale che su quello economico e sociale. Furono secoli di lotta costante alla feudalità. Esercitata da Napoli con vari mezzi, ma con determinazione. Fino a quello che Galasso chiama – chiamava prima di Berlinguer – il “compromesso storico” tra le Corte e i baroni, la chiesa, i comuni. Che però intervenne dopo lo svuotamento di questi che, comunque, erano corpi intermedi.
La feudalità era stata introdotta dai Normanni, a partire dal secolo XI. Fallita l’offensiva francese contro Napoli del 1528, il partito filofrancese fu stroncato anche con la perdita e la confisca dei beni, con i diritti annessi. Beni di cui si fece poi gran commercio, indebolendo ulteriromnete il carattere feudale della proprietà. Si fece un’illimitata svendita di “diritti feudali ” – tutti baroni a Napoli. Si coinvolsero interessi stranieri, di mercanti e banchieri genovesi, ijn genere creditori della Corona, delle grandi famiglie romane, dei principati. L’acquiso più imporante fu dei Casali di Cosenza da parte del Granduca di Toscana a metà Seicento, i paesi a Nord di Cosenza alle pendici occidentali della Sila.
Giuseppe Galasso, La Calabria spagnola, Rubbettino, pp. 238 € 12

lunedì 7 agosto 2017

Ombre - 377


Franco Venturini prospetta sul “Corriere della sera” una divisione della Libia in tre tronconi, che nessuno prospetta. Assegnando all’Italia la Tripolitania, lo “scatolone di sabbia”. È la divisione cui lavora, non da ora, la Francia: c’è un partito francese in Italia?

Il grande articolo “di colore” del “New York Times” contro Venezia non potrebbe infine fare il bene della città? Allontanando i turisti, almeno quelli che leggono il “New York Times” - magari per sentito dire.

Il giorno dopo Venezia il grande giornale americano fa una pagina su Minniti, presentandolo come “Lord of spies”, il signore delle spie. Nel titolo. Siamo tutti americani, o è meglio distinguersi?

Neymar assicura: “A Parigi non per soldi. Scelta di cuore. Voglio vincere la Champions”. Ci mancherebbe.

Si pubblicano sul “Washington Post” le telefonate di Trump con capi di Stato e di governo esteri.  Violando ogni criterio di responsabilità e di riserbo, per non dire dell’osannata privacy. Ma senza scandalo e anzi con diletto. La linea della banana va al Nord, avrebbe detto Sciascia.

Molti articoli negli Usa sulle nuove sanzioni del Congresso contro la Russia. Senza dire quali sono. La cosa è irrilevante, forse, perché non coinvolge interessi americani.

Non si dice niente nei meda Usa dell’espulsione per rappresaglia di 755 diplomatici americani da Mosca. Settecentocinquantacinque. Se sono veri, la guerra è allora di spie?

A volte questo nuova guerra fredda Usa-Russia sembra per ridere, gli hacker elettorali, il Russiagate, le stesse sanzioni. Per ridere dell’Europa.

Commovente Juncker: “Reagiremo all’istante se le nuove sanzioni Usa contro la Russia saranno applicate in modo da danneggiare i nostri interessi”. Per difendere il gas russo alla Germania l’Europa si mobilita.

Non è chiaro quali armi la Commissione Europea schiererà e userà contro gli yanqui, ma si è mobilitata prima ancora che Angela Merkel glielo chiedesse. 

Su Telecom-Tim e Bolloré “bisognava intervenire al tempo della scalata su Mediaset”. Cioè bloccare Bolloré, la sua trasformazione del gruppo telefonico in società di entertainment, fagocitando magari Berlusconi. È la posizione ferma dell’onorevole Boccia, del Pd. Dal tempo del referendum per abolire Mediaset alla sua assunzione a bastione nazionale cosa è cambiato, il Pd o Berlusconi?

Nessun dubbio che la scalata tentata da Bolloré su Mediaset abbia fatto affidamento sullo schieramento politico e mediatico Pd, al tempo del governo Renzi. Ma allora è un errore grave di valutazione.

Si mettono le organizzazioni benefiche sotto controllo e immediatamente si dimezzano gli sbarchi dalla Libia - più che si dimezzano. Naturalmente è un caso.

Il “Washington post” pubblica il colloquio, o telefonata, di Trump col figlio sulla Russia. Informato da “fonti sicure”, cioè dai servizi segreti. Il guaio della presidenza Trump sarà questo governo dei servizi segreti, che dettano l’agenda politica.
O Trump è solo un rivelatore, i servizi segreti americani hanno sempre lavorato così? Bisognerebbe rivedere i concetti di democrazia.

Il capitano dei Carabinieri Scafarto, indagato a Roma per falso e rivelazione del segreto istruttorio,  ricorre in Cassazione. Ma non contesta l’accusa, chiede il trasferimento degli atti a Roma a Napoli.   A Napoli si sente protetto.


Gli ebrei del papa

Calimani, ingegnere, storico dell’ebraismo in Italia, specie a Venezia, concentra l’attenzione sull’Otto-Novecento della comunità ebraica di Roma. Segnati da una caduta delle interdizioni nella prima metà del secolo, per effetto della rivoluzione francese, di Bonaparte, dei movimenti libertari, fino alla Repubblica Romana. Dopodiché la chiesa, “sconfitta ma non rassegnata” come dice il risvolto, rilancia un crescendo di propaganda antigiudaica. Comprese le accuse di deicidio e di omicidio rituale. Fornendo, insiste lo scrittore, argomenti e appoggi ai pogrom, e all’antisemitismo peggiore. Se non che: come dire che il Vaticano appoggiò la legislazione antisemita di Mussolini?   
Una ricostruzione piena di cose, molto particolareggiata. Il repertorio dei nomi prende venti pagine su due colonne - con la lista dei 1.022 deportati del 16 settembre a Roma. D’impianto però vetero anticlericale, più che da storico dell’ebraismo. Che non solo deforma il ruolo della chiesa nell’antisemitismo moderno e contempor aneo, ma lascia fuori buona parte della stessa storia ebraica. Gli ultimi due secoli sono stati densi di cambiamenti, tanto più avvertibili in quanto la comunità era addormentata. Una comunità che ha avuto alti e bassi, ma sempre di ebrei del papa.
Opporre gli ebrei di Roma al papa non ha senso. In nessun altro posto al mondo, come si sa, la predenza ebraica vanta una permanenza continua così lunga, ventuno secoli ormai. Così del resto  in tutta Italia, il paese più legato nelle determinazioni pratiche e politiche, al Vaticano, uno dei soggetti di maggio peso degli equilibri nazionali. alle sue determinazioni. Fino al Cinquecento l’Italia ospitò un quinto e forse un quarto di tutta la popolazione ebraica. Con presenze importanti, oltre che a Roma e negli Stati pontifici fino a Ancona, a Venezia, Mantova, Ferrara, Livorno. E ne ha perpetuato la memoria, se la metà dei manoscritti in copia alla Biblioteca Nazionale di Gerusalemmee – come scrive Giulio Busi ieri sul “Sole 24 Ore” – è stata scritta o ricopiata, conservata in Italia.
Molta storia purtroppo viene fatta retrospettivamente, guardando all’indietro con l’ottica delle leggi razziali del 1938. Italiani furono infine in Puglia i porti non tanto clandestini di imbarco per la Palestina, già dal 1943, malgrado il no britannico.

Riccardo Calimani, Storia degli ebrei di Roma, Mondadori, pp. 811, ril.€ 35

Ma a chi serve la Libia

L’Italia ha deciso di risolvere la questione libica per una sorta di impegno morale internazionale, ma continua a sprecarci risorse senza nessun esito. E ora con qualche rischio: affiancare una forza armata libica è quanto di più pericoloso. Molte energie, e almeno mezzo miliardo di euro di aiuti diretti a vario titolo (compresi, gratis, i mezzi navali della guardia costiera libica), più un paio di centiana di milioni come quota parte di interventi europei coordinati, buttati nel nulla. Se non nel risentimento e nell’irrisione.ù
L’Italia si fa un’immagine falsata della Libia, un paese vuoto di tutto, eccetto le chiacchiere. La Libia va presa per quello che è. Un presidente “eletto” che non riusciva nemmeno a entrare nella sua capitale, ce lo hanno portato gli aerei italiani. E un generale che non ha truppe e non ha armi, e si offre come risolutore in tutte le capitali. Dice: se non se ne occupa l’Italia, i libici vanno in Francia. Ci sono già andati, con Gheddafi, e sono tornati a mani vuote. Ma, poi, chi copierebbe mai la politica africana della Francia, tanto è costosa e inefficace?
Bisogna avere rapporti buon con i vicini. E bisogna fermare il tteffico di esseri umani dalla Libia verso l’Italia e l’Europa. Ma se i vicini non vogliono avere buoni rapporti con noi, c’è piuttosto da difendersene. E questo tanto più in Libia, dove l’unico linghuaggo che si pratica è quello dei pugni sui denti e non dei buoni propositi. L’Italia non vuole e non può esercitare la forza, e quindi meglioo sarebbe astenersi.
Questo tanto più che il traffico di africani non si è ridotto oer i buoni propositi e le sovvenzioni dell’Italia ma è cresciuto, secondo stime di agenzie di valutazione dei conti nazionali, al 40 per cento del prorotto interno lordo libico – due quinti, gli altri tre quinti sono il petrolio, nessun lbico lavora o produce alcunché.
Ci sono in ballo gli interessi dell’Eni per il petrolio e il gas? Ma non possono costare tanto. E del resto l’Eni è un grande gruppo internazionale, sicuramente saprebbe tirarsene fuor con profitto, ne ha tutti i mezzi, specie di fronte a un gruppo di governo diviso. Anche perché di petrolio non c’è carenza, e la Libia ha bisogno che qualcuno glielo venda. Quanto al gas, si può avere dall’Egitto e dall’Algeria a condizioni più sicure e meno onerose, per l’Italia se non per l’Eni.
In questo quadro, l’interesse dell’Italia per la Libia incontra quasi il vecchio leitmotiv del tipico politicante libico, che la Repubblica italiana è ancora d’impianto coloniale. La Libia si governerebbe molto meglio da sola. Cioè non si governerebbe, ma quello è affare loro. Senza la mozione degli affetti, sarebbe perfino semplice stoppare il neo schiavismo libico.

Appalti, fisco, abusi (108)

Otto mesi per chiudere un conto a Bpm, e ancofra non è finita. Un normalissono conto family. Con dispedio di passaggi in sede, email, giustificativi vari, adebit di costi e cancellazioni, per una giornata complessiva di un dipendente? Mezza giornata? A che effetto? Solo l0inefficienza. i

Niente della vicenda interessa la Banca d’Italia, l’Autorità di vigilanza sulle banche, che non bastino otto mesi per chiiudere un conto corente. È anche giusto: chiudere in conto, che problema c’è? Ma. c’erano una volta Patti Chiari, che l’Abi aveva adottato e la Banca d’Italia regolamentava. Poi venne il governo Monti, il governo delle banche, e i patti sono andati in disuso.

Banche e assicuarazoni online chiedono di trascrivere una captcha per ogni minima sbadataggine  nell’accesso all’internet banking. Che così si qualifica per un servizio riservato a una forte albabetizzazone – quale non molti laureati posseggono: la tipica captcha è una serie di lettere, intervallate da numeri, delle quali bisogna conoscere la grafia da maiuscola e da minuscola (e la differeza spesso non c’è).

Unica stazione di servizio per un centinaio di km. sull’autostada del Mediteraneo Galdo è di difficile accesso, e solo dopo un percorso di alcuni km. di strada stretta e tortuosa, da raddoppiare col ritorno – circa 5-6. Da quindici anni circa. Un servizio al gestore, proprietario dell’area, più che agli automobilisti.
Con un cosgto anche per l’Anas, che deve intrattenere i circa 12 km degli accessi, tra direzione Sude direzione Nord: il manto stradele, gurd-rail, la segnaletica, molto vistosa, la stradina è pericolosa. .

Almeno tre uscite sostituive sulla Salerno-Reggio Calabria riofatta, ora autostrada del Mediterraneo, si potevano risparmiare. Con beneficio di tutti, il vecchio svincolo essendo un riferimento per gli automoblisti, e un assetto stabilizzato per i piccoli commerci, specie quelli di ristorazione, che erano sorti in prossimità dei precedenti svincoli.

Uno degli svincoli nuovi inutili, a Campotenese in Calabria, è inutilizzabile dai tir in direzione Sud perché finisce con un restringimento e una curva a gomito. 

La Toscana si vuole buona

Onofri continua la sua geografia letteraria, al modo di Dionisotti. Dopo il “Passaggio in Sardegna”, e  “Passaggio in Sicilia”, riunisce i suoi interventi di critico militante e i saggi afferenti a scrittori toscani. Coi quali confessa famigliarità, e anche un compagnonaggio dissipatore. Purtroppo all’insegna del tempo che fu, che fu semrpe migliore. E con un curioso effetto bozzettistico, quasi che quella “toscana”, anche la critica, sia sempre una letteratura delle buone intenzioni.
Curioso l’effetto della raccolta, come sintesi della toscanità. Tutt’altra cosa dagli antenati, che erano evidentemente un altro mondo, seppure nella stessa terra. Non sarà che la Toscana, col granducato, ha cambiato natura? Un problema, per la letteratura geografica, o geografizzata, è questo, delle metamorfosi. Che in ambito ristretto possono essere radicali e evidenti.
Massimo Onofri, Benedetti toscani. Pensieri in fumo, La Nave di Teseo, pp. 389 € 17