Giuseppe Leuzzi
Siamo
il primo paese al mondo, di quelli di cui si hanno i dati, per intercettazioni,
telefoniche, ambientali, telematiche (le più costose). Ma la corruzione non è
in calo, nemmeno le mafie. E allora?
Funzionari prefettizi sollecitano e
nominano le Commissioni d’accesso agli atti dei Comuni per mafia o
disamministrazione. Dei Comuni che poi loro stessi amministreranno per un anno
e mezzo in funzione di commissari. C’è un conflitto palese d’interessi, ma non
per il ministro dell’Interno. – per non dire della qualità dei funzionari
prefettizi.
Il ministro dell’Interno trova sempre
interessi comuni con i suoi funzionari prefettizi e i loro poteri
discrezionali. In effetti, un vero federalismo non sarebbe male.
Anche la Grecìa
viene meglio al Nord
Walter
Lapini, in arte “Alvaro Rissa”, fa le prime pagine e scala le classifiche con pastiches (“Totti. Il cucchiaio di Dio”)
in finto greco antico, e traduzioni in greco di banalità quotidiane (il finto
coatto Mauro Rovazzi). Esercizi che Saverio Siciliano ha condotto da tempo – un
pastiche da Archiloco fu preso
trent’anni fa per un reperto finora trascurato del primo lirico greco. Senza
echi, se non fra gli amici. Ma Siciliano sta a Reggio Calabria, e Lapini a
Genova: il contesto fa la realtà delle cose.
La versificazione in greco, di cui un
raccolta fu fatta vent’anni fa a Napoli, “Ritorno al classico”, per la Esi, Siciliano
ne è stato un cultore nato. Giurista di formazione, sociologo di professione,
all’università di Messina, promotore a suo tempo inascoltato, primi anni 1990,
di un codice ambientale o dell’ecologia (“Ecologia giustizia insicurezza”, “Ingiustizia
contro natura”, “La civiltà suicida”), è un grecanico, per origine e vocazione,
di Bova Marina. Ambientalista pure in proprio, come coltivatore, quindi
doppiamente radicato nell’area di origine. Tutte cose che darebbero spessore
anche al “personaggio”, quale ora si richiede essere a chiunque proponga. Ma
Reggio Calabria è un forte handicap.
Da
sant’Arcangelo a Halloween – o l’anello al naso
Usava in paese la fiera di sant’Arcangelo,
l’ultima domenica di ottobre. Si comprava il maialino da latre, da crescere per
le Feste. E gli attrezzi da campagna, zappe, asce, pale, picconi, forbici,
coltelli, che ora non usano più. Le fiera era per questo andata in disuso. Il
sindaco la riprende per rianimare il paese tra la lucentezza dell’estate e le luci
dell’Avvento. Ma le abitudini si perdono più facilmente che non si acquistino.
I banchi sono del solito mercatino. Di
qualche reduce del mercatino per antonomasia, del Forte dei Marmi, con nugoli
di africani del Sud e del Nord – del Sahara. Con molti dolcetti, anche
scherzetti: da sant’Arcangelo ad Halloween. Sono alcuni anni che il sindaco ha
rianimato al fiera, ma pochi curiosi si incontrano.
Anzi, non c’è nessuno, verrebbe da dire.
I bancarellari discutono fra di loro. Un mortorio. Finché, uno dei reduci
(arredamento casa) ha da sbraitare contro un vicino di banco. Un africano dalla
faccia di ragazzino che non risponde. Forse non capisce, anche se il cipiglio
del reduce parla chiaro. Ma è un attimo. Subito si fanno sotto a rispondere per
lui altri tre o quattro africani, in perfetto dialetto. Calmi, amichevoli,
suadenti. Il reduce un po’ si calma, un po’ si altera, ridà in escandescenze.
Soprattutto quando lo si guarda: quando intercetta uno sguardo lancia un urlo.
È tutto. Resterà l’unico segno del
mercato. Gli altri espositori si fanno al centro per vedersi la scena,
dall’alto e dal basso, il paese s’inerpica sulla gola della valle. C’è poco da
preoccuparsi. E d’altra parte tutto anche qui è in regola, ognuno è ambulante
patentato – per altro no, ma sul lato formale siamo inflessibili.
Il fatto è che l’africano non ha l’anello
al naso. E l’arabo ci disprezza, da sempre. Sanno fare le parti in commedia,
anche meglio, con più aplomb. Ma
bisogna rivedere teorie e pratiche della cooperazione – le ansie.
O nostos – il
ritorno
C’è
sempre un ritorno dell’emigrato, anche quando non ritornasse mai al luogo
d’origine. Un ritorno mentale, in forma di memoria, rimpianto, sogno. Anche per
una semplice ricostituzione del sé, del proprio soggetto, di saperi, passioni e
idiosincrasie, altrimenti inspiegate. È come Simone Weil lo dice, ebrea che si
volle cattolica, non battezzata ma radicata: “Il radicamento è forse il più importante
e il meno riconosciuto tra i bisogni dell’animo umano”.
È
un radicamento figurativo. Anche quando è fisico, lo spostamento comportando
della persona. Di fatto, tra persone reali, sarebbe altrimenti sempre deludente:
il ritornante è un altro, e gli altri sono altri. Anche i luoghi sono altri,
non può essere che così. Il desiderio però, o il bisogno, soverchia le
differenze.
Sicilia
Dante
la mette nel “Paradiso”, sebbene la immagini sulfurea: “E la bella Trinacria
che caliga\ tra Pachino e Peloro, sopra il golfo,\ che riceve da Euro maggior
briga\ non per Tifeo ma per nascente solfo”.
Consolo,
“L’idea della Sicilia”, opina che ci sia arrivato per il “remoto” e l’“antico”,
le “due condizioni che generano poesia, dice Leopardi”.
Il
suo “Re Ruggero” solare, “dionisiaco”, nient’affatto normanno, il compositore
polacco Szymanowski ha musicato sotto la fattura della Sicilia, che si trovò a
visitare dopo la Grande Guerra, e poi più volte in poco tempo – in compagnia
del cugino Jaroslaw Iwaszkiewiz, anche lui entusiasta, che scriverà parte del
libretto. È una Sicilia da cartolina quella che Szymanowski divisa. E tuttavia
ne dà prospetto congruo, che ognuno sperimenta ogni volta nell’isola: è la
Sicilia che affascina e non sa lei stessa perché – i siciliani di oggi non lo
sanno, levantini presi dal levantinismo.
Era
una landa deserta per il Settecento in Francia – che poi la amerà e idolatrerà:
per Montesquieu, per l’Enciclopedia. Una distesa desertica, o sennò di ruderi.
Terra di distruzioni, per via dei terremoti.
Fu
inventata da Stendhal, come è noto. Ma non del tutto, ne “La duchessa di
Paliano” è anche particolareggiato: “Il mio scopo principale, viaggiando per la
Sicilia, non è stato di osservare i fenomeni dell’Etna né di chiarire, per me e
per gli altri, quel che gli antichi autori greci hanno detto della Sicilia. Ho
cercato soprattutto il piacere degli occhi, che in questo singolare paese è
grande. Si dice che assomigli all’Africa; ma quel che per me è certo è che non
somiglia all’Italia, se non per le passioni divoranti”. Non c’è stato, ma
sapeva.
Fece
molta impressione a Pieter Breughel nel suo lungo soggiorno in Italia, tra il
1552 e il 1554. Tra Reggio Calabria e Messina disegnò il “Combattimento
navale”, poi traslato in incisione. A Palermo il “Trionfo della morte”.
Consolo
immagina il viaggio di Goethe in Sicilia come “la conclusione necessaria per progressus alle origini, il viaggio al
termine della storia, della civiltà e del tempo; il viaggio anche al cuore
della natura”. Ma questa è la Sicilia di Consolo: “La Sicilia, il prodigioso e
antichissimo grembo di questa terra contiene, per chi sa trovarlo, l’aleph: il luogo dove si trovano, senza
confondersi, tutti i luoghi, la storia che contiene tutte le storie”.
Goethe
in realtà aveva un’idea della Sicilia già prima di visitarla. “La Sicilia è per
me un preannuncio dell’Asia e dell’Africa”, scrive a un corrispondente mentre
organizzava il viaggio in Italia, “e il trovarsi in persona al centro del
prodigioso cui convergono tanti raggi della storia del mondo non è cosa da
poco”. E dopo il viaggio: “Per quanto riguarda Omero, è come se mi fosse caduta
una benda dagli occhi. … Ora l’Odissea
è davvero per me una parola viva”.
La
Sicilia come parusia del reale, è la sintesi di Goethe: “L’aver aderito in
stretto contatto al reale mi ha dato un’incredibile scioltezza nell’esprimermi,
per così dire, a prima vista su ogni cosa, e mi sento veramente felice che nel
mio animo sia rimasta un’idea tanto chiara, completa e pura della grande,
bella, impareggiabile Sicilia”.
In
questo Goethe è solo. Ma, e se avesse ragione?
Per
molti, conclude Hélène Tuzet, che ha studiato e antologizzato i viaggiatori
nell’isola, la Sicilia è un’idea “platonica”. Ma non è valutazione diminutiva:
la Sicilia si impone come idea “platonica” a personalità in vario modo elette –
i viaggiatori non sono turisti di massa.
È
un luogo però dell’immaginario, è vero. Pur essendo a portata di mano, e anzi
centrale, nel Mediterraneo e in Europa, quella che contava fino a Colombo e le
scoperte.
La
prima ricognizione dall’estremo Nord non fu benevola – il leghismo piemontese e
ora lombardo è benevolo al confronto. “Sotto il segno del fuoco nasce
l’immaginario della Sicilia”, esordisce Atanasio Mozzillo, lo studioso dei
viaggiatori, “Le ragioni dell’immaginario”. Meglio avrebbe detto “sotto il
segno dell’inferno”, a giudicare dai reperti che cita. Giovanni vescovo di
Oxford, che fu nell’isola nel 1176, ci sente lezzo e aria pestilenziale, ci
vede foglie morte, canne secche, stagni paludosi.
Il
vescovo accompagnava la figlia del re d’Inghilterra Enrico II, Giovanna, che
andava sposa a Guglielmo II d’Altavilla “il Buono”. Un matrimonio da cui
nascerà Costanza d’Altavilla. Che andrà sposa all’imperatore tedesco e sarà
madre di Federico II. A Guglielmo succederà a Palermo il cugino Tancredi. Non
proprio gli ultimi della terra.
Pietro
di Blois qualche anno prima, precettore di Gugliemo ragazzo, scriveva di
“portae mortis et inferi”. Gli uomini la terra se li inghiotte vivi, scriveva
da Palermo, “et descendunt in infernum viventes”. Mentre in pancia gli
fermentano “i mortiferi umori del prezzemolo e del finocchio, loro unico cibo”
- che il canonico evidentemente non gradiva.
La
verità è che Pietro aveva troppo potere col giovane re, e dovette presto
lasciare Palermo. Si mise allora al servizio del suocero del suo pupillo,
Enrico II d’Inghilterra, col quale fece carriera.
Federico
II è “il signore di Puglia” nell’epica contemporanea
di Walter von der Vogelweide.
leuzzi@antiit.eu