sabato 11 novembre 2017

La prossima guerra civile in Libano

Fallita la Siria, ci prova in Libano? La terza o quarta guerra civile, l’ennesima, è temuta in Libano a opera dell’Arabia Saudita, col supporto di Israele. Da cristiani e islamici insieme, i sunniti come gli sciiti, anche se i sunniti sono quelli che l’Arabia Saudita dice di proteggere.
Non era finito lo sconcerto per le dimissioni del premier Saad Hariri, pronunciate, o meglio consegnate, a Riad, dov’era a rapporto dall’uomo forte del regime saudita, Mohamed ben Salman, che la paura è subentrata di un intervento di Israele. Che agirebbe da detonatore per l’ennesimo scontro in Libano tra sciiti e sunniti, e poi da retrovia per i rifornimenti sauditi ai sunniti.
Come sempre in Medio Oriente, immaginazione e realtà si confondono. Ma alcuni punti fermi ci sono. Israele è all’erta. La guerra civile in Siria è stata promossa e sostenuta dall’Arabia Saudita, che ora ne deve constatare il fallimento. E di Hariri, il premier libanese dimissionario, nessuno dubito che non sia prigioniero dei sauditi. Formalmente Hariri si è dimesso, ma è in Arabia Saudita da una settimana senza che se ne abbia notizia. Inoltre, si è dimesso a Riad. Roba da Valentino, il prncipe d Machiavelli, o da zar russo, che convocavano i nemici per fare la pace e li sterminavano, ma il fatto non è dissimile.
Il padre di Hariri è stato assassinato dodici anni in un attentato degli Hezbolah, la milizia sciita libanese sostenuta dagli ayatollah iraniani. Il figlio però governa – governava – con il sostegno degli Hezbollah.
Il patriarca cattolico (maronita) libanese, cardinale Beshara Rai, ha preso l’iniziativa di un colloquio a Riad col principe saudita per capire cosa succede. È un fatto insolito, anzi senza precedenti: i cristiani  in Libano non hanno mai pensato di dipendere dall’Arabia Saudita, un mondo ai loro antipodi. Ma dopo quanto è successo in Siria, non escludono più nulla.
Per i cristiani potrebbe essere la fine. Nella prima, lunga guerra civile, durata quindici anni dal 1975, furono salvati dall’energia di papa Giovanni Paolo II, che portò all’intervento dei marines americani e dei bersaglieri come forze di dissuasione. Oggi la chiesa non avrebbe più nessun ruolo.
Le preoccupazioni che manifesterà il patriarca maronita le avrebbe espresse il presidente francese Macron, che ha voluto incontrare l’uomo forte di Riad, a margine di una visita di Stato nei confinanti Emirati. Ma la Francia è legata al reame saudita da un solido accordo di forniture militari, conclso due anni fa, quando Macron era ministro dell’Economia.
Un’alleanza, anche solo di fatto, tra Israele e Arabia Saudita ha per ora dell’inconcepibile, ma a Beirut non si escude nulla – il Medio Oriente è fertile. Pochi dubitano in Libano che Israele non approfitterà del fronte riaperto tra sciiti e sunniti in Libano per una nuova invasione al Sud del apese, una “terza guerra libanese” dopo quelle del 1982 e del 2006.

Il pensionato, l’immigrato e il far credere

Giovanni esce sconsolato dalla Posta. È un pensionato del Don Orione, la casa di riposo per persone sole con handicap. La Posta gli ha pagato la pensione ridotta. Di pochi euro, probabilmente, l’Inps recupera la differenza fra il tasso d’inflazione programmata e quella reale, risultata minore. Ma lui crede – l’impiegato glielo avrà fatto credere – che riceve un centinaio di euro in meno. “Per pagare gli immigrati”, dice – gli hanno fatto credere anche questo.

Il mondo com'è (323)

astolfo

Astronomia – Atene non la voleva – fu bandita come conoscenza dall’esterno e da lontano. Negli ultimi anni di Pericle l’assemblea popolare minacciò di porre sotto la grave accusa di “eisangelia” chi avesse diffuso teorie astronomiche. L’eisangelia, introdotta da Solone, era un procedimento di accusa per reati non ancora previsti da una legge, che fossero di minaccia per lo Stato o la democrazia..
Aristotele non ebbe alcun sussidio astronomico, né Platone.

Ebraismo – Priti Patel, la gentildonna indiana ministra dello Sviluppo Internazionale del governo May a Londra, ha dovuto dimettersi per i legami “troppo stretti” con Israele, e col governo Nethanyahu. Una serie di viaggi, incontri e colloqui le sono stati contestati, ufficialmente perché avrebbe impegnato il governo britannico nel riconoscimento delle annessioni del Golan e della  Cisgiordania. Secondo gli analisti, invece, perché dava ombra al premier Theresa May: i legami con Israele la ministra avrebbe intensificato nell’ottica che questo sito documentava a fine ottobre,
Della ricerca, via Israele, degli appoggi politici di un presunto “mondo ebraico” nella stessa Londra.

Islam - Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”, ne fa “colpa” a Giustiniano, l’imperatore d’Oriente che si volle latinizzare. Volle cioè assoggettarsi, e con lui il cristianesimo delle origini che perdurava in Oriente, alla chiesa. Quando “lo spirito del primo cristianesimo s ridestò nei Monofisiti e nei Nestoriani, Giustiniano lo soffocò, propiziando così la anscita dell’Islam come una religione nuova  no come una corrente puritana all’interno del cristianesimo orientale”..

Primati – In una con l’invenzione della tradizione, da Walter Scott in giù, si è sviluppata nel primo Ottocento, accanto al liberalismo, la tendenza nazionalistica, che si vivificava all’insegna dei “primati”. Partendo da Fichte, l’inventore dei primati, e dello stato economico chiuso, e poi da Hegel, quando la filosofia idealista sancì i primati, confondendo la tradizione e ridicolizzando la ragione. Ma già Federico II di Prussia nelle sue memorie politiche, le “Considérations”, decideva nel 1738 che i Francesi erano come i Macedoni sotto Filippo, sotto l’autocrate, mentre i tedeschi – non i suoi prussiani,  i tedeschi – erano greci liberi. Un’eco, non detta ma sostenuta, è nell’intervista a futura memoria che Heidegger rilasciò a “Der Spiegel”, di un primato tedesco da venire, malgrado le macerie – “compito dei Tedeschi” è “trovare storicamente la loro essenza storica.
Ma anche senza la filosofia i primati nazionali vennero di moda, per i moti patriottici. Delle patrie sottoposte e anche di quelle libere e grandi.
Una insistente pubblicistica il primato l’ha avuta in Italia, a partire da Gioberti – con radici naturalmente in Dante. “Primato” è l’ultima rivista del fascismo. Ma l’ultima teorizzazione è di Gramsci. Per ultimo Gramsci il primato lo estende alla rivoluzione mondiale, nientemeno: il comunismo verrà dall’Italia, dal “cosmopolitismo romano e medievale” – di Dante, di Gentile? Di un nazionalismo che si voleva antinazionalista.

Rinnegati –Sono un aspetto della storia europea, cospicuo, una sorta di emigrazione di massa verso il Nord Africa islamico, forte ancora nel primo Novecento, che si trascura. Algeri, all’inizio della rivoluzione, nel 1957,  ospitava più italiani che tutta la Libia, che era stata colonia dell’Italia. Al tempo dei beylerbey, Haedo censì nella città settantamila abitanti, più venticinquemila cristiani prigionieri, Cervantes giovane tra essi. Gli europei erano maggioranza, perché quasi la metà dei settantamila erano rinnegati. Diecimila erano levantini. C’erano pure seimila moriscos di Spagna, cinquemila ebrei, tremilacinquecento cabili, e duemila arabi di varia provenienza. Gli algerini d’origine erano dodicimila. Né comandavano i beylerbey turchi, ma i corsari, tutti rinnegati di Sicilia, Calabria, Corsica, Genova e le isole greche, apostati del papa e, Cicala, dei valdesi. Alla stessa epoca, nel Cinquecento, Cervantes era aduso a essere rapito e recluso al suo paese per la corruzione dei pubblici poteri.

Tribù - La percezione della tribù, dal vetero nazionalismo al vincolo fittizio del sangue e ora all’ideologia, una sovrastruttura senza necessità, se ce ne sono, e tuttavia urgente al pari della famiglia, appare nella forma della religione esclusiva, di orrido battesimo di sangue. Una purezza acquisita nella distruzione. Non nell’annientamento, che è evento quasi naturale, a suo modo divino, ma nella distruzione pratica, gesto dopo gesto, vicino dopo vicino, giorno dopo giorno. La follia.

Ma basta poco per rigirare la storia. Al tempo delle guerre di liberazione in Africa, negli anni 1970, nell’ufficio del dottor Joe Slovo, rappresentante dell’Anc sudafricano di Nelson Mandela, la fascia eurafricana era raffigurata con una proiezione gnomonica rovesciata: grandissimo il Sud Africa, grande l’Africa, cacchette deformi l’Italia e il Mediterraneo, piatta l’Europa, gli scandinavi boriosi e gli inglesi ridotti a un punto.

Weimar – Passa per un periodo di instabilità nella storia tedesca, anzi di capricciosità e avventatezza, un sorta di vortice “troppo” democratico: In realtà, scorrendone gli eventi, l’instabilità emerge come l’effetto di una mentalità frou-frou, che non si sarebbe detta tedesca. Non dopo mezzo secolo di prussianesimo, e di imperialismo – a partire dalla dichiarazione dell’impero a Versailles. L’apprendistato di un nuovo assetto, autodeterminato, era per forza di cose arduo e soggetto a errori.
La proclamazione di Guglielmo I a “Imperatore tedesco” nella Galleria degli  Specchi di Versailles era stata preceduta da un’aspra discussione. Non sull’opportunità di farsi incoronare in un paese vinto. Sul titolo. Prevalse il titolo favorito da Bismarck. Guglielmo I avrebbe preferito Imperatore della Germania, per non urtare i paesi tedescofoni che non ne fanno parte. L’alternativa “Imperatore dei Tedeschi”, proposta ancora da Bismarck, fu rifiutata da Guglielmo I in quanto si considerava re per volontà divina e non del popolo tedesco.
Nella denominazione Bismarck perseguiva sempre un obiettivo pantedesco.

astolfo@antiit.eu 

Montalbano a pezzi

Si rieditano – per il ventennale? – i trenta racconti brevi che Camilleri ha pubblicato nel 1998, con lo stesso titolo, con altro editore (ripresi cinque anni dopo da “la Repubblica” per una collana di Capolavori del Novecento in edicola). Trenta storie simaptioche più che cattive. O allora con un Montalbano sopra le righe, e la legge – un detective più che un commissario di polizia, un simpaticone. E con molto “paese”. Di un Camilleri molto svagato.
La maledizione come divinazione. La lettera anonima dell’assassino che annuncia l’assassinio. Poe, col “Manoscritto trovato in una bottiglia”. La “par condicio” mafiosa. Abbozzi più che racconti, con un Montalbano al contagocce, preciso ma non distillato.
Andrea Camilleri, Un mese con Montalbano, Sellerio, pp. 512 € 12,75

venerdì 10 novembre 2017

Ombre - 390

La ministra britannica di origine indiana Priti Patel è stata licenziata dal premier Theresa May perché intratteneva rapporti stretti con Israele. Che non è un paese nemico di Londra. Ma la ministra frequentava il governo israeliano e Israele per avere l’appoggio della lobby ebraica. Che non è un delitto, ammesso che una lobby ebraica esista. Ma lo voleva a Londra, contro la May. E

Questo di Londra, l’appoggio e il licenziamento, è il più alto atto politico della stagione in Europa. Se non c’è terrorismo, l’Europa non c’è.

Singolare fronda Rai, dei nominati da Renzi, nei confronti di Renzi. Se c’è una cattiva notizia, compare Renzi. Se ce n’è una buona, si dice “bene ma”. Di Maio ha più titolo (inquadrature lusinghiere, precedenze, parole elette) di Renzi – Di Maio….
Il direttore Orfeo corre già per il prossimo mandato, tanto da Renzi ha già avuto tutto?

“La corsa alle privatizzazioni è costata allo Stato 40 miliardi”. Ettore Livini fa su “la Repubblica” il conto degli incassi del Tesoro per la vendita di grandi aziende e il loro valore oggi, e ci trova una minusvalenza per lo Stato di 40 miliardi – virtuale certo, ma nei bilanci conta. Perché mai? Ce lo chiede l’Europa – cioè il mercato, cioè le banche d’affari.

“Da dieci settimane a 24 mesi, così l’Europa custodisce i dati”. Da noi invece “tabulati conservati sei anni”. Il termine era stato portato da due a quattro anni dopo l’attentato di Parigi nel 2015. Sei anni li vuole Pignatone, che purtroppo non avrà la carica di Procuratore Nazionale Antimafia, e quindi va accontentato.

Si può fare miele, produrre miele, vendere miele, senza che il miele c’entri. “Striscia la notizia” documenta quello che si sapeva: si possono vendere prodotti dove ricorre la parola miele, sciroppo di miele, sapore di miele, tutta l’energia del miele, senza che il miele ci sia - prodotti sintetici per lo più. Ce lo impone l’Europa.

Una pagina del “Corriere della sera” per un avvocato Abrams presentato come “un paladino della libertà di stampa in America”. Il quale annuncia: “La stampa resta libera ma Trump ha reso la verità irrilevante”. La verità della stampa.
Trump che si fa forte della denuncia della falsa informazione ne sa più del paladino.

I 5 Stelle sono delusi dal voto in Sicilia e a Ostia. I grandi media invece li osannano, “Corriere della sera”, “la Repubblica”, Sky Tg 24, perfino il Tg 1. Più realisti del re. E dire che i 5 Stelle non comprano nemmeno i giornali.

Crocetta brinda alla sconfitta in Sicilia: “Da questa sera mi ritengo sciolto dal voto di castità”. Una minaccia.
Annuncia ghiotto che andrà nella sua “cara Tunisia” per festeggiare. In colonia?

Alfano, che il suo personale partito voleva costituire con i voti della Sicilia e di Milano, non è riuscito nemmeno a portarlo in consiglio regionale nell’isola – dopo aver perso i possibili voti milanesi, per le malefatte di Lupi e Formigoni. Ciò non pertanto è uno statista, ha incarichi importanti, ed è l’uomo su cui punta Renzi per la Grande Coalizione.

L’oscuro Cesa, invece, ex amico di Alfano, va sopra il 7 per cento. E con lui, ricorda Renzi, con l’Udc al 10 per cento, il Pd aveva vinto le elezioni del 2012. Ora ha avuto gli stessi voti del 2012, ma con Alfano ha perso. Di fatto, la politica italiana è da ridere.

Gli (ex) democristiani sono 25 dei 70 deputati regionali in Sicilia. Il cambiamento si morde la coda – sarebbe il Quetzalcoatl azteco in Messico.

“Trump è presidente principalmente perché i Democratici sono stati inetti, malaccorti, arroganti, e fuori della realtà”: “The Nation”, alla testa dell’antitrumpismo, comincia a riflettere. Dopo un anno.

“A New York Constitutional Convention could threaten the State Progressive Fabric. The case against a constitutional convention in New York State”.
“A New York Constitutional Convention would be good for Democracy”.
“The Nation” si supera proponendo nello stesso numero due pareri diametralmente opposti. Di autori diversi, è vero. Per orientare i lettori?

La Convention, se gli elettori voteranno a fine novembre per tenerla – ogni venti anni è prevista questa consultazione – discuterà se modificare e come lo statuto dello stato di New York. La fine del mondo è democratica?

Sanità e ruggine nel voto per Trump

L’unico studio dell’imprevedibile vittoria di Trump, dapprima alle primarie repubblicane, e poi alle presidenziali. Non propriamente uno studio: una ventina di analisti e giornalisti politici dicono la loro. Ma coordinati dal Center for Politics dell’università della Virginia, diretto da Larry Sabato, che vi insegna Scienza della politica. 
Anche da questo primo tentativo di riflessione ciò che viene fuori è che Trump ha vinto perché Hillary Clinton ha perso. Sicura vincitrice, si è adagiata in camapgana elettorale suoi suoi elettori, in California e a New York, trascurando il corpo del paese. È stato un errore anche trascurare le leggi elettorali. Sabato è drastico su questo: il presidente Usa è eletto sulla base dei “voti presidenziali”, non da ora, e la regola è uguale per tutti i candidati.
Ma qualcosa di più comincia a emergere da questa prima riflessione. Trump, si dice, ha coagulato varie fasce di scontenti. Bene, ma sono neri, oltre che bianchi. E sono poveri, altra novità, oltre che borghesi. Peso decisivo nello spostamento elettorale viene dato alla Rust Belt, gli stati della “fascia della ruggine”: Pennsylvania, Ohio, Indiana, Michigan, Wisconsin. E all’Obamacare, la riforma sanitaria di Obama, tanto generosa nei presupposti quanto arruffata.
La sanità si conferma uno dei punti sensibili della politica Usa. Nel Maine un referendum popolare ha votato domenica per un’estensione di Medicare, una delle tre forme di assistenza medica pubblica, che vuole gli stati impegnati finanziariamente insieme col governo federale – il governatore repubblicano del Maine ne proponeva una riduzione. L’Affordable Care Act (Aca), il cuore dell’Obamacare, ha allargato i sussidi ma al costo di moltiplicare le polizze per chi era assicurato e quindi non aveva diritto si sussidi. Una distorsione che ha pesato molto in campagna elettorale, secondo più di uno dei partecipanti a questa collettanea. Non percepita – fra le tante altre cose - dalla campagna di Hillary Clinton. Ma ben presente – viene citato un comizio di Bill Clinton a Flint, nel Michigan, che un mese prima del voto, il 6 ottobre 2016, centrava la questione, chiamando l’Obamacare “la cosa più pazza del mondo”: “Avete ricevuto un sistema pazzo in cui di colpo 25 milioni di persone ottengono un’assicurazione sanitaria gratuita e gli altri, che lavorano sessanta ore la settimana, si vedono raddoppiare il premio assicurativo e dimezzare le prestazioni”.    
Larry Sabato-Kyle Kondik-Geoffrey Skelley, a cura di, Trumped: The 2016 Election That Broke All the Rules, Rowman & Littlefield, pp.257 € 23

giovedì 9 novembre 2017

Problemi di base tribali - 369

spock

Mezza Camera catalana ha votato l’indipendenza: se la faranno su una gamba sola,come gli ubriachi?

Meglio Puidgemont o meglio Salvini?

La linea della palma andava dalla Sicilia al Nord, la Lega Nord invece è scesa in Sicilia: è cambiato il vento?

La palma saliva, la Lega scende: scendere è meglio che salire?

Della palma Sciascia diceva che saliva nel senso che infettava, la Lega scende nel senso che occupa – sempre il Nord è meglio del Sud?

Ma la destra non era patriottarda?

O sono le patrie traditrici, che si vogliono sempre più piccole?

spock@antiit.eu

Due selfie nel non-finito di Stendhal

Canovacci, appunti, e tre storie consistenti – le altre  sono frammenti: “Féder”, “Le juif” e “Une position sociale”, che sarebbe stata il romanzo “romano” di Stendhal. Tre incompiute che sono anche tentativi di ricerca espressiva. “Le juif” è giocato sul ritmo del genere pìcaro, di personaggi e eventi che tasmutano ogni poche righe. “Féder” e “Une position sociale” sono ancora molto Settecento, ma il primo anticipa la figura del Buonannulla, il secondo una poco stendhaliana deriva al beghinismo.   
Il romanzo romano non è stato fatto, ma resta godibile il selfie di cui lo scrittore abbonda, in veste di comprimario, in travestimento trasparente: tic, indolenza, indecisione. Attorno a un personaggio molto stendhaliano, l’ambasciatrice duchessa di Vaussaye. La duchessa, la bella tentatrice, è “romana” nel senso che vive la morte, nello spirito religioso – come sarà la romana dei Goncourt, Mme Gervaisis del romanzo omonimo. Romano si può dire anche il senso di copa dei “ministeriali” francesi, “che il governo ha comprato con uno stipendio” – mentre “i loro rivali in gloria, i ministeriali inglesi, non sono sensibili al disprezzo”.
Anche “Féder” è di fatto un altro Stendhal, sebbene a vent’anni e non a quaranta come a Roma. È un racconto alla fine umoristico –  il riso è tema di molte riflessioni di Stendhal:
http://www.antiit.com/2014/04/il-riso-fa-male-al-potere-e-al-borghese.html
Non involontariamente, anche se a tratti lo sembra. Di un fannullone che diventa artista rinomato e ricco, in virtù della sua aria da “Werther disperato”, protagonista in otto lunghi capitolo del solito amore  interruptus.
“Le juif”, scritto a Trieste nel 1831, al freddo, è un racconto che oggi non si può fare, di disgrazia ma anche di furberie e sopraffazioni reciproche. Di uno che, dice di sé, si era “inamorato del denaro”. La storia di un Filippo Ebreo, povero, che fa fortuna in Francia, poi la perde, poi la riacquista, e la riperde. Lo stesso con l’amore. Un abbozzo di storione familiare – quasi un romanzo d’avventure. Di cui resta inspiegata la caratterizzazione, l’ebraismo.
Materiali preparatori, con poco o punto sviluppo. Stendhaliani, naturalmente. La psicologia secca, tagliata col regolo. Il fondo storico (concreto, realistico) sempre dettagliato e appariscente. I caratteri sorprendenti, per minute costanti variazioni, sia pure per accrescimento. E molto Settecento, specie nei due abbozzi più lunghi, “Une position sociale” e “Féder”. Con lunghe digressioni. Anzi, essi stessi digressioni.
Una conversazione fra i tre membri del Club Stendhal che riedita l’opera, Charles Dantizig, Dominique Fernandez e Arthur Chevallier, ne fa una serie di ottimi soggetti per il cinema. Con un tocco in più di Fernandez: ricordando che Stendhal lavorò al romanzo romano nel 1832, quando risiedeva nell’albergo di piazza della Minerva, ne approssima l’“arte” di non finire i suoi romanzi col non finito di Michelangelo. Di cui poteva vedere ogni giorno nella chiesa dei domenicani il Cristo invece finito, e per questo sciatto.
Periodicamente gli stendhaliani ci  riprovano.Questi “romanzi incompiuti”, con la fascetta “inedito”, sono gli stessi, meno il frammento “Madame Tarin”, che Michel Crouzet proponeva nel 1968. In parallelo con Victor Del Litto, che invece nello stesso anno metteva insieme sedici testi non finiti e abbozzi, sei più di questa raccolta. L’uno sotto il titolo “Romans abandonnés”, con abbondanti note e un elaborato saggio proprio sul tema del non finito, “De l’inachèvement”. Del Litto col titolo “Romans et Nouvelles” animava la raccolta anche con quattro racconti finiti e noti, due pubblicati da Stendhal e due postumi. Quattro di questi “incompiuti inediti” si trovavano del resto nella vecchia Pléiade, nel secondo dei due volumi di romanzi e arcconti curati da Henri Martineau: “Le Juif”, “Philibert Lescale”, “Féder”, “Le Chevalier de Saint-Ismier” - ma niente è probabilmente inedito, tutto o quasi e dopo la morte di Stendhal, e da Martineau e altri col revival stendhaliano del primo Novecento.

Stendhal, Romans inachevés, Grasset, pp. 273 € 10


mercoledì 8 novembre 2017

Un mondo di debiti, in mano agli gnomi

C’è la ripresa dell’economia, in tutte le aree del mondo, ma su una montagna di debiti. Il Global Financial Stability Report del Fondo Monetario stima il debito quasi raddoppiato nei dieci anni della crisi nelle venti economie più importanti: ora al 235 per cento del loro prodotto lordo aggregato - cioè non consolidato: se fosse possibile consolidare i conti economici dei venti l’incidenza sarebbe maggiore.
È un debito globale, comprensivo cioè di quello privato, o dele famiglie. Ma escluso quello delle banche. Ed cresciuto abnormemente da ultimo per la politica dei bassi tassi voluta dalle banche centrali Usa e Ue a fini espansivi, dell’attività economica e dei prezzi.
Molto più debito in mano ora prevalentemete a soggetti non bancari – i vecchi “gnomi”. Il drastico taglio dei tassi d’interesse, negativi in termini reali, se ha facilitato gli investimenti, ha anche alimentato boom di Borsa al limite rischioso della “bolla”. E moltiplicato la finanziarizzazione che si voleva invece regolamentare, il credito non bancario.
La finanza non bancaria si privilegia perché non è sottoposta ai vincoli rigidi della vigilanza bancaria. Il Report del Fmi la dà in aumento nei dieci anni dal 2008 al 2017 dal 43 al 55 per cento del credito globale.

Secondi pensieri - 325

zeulig

Bestie – Perché quelle umane non sarebbero differenti – si prenda la questione al livello terra-terra, epidermico? “L’infanzia è una vita da bestia”, si conceda con Bossuet. Si capisce l’attirance dei pet. Ma con le bestiole umane condividiamo molto di più: il linguaggio, la soma (conta, ora che siamo liberi dai peli), lo sviluppo (storia) – le specie non sono arbitrarie, né classificatorie.

Corpo – “Noi ci incontriamo col corpo nel momento in cui si spappola”, M. Sgalambo, “Trattato dell’età”, 15. No, lo incontriamo già nell’adolescenza. E poi per tutto il corso della vita, le femmine ma anche i maschi.

Democrazia – La questione si ripropone – è da riproporre – di fronte alla corruzione, l’illegalità, il sopruso, le fake news anche, se non n’è più democrazia (legalità) nei ruoli che nel free for all, nel todos caballeros. Alcuni lo sono, altri no. E la legalità è indispensabile alla democrazia: senza giustizia niente sovranità.
Una distinzione che prescinde dall’inclusione. Tutti siamo tutti, ma ci sono dei ruoli, che vanno rispettati: non tutti siamo Messi, e non tutti siamo democratici. La singolarizzazione nel ruolo sembra sgradevole, tale è la collosità del limo democratico, dell’alluvione, ma ogni costruzione-ricostruzione richiede specificità – dopo l’alluvione appunto, dopo il terremoto.

Immortalità – Se fosse certa, se Dio fosse certo, la vita si appiattirebbe. Vale sempre la Ragione Pratica di Kant: la morale sparirebbe, la scelta, la libertà, la responsabilità – saremmo tutti beghini, ritualizzati, biascicanti?

Male – “Se il misantropo di Molière odia gli uomini, è per averli amati troppo”, Stendhal, “Une position sociale”. Oggi rifiuto è l’esito di un rifiuto? Ma, come per il peccato nel paradiso terrestre, ci sarà un inizio: il male ha inizio, il bene è immanente.

Morte – Si vive per la morte è quasi assioma nel pensiero post-Heidegger. Come dire che la vita è morte. Ma la vita è il contrario, è l’eccezione alla non-esistenza. La vita individuale.
E il mondo, invece, muore? Ma se è quello che più approssima l’infinito e l’eterno?

Si muore, il corpo nasce e muore. Prima non c’è nulla, ma poi qualcosa si lascia, fosse pure solo all’anagrafe.

Nascere-Nascita - Si nasce con la gioia e la speranza, non c’è bambino che non voglia nascere. Poi si rinasce, ma si perdono pezzi.

Realtà – “L’idea di realtà è l’idea di qualcosa che si distrugge continuamente (M.Sgalambro, “Trattato dell’età”, 10). E continuamente si crea. Ma non a somma zero: il progresso non è una freccia, ma la perfettibilità è una forma della realtà.

Ricordo – È evasione, si sa, oltre che occorrenza o insorgenza. E una ri-creazione. Di un passato più o meno immaginario, utensile buono a fare giustizia del presente, passato o contemporaneo, per amore o per odio. Un’illusione con altro nome, che si vorrebbe di altra sostanza, che però sfugge, indefinibile (cioè definibile ad libitum). 

Storia – “La storia si sviluppa come si sviluppa e cresce un fanciullo”, Goethe.

I greci ne facevano a meno. A lungo non tennero cronologie né calendari né annali. Quella olimpiaca è tarda, ed è imprecisa. Erodoto è un narratore, piuttosto che un geografo e un viaggiatore, e di sentito dire piuttosto che di personale conoscenza. La sua conoscenza dell’Africa, da lui derivata dagli Egiziani, fece testo fino a Aristotele.
La stessa ostilità alla durata è nell’architettura: malgrado l’abbondanza della pietra, cui si devono costruzioni civili e religiose importanti e durature, molto adoperavano il legno.

Dà eventi e persone probabilmente falsi, ma viventi.

È l’educazione dell’umanità (Herder)
L’evoluzione del concetto di libertà (Kant, Croce)
L’autorealizzazione dello spirito universale (Hegel)
Ogni vera storiografia è una filosofia. E viceversa (Spengler).

Tempo – “Può essere una ricerca interessante stabilire quale sia il rapporto tra il tempo che in una coscienza di tempo è posto come oggettivo e il tempo realmente oggettivo”, annota Husserl, anche per verificare se le “stime di intervalli di tempo” corrispondono a quelli oggettivi. Ma esclude il tema dalla sua ricerca, dalla fenomenologia. In una delle tante lezioni del voluminoso “Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo”.  Non che gliene si mancato il tempo. Non poteva. Perché il tempo esterno, o trascendente, non si temporalizza. E d’altra parte, al tempo di Husserl e dopo, il tempo soggettivo o immanente viene confuso – metafisicizzato – con la durata, in buona misura immedesimandosi sul trascendente. Imbrogliando cioè le carte: col tempo puntuale databile, datato, non ci sarebbe stata perlomeno confusione.

Evanescente, è in realtà un muro: il tempo è il mondo quale è, che non trascorre e non muta – o allora per processo minimo, lento, immisurabile – invisibile, intoccabile, fuori dai sensi.

“Non essere migliore del tuo tempo, ma sii il tuo tempo nel modo migliore”, è consiglio di Hegel. Quello può essere impossibile, questo è possibile, e auspicabile.

Vecchiaia - Vecchiaia è quando si rimpiange la giovinezza, ma come un’età dell’oro, remota: quando non si vuole più ringiovanire – prospettare, fare.

zeulig@antiit.eu 

L’Occidente tramonta in Germania

La storia come prognosi è l’avvio. E “tema filosofico” - “che, se inteso in tutta la sua serietà, implica ogni maggiore problema dell’essere”. Sul presupposto che “ogni vera storiografia è vera filosofia; altrimenti è un lavoro da formiche”. Tema e prognosi sviluppate in fondo alla stessa “Introduzione”, al § 16, sull’“antitesi fra storia e natura”, una “scoperta… che, sola, permette dii cogliere l’essenza della storia”. Antitesi cui l’uomo è antitetico: “L’uomo è elemento e rappresentante dell’universo non solo come membro della natura, ma anche della storia”.
Un progetto ambizioso – la prognosi – ma non una grande scoperta fin qui. Anzi, è il problema dei problemi dal tempo dei “grandi Eleati”, quando si videro costretti ad affermare che “per la conoscenza non esiste il divenire ma soltanto un essere (il divenuto)”. Si considerò la storia come natura, col “grave errore di applicare i principi della causalità, della legge, del sistema, cioè le strutture dell’essere fisso, alle forme dell’accadere”.
Dunque, una storia senza anamnesi? No, anzi, l’anamnesi è accurata, accuratissima – non siamo in Germania? Supportata da tre minuziose tavole “sincroniche”: delle epoche spirituali, delle epoche artistiche, e delle epoche politiche. Ma la diversa “morfologia” che Spengler ha individuato gli consente da subito di vedere “la guerra mondiale che si approssima” non  come “un irripetibile incontro di fattori fortuiti”, ma come “una tipica svolta dei tempi avente da secoli un suo posto biograficamente predeterminato all’interno di un grande organismo storico di una estensione perfettamente circoscrivible”. Cioè l’avvento della Germania. “Il tramonto”, pubblicato sul finire della guerra (il primo volume nell’estate del 1918 a Vienna, il secondo a Monaco, dove Spengler risiedeva, beneficiando di un modesta rendita, nel 1922, con la revisione del primo), è stato concepito e scritto prima – era già finito nel 1914. Morfologia è il sottotitolo del primo volume: “Lineamenti di una morfologia della storia mondiale”.
Un’opera sovrastimata. Stravagante quanto sicumeristica - ispirata. Erudita in senso nazionalista, ancora all’insegna dei primati e dei destini manifesti, mentre si preparava effettivamente una fine dell’Occidente, ma a opera della Germania. Esoterica in parte, malgardo l’imprinting dottorale e i buoni propositi. A un secolo (quasi) data il futuribile è rimasto tale.
Spengler, storico allora dilettante, costruì una grande mitologia. Che alla sua uscita in contemporanea con la sconfitta fu di paradossale sollievo per l’università e l’opinione in Germania. “Il tramonto” fu un successo, e rianimò gli sconfitti con la creazione di una sorta di Grande Destino storico, facendone dei protagonisti. Spengler assunse dignità accademica, più di una università gli offrì un posto, a cinquant’anni. Anche se lui stesso si poneva problemi. E “al “Tramonto” fece seguire un nugolo di precisazioni e revisioni, nelle riedizioni e in una raccolta uscita postuma di “Urfragen”, cinquecento pagine di rimeditazioni.
La Germania sta al centro dell’impianto di tutta l’opera. Come “vanno” le civiltà, è il quesito a metà trattazione. In tre movimenti: “In tre fasi ben distinte: distacco dalla civiltà; pura disciplina formativa di forme civilizzate; irrigidimento”. Con al centro la Germania: “Questo sviluppo (l’irrigidimento) si è per noi già iniziato e io vedo nel coronamento dell’edificio grandioso la missione precipua dei Tedeschi”. E a seguire: “Tutti i problemi della vita, della vita apollinea, magica e faustiana, vengono pensati sino in fondo, tanto che vien fissato in modo definitivo ciò che si sa e ciò che non si sa”. Poi bisognerà applicare “quelle forme a tutta la vita sulla terra”. Un tramonto come occupazione, slargamento – “cinesizzazione” dice Spengler (stabilizzazione).
Spengler, divenuto famoso con questo “Tramonto”, accoglierà dapprima con favore poi con ironia il nazismo. Che però, recita la bandella (Jesi?), “gli rimproverò di non riconoscere i suoi legittimi eredi”. L’unica ipotesi storiografica sostanziosa – non originale – è la polemica contro il Rinascimento, che si è voluto allacciare alla classicità greco-romana saltando i mille anni del Medio Evo, di elaborazione europea, settentrionale, della storia (per questo Cassirer scriverà “L’uomo del Rinascimento”, in polemica col “Tramonto”).
Una divagazione interminabile, insopportabile. Con un solo filo conduttore. Anzi con due. L’uno, semplice, è che le civiltà tramontano espandendosi, permeando il mondo, “cinesizzandolo”. É così, Spengler non ha difficoltà ad ammetterlo. Si prenda, dice, il mondo antico, “l’unico esempio di una civiltà interrotta nel punto della sua piena maturità”: i Germani, di loro si tratta, non ne distrussero che “il tratto esterno delle forme, sostituendo ad esso la vita della loro pre-civiltà”. Le culture non scompaiono, hanno uno “strato profondo, «eterno»”. E così il mondo classico sussiste – anche se in posti strani,”nella Francia meridionale, nell’Italia meridionale e nella Spagna settentrionale” (con una notazione preziosa, controcorrente sugli studi tedeschi all’epoca, che ritroveremo tal quale in Ernesto de Martino: “Nelle feste religiose dell’Italia meridionale si ritrovano ancor oggi culti antichi e pre-antichi”).
L’altro filo conduttore è il primatismo. Fastidiosissimo, tanto più nel Novecento, in una guerra scatenata a perdere, in un testo che si vuole di filosofia della storia. Gioacchino da Fiore è “il primo pensatore della statura di un Hegel” – e lo è perché sorretto dal “sentimento di un Gotico”. Contro la classicità e l’epigonismo rinascimentale, uno studio sarebbe necessario che facca giustizia, “cominciando dall’imperatore Ottone III, che fu la prima vittima del Sud, fino a Nietzsche, che ne fu l’ultima”. Con un parallelo fastidioso fra romani e prussiani. La celebrazione fa di come i tedeschi sanno sfruttare le macchine meglio degli altri. In tema di imperialismo, Cecil Rhodes è “il primo uomo di una nuova età. Egli incarna lo stile politico di un lontano futuro occidentale, germanico e soprattutto Tedesco”. Leibniz indirizza la Francia (Luigi XIV) verso l’Egitto per alleggerirne la pressione sulla Germania – una Francia con l’anello al naso, cui il filosofo prospetta il colonialimo (la Francia già possedeva mezzo mondo) invece che le Fiandre e la Renania. C’è poi “la profonda, intima dipendenza delle teorie fisiche e chimiche più moderne dalle concezioni mitologiche dei nostri antenati germanici”. E siamo ancora a p.83. Verso la fine c’è la Riforma, naturalmente. E la tecnologia: “La polvere da sparo e la stampa sono inseparabili, sono state scoperte entrambe nel ppriodo dell’alto gotico e procedono entrambe dal pensiero tecnico germanico” – non basta? “Rappresentando  due grandi strumenti della tecnica faustiana dell’azione a distanza”. Con I soliti teutonismi: la filosofia “giunge a compimento” con Kant, etc.
Nella “storia” germanocentrica un quadro si compone, nei dettagli, di farneticazioni. Seppure da provincia, da beghino in sacrestia. “Alessandro e Napoleone erano dei romantici”. Napoleone in particolare. “un Werther”. “Imperialsimo è pura civiltà”: “L’intelletto è il complement dell’estensione” - e “proprio in tale forma è l’ineluttabile destino dell’Occidente”. Le costituzioni sono inutili. Non riconoscono “il grande destino che regge il mondo dei fatti e con ciò credono di averlo confutato”. È signifiativo che “nessuna costituzione conosce il denaro quale Potenza politica”. Meno che in Germania, naturalmente: “Solo in Inghilterra – se si prescinde dalla Gerrmania prussiana e dall’Austria, ove esisteva sì una costituzione ma con ben poca influenza di fronte alla tradizione politica – si sono conservate abitudini di governo”.
Bizzarro, raramente, svagato. “Un filosofo che non sappia anche afferrare e dominare la realtà non sarà mai un filosofo di primo rango” suona bene -  anche se Platone, per dire, o Heidegger non ne sono stati capaci. Ma poi continua: “I Presocratici erano merxcanti e politici in grand stile”.
L’edizione Guanda riproduce quella Longanesi del 1981 (“un classico del pensiero\ di bruciante attualità”). Con la vecchia traduzione quindi di Evola (1957), rivista da Rita Calabrese Conte e Margherita Cottone, autrici anche delle note. Con un’introduzione di Furio Jesi centrata sulla cultura a Monaco di Baviera, centro allora della Germania intellettuale, nel primo Novecento. Il solitario Spengler contestualizzando col cerchio mistico-esoterico del poeta Stefan George, col conservatore radical Thomas Mann, e altre personalità meno note dello stesso orientamento. Utili indicazioni dando anche sulla colocazione politica dell’opera, nel 1923 e dopo. A  sinistra (H. Hesse, Károly Kéreny, Kazanzakis) ci vedono la critica alla civiltà delle macchine – che però non c’è. A destra ne fanno un capisaldo: “Sia Untergang des Abendlandes”, scrive Jesi subito, “sia altre successive opere di Spengler (..) sono apparse come profezie grandiose e congeniali ai loro apologeti nazisti e fascisti, ai protagonisti e ai consumatori della cosiddetta cultura di destra di ieri e di oggi”. Contro “i principi folli del 1848”, Spengler stabilisce a metù trattazione.
L’opera fu tradotta solo dopo la guerra. Evola, che la propose e la tradusse, si concedette “patenti sostituzioni e postille”, a parere delle curatrici, che le anno rettificate. Giuseppe Raciti, l’animatore della riedizione Aragno, presenta “il pletorico” Spengler come l’“apologeta di una civiltà perduta (Kultur) e il fustigatore della corruzione metropolitana (Zivilisation)”. “Il tramonto” proponendo come “un autentico «viaggio al termine deal notte»”, un tentativo di prevenire la “dissipazione entropica” dell’Occidente. Si può immaginarlo, certo, ma non alla lettura.
Oswald Spengler, Il tramonto dell’Occidente, Guanda, pp.1.584 € 50

Il tramonto dell’Occidente, vol. 1, Aragno, vol 1, pp. VI-677 € 40

martedì 7 novembre 2017

C'è del metodo nella scomparsa dell'inflazione

Un reddito fisso invariabile (una pensione) sopra i 1.400 euro lordi mensili, cioè non più aggiustato per l’inflazione, deve ridurre ogni anno la spesa di un 3-5 per cento. Perché l’infazione di fatto c’è, tutto costa di più: la luce, il gas, l’acqua, la spazzatura, la benzina (non diminuisce mai), i medici, le medicine, il tram, i biglietti del treno e del’aereo, e naturalmente il droghiere e il mercatino rionale – il San Daniele, per dire, è passato in estate da 25 a 40 euro. Ma l’inflazione non c’è. Non si trova. Si fa di tutto per risvegliarla, ma non riparte.
Sarà in economia come in meterolorolgia, che il percepito è diverso e anche l’opposto dei valori reali? Che, con la temperatura di 20 gradi, fa freddo perché c’è la tramontana? No, i prezzi a lungo sono stati ritenuti determinati dalle banche centrali. Giusto la ricetta di Milton Friedman, l’economista monetarista di Reagan, che “l’inflazione è sempre comunque un fattore monetario”. Ma la Fed e la Bce, le banche centrali americana ed europea, stanno dimostrando di non avere alcun potere. Janet Yellen, la presidente uscente della Fed, dice che l’inflazione sotto il 2 per cento “è più che un mistero, e non direi che il Comitato (di presidenza della Fed, n.d.r.) ne capisca chiaramente le cause”. Le banche centrali vorrebbero un minimo di inflazione, e non la trovano, neanche loro.
Ora, dopo la globalizzazione, altri fattori si considerano che regolerebbero i costi finali. In particolare la forza lavoro all’opera nel mercato mondiale, più che raddoppiata con l’ingresso della Cina, dell’India et al. Questo ha portato a un appiattimento dei redditi di lavoro – della grande massa cioè del reddito distribuito. Il cavallo, se anche volesse, non si potrebbe permettere di bere.
Ma, poi, il fatto non sarà statistico? L’Europa lo ha sperimentato quindici anni fa all’entrata in vigore dell’euro. Tutti i prezzi raddoppiarono di colpo per il solo effetto del cambio delle monete nazionali con l’euro, in Italia come in Germania, ma Eurostat, la rete statistica europea, non lo ha certificato. Aveva semplicemente cambiato le metodologie. La scomparsa dell’inflazione è molto metodologica.

Problemi di base molesti - 368

spock

Dobbiamo credere a Anna Graham Hunter,  scrittrice in cerca di visibilità, oppure a Dustin Hoffman?

Tutti uomini i molestatori, di uomini e donne?

Tutti questi molestati che dopo cinquant’anni riacquistano la memoria, sarà l’effetto dell’Alzheimer?

O non di una cura segreta per l’Alzheimer, c’è da sperare?

E la giornalista emerita a cui sono state toccate le ginocchia sotto il tavolo a pranzo, non sarà il miracolo di Giove, che Atena produsse dal ginocchio?

Bisogna credere a “Guido Fawkes”, broker, organizzatore di rave party, studioso del sandinismo, conservatore, socialista, liberale, anarchico?

Non c’è nessuna a Hollywood che Weinstein non si sia ripassata – sarebbe un’eroina, da monumento?

Si fa sul serio, oppure per ridere?

spock@antiit.eu

Quando il filosofo s’innamora da vecchio

Una vastissima rivisitazione della vecchiaia. Da Omero, “pure gli dei si vergognano di essere vecchi”, a Kant, e al “giovane Hegel” immancabile, via “Roman de la Rose”, che l’amore in vecchiaia espunge dall’amore cortese. Ma senza rivelazioni, e senza consolazioni. Contratta anzi al limite dell’incomprensibile. Con riferimenti unicamente tedeschi, più Arisotele, e un Flaubert. Piena di ambivalenze, di assiomi contradittori: “L’individuo vive quel tanto che è necessario per morire”, “L’idea di realtà è l’idea di qualcosa che si distrugge continuamente” – cioè si crea. Superomista, come è di tutti i Grandi Ateisti: “La specie non è niente, alcuni uomini sono tutto”.
Illuminante a tratti, per inciso: “Il colpo più duro che si possa infliggere all’ontologia è la misura dell’età. È come se lo stesso «essere» ne uscisse misurato. Un’opera come «Die Weltalter» è blasfema” – Schelling, “Le età del mondo”, è molto citato, benché l’opera sia incompiuta, e variamente riscritta. Anche la premessa sembra originale: “Non si invecchia, si è vecchi di colpo. Non si «diviene» vecchi. D’un tratto si è vecchi.  L’immobilità del tempo penetra nell’individuo tutta in una volta. La vecchiaia viene dal di fuori”.
Un saggio sulla conoscenza tarda – hiatus – che è una relazione tarda, d’amore. L’“amore circondato di mistero”, quello al di fuori del matrimonio. Una celebrazione, ogni poche pagine, di un amore senile – il vero, unico, etc., già sentito. Del filosofo “Della misantropia”. Che all’amante propone, come tutto, il niente: “L’amore raggiunge il suo apice allorquando è ‘sterile’”. E s’intende l’ostilità alla procreazione, l’esser nati essendo “la malattia più perversa, un flagello più iniquo della peste”. Anche come dichiarazione di amore, lugubre.
Manlio Sgalambro, Trattato dell’età, Adelphi, pp. 130 € 8

lunedì 6 novembre 2017

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (344)

Giuseppe Leuzzi

Siamo il primo paese al mondo, di quelli di cui si hanno i dati, per intercettazioni, telefoniche, ambientali, telematiche (le più costose). Ma la corruzione non è in calo, nemmeno le mafie. E allora?

Funzionari prefettizi sollecitano e nominano le Commissioni d’accesso agli atti dei Comuni per mafia o disamministrazione. Dei Comuni che poi loro stessi amministreranno per un anno e mezzo in funzione di commissari. C’è un conflitto palese d’interessi, ma non per il ministro dell’Interno. – per non dire della qualità dei funzionari prefettizi.

Il ministro dell’Interno trova sempre interessi comuni con i suoi funzionari prefettizi e i loro poteri discrezionali. In effetti, un vero federalismo non sarebbe male. 

Anche la Grecìa viene meglio al Nord
Walter Lapini, in arte “Alvaro Rissa”, fa le prime pagine e scala le classifiche con pastiches (“Totti. Il cucchiaio di Dio”) in finto greco antico, e traduzioni in greco di banalità quotidiane (il finto coatto Mauro Rovazzi). Esercizi che Saverio Siciliano ha condotto da tempo – un pastiche da Archiloco fu preso trent’anni fa per un reperto finora trascurato del primo lirico greco. Senza echi, se non fra gli amici. Ma Siciliano sta a Reggio Calabria, e Lapini a Genova: il contesto fa la realtà delle cose.
La versificazione in greco, di cui un raccolta fu fatta vent’anni fa a Napoli, “Ritorno al classico”, per la Esi, Siciliano ne è stato un cultore nato. Giurista di formazione, sociologo di professione, all’università di Messina, promotore a suo tempo inascoltato, primi anni 1990, di un codice ambientale o dell’ecologia (“Ecologia giustizia insicurezza”, “Ingiustizia contro natura”, “La civiltà suicida”), è un grecanico, per origine e vocazione, di Bova Marina. Ambientalista pure in proprio, come coltivatore, quindi doppiamente radicato nell’area di origine. Tutte cose che darebbero spessore anche al “personaggio”, quale ora si richiede essere a chiunque proponga. Ma Reggio Calabria è un forte handicap.

Da sant’Arcangelo a Halloween – o l’anello al naso
Usava in paese la fiera di sant’Arcangelo, l’ultima domenica di ottobre. Si comprava il maialino da latre, da crescere per le Feste. E gli attrezzi da campagna, zappe, asce, pale, picconi, forbici, coltelli, che ora non usano più. Le fiera era per questo andata in disuso. Il sindaco la riprende per rianimare il paese tra la lucentezza dell’estate e le luci dell’Avvento. Ma le abitudini si perdono più facilmente che non si acquistino.
I banchi sono del solito mercatino. Di qualche reduce del mercatino per antonomasia, del Forte dei Marmi, con nugoli di africani del Sud e del Nord – del Sahara. Con molti dolcetti, anche scherzetti: da sant’Arcangelo ad Halloween. Sono alcuni anni che il sindaco ha rianimato al fiera, ma pochi curiosi si incontrano.
Anzi, non c’è nessuno, verrebbe da dire. I bancarellari discutono fra di loro. Un mortorio. Finché, uno dei reduci (arredamento casa) ha da sbraitare contro un vicino di banco. Un africano dalla faccia di ragazzino che non risponde. Forse non capisce, anche se il cipiglio del reduce parla chiaro. Ma è un attimo. Subito si fanno sotto a rispondere per lui altri tre o quattro africani, in perfetto dialetto. Calmi, amichevoli, suadenti. Il reduce un po’ si calma, un po’ si altera, ridà in escandescenze. Soprattutto quando lo si guarda: quando intercetta uno sguardo lancia un urlo.
È tutto. Resterà l’unico segno del mercato. Gli altri espositori si fanno al centro per vedersi la scena, dall’alto e dal basso, il paese s’inerpica sulla gola della valle. C’è poco da preoccuparsi. E d’altra parte tutto anche qui è in regola, ognuno è ambulante patentato – per altro no, ma sul lato formale siamo inflessibili.
Il fatto è che l’africano non ha l’anello al naso. E l’arabo ci disprezza, da sempre. Sanno fare le parti in commedia, anche meglio, con più aplomb. Ma bisogna rivedere teorie e pratiche della cooperazione – le ansie.

O nostos – il ritorno
C’è sempre un ritorno dell’emigrato, anche quando non ritornasse mai al luogo d’origine. Un ritorno mentale, in forma di memoria, rimpianto, sogno. Anche per una semplice ricostituzione del sé, del proprio soggetto, di saperi, passioni e idiosincrasie, altrimenti inspiegate. È come Simone Weil lo dice, ebrea che si volle cattolica, non battezzata ma radicata: “Il radicamento è forse il più importante e il meno riconosciuto tra i bisogni dell’animo umano”.
È un radicamento figurativo. Anche quando è fisico, lo spostamento comportando della persona. Di fatto, tra persone reali, sarebbe altrimenti sempre deludente: il ritornante è un altro, e gli altri sono altri. Anche i luoghi sono altri, non può essere che così. Il desiderio però, o il bisogno, soverchia le differenze.

Sicilia
Dante la mette nel “Paradiso”, sebbene la immagini sulfurea: “E la bella Trinacria che caliga\ tra Pachino e Peloro, sopra il golfo,\ che riceve da Euro maggior briga\ non per Tifeo ma per nascente solfo”.
Consolo, “L’idea della Sicilia”, opina che ci sia arrivato per il “remoto” e l’“antico”, le “due condizioni che generano poesia, dice Leopardi”.

Il suo “Re Ruggero” solare, “dionisiaco”, nient’affatto normanno, il compositore polacco Szymanowski ha musicato sotto la fattura della Sicilia, che si trovò a visitare dopo la Grande Guerra, e poi più volte in poco tempo – in compagnia del cugino Jaroslaw Iwaszkiewiz, anche lui entusiasta, che scriverà parte del libretto. È una Sicilia da cartolina quella che Szymanowski divisa. E tuttavia ne dà prospetto congruo, che ognuno sperimenta ogni volta nell’isola: è la Sicilia che affascina e non sa lei stessa perché – i siciliani di oggi non lo sanno, levantini presi dal levantinismo.

Era una landa deserta per il Settecento in Francia – che poi la amerà e idolatrerà: per Montesquieu, per l’Enciclopedia. Una distesa desertica, o sennò di ruderi. Terra di distruzioni, per via dei terremoti.

Fu inventata da Stendhal, come è noto. Ma non del tutto, ne “La duchessa di Paliano” è anche particolareggiato: “Il mio scopo principale, viaggiando per la Sicilia, non è stato di osservare i fenomeni dell’Etna né di chiarire, per me e per gli altri, quel che gli antichi autori greci hanno detto della Sicilia. Ho cercato soprattutto il piacere degli occhi, che in questo singolare paese è grande. Si dice che assomigli all’Africa; ma quel che per me è certo è che non somiglia all’Italia, se non per le passioni divoranti”. Non c’è stato, ma sapeva.

Fece molta impressione a Pieter Breughel nel suo lungo soggiorno in Italia, tra il 1552 e il 1554. Tra Reggio Calabria e Messina disegnò il “Combattimento navale”, poi traslato in incisione. A Palermo il “Trionfo della morte”.

Consolo immagina il viaggio di Goethe in Sicilia come “la conclusione necessaria per progressus alle origini, il viaggio al termine della storia, della civiltà e del tempo; il viaggio anche al cuore della natura”. Ma questa è la Sicilia di Consolo: “La Sicilia, il prodigioso e antichissimo grembo di questa terra contiene, per chi sa trovarlo, l’aleph: il luogo dove si trovano, senza confondersi, tutti i luoghi, la storia che contiene tutte le storie”.

Goethe in realtà aveva un’idea della Sicilia già prima di visitarla. “La Sicilia è per me un preannuncio dell’Asia e dell’Africa”, scrive a un corrispondente mentre organizzava il viaggio in Italia, “e il trovarsi in persona al centro del prodigioso cui convergono tanti raggi della storia del mondo non è cosa da poco”. E dopo il viaggio: “Per quanto riguarda Omero, è come se mi fosse caduta una benda dagli occhi. … Ora l’Odissea è davvero per me una parola viva”.
La Sicilia come parusia del reale, è la sintesi di Goethe: “L’aver aderito in stretto contatto al reale mi ha dato un’incredibile scioltezza nell’esprimermi, per così dire, a prima vista su ogni cosa, e mi sento veramente felice che nel mio animo sia rimasta un’idea tanto chiara, completa e pura della grande, bella, impareggiabile Sicilia”.
In questo Goethe è solo. Ma, e se avesse ragione?

Per molti, conclude Hélène Tuzet, che ha studiato e antologizzato i viaggiatori nell’isola, la Sicilia è un’idea “platonica”. Ma non è valutazione diminutiva: la Sicilia si impone come idea “platonica” a personalità in vario modo elette – i viaggiatori non sono turisti di massa. 
È un luogo però dell’immaginario, è vero. Pur essendo a portata di mano, e anzi centrale, nel Mediterraneo e in Europa, quella che contava fino a Colombo e le scoperte.

La prima ricognizione dall’estremo Nord non fu benevola – il leghismo piemontese e ora lombardo è benevolo al confronto. “Sotto il segno del fuoco nasce l’immaginario della Sicilia”, esordisce Atanasio Mozzillo, lo studioso dei viaggiatori, “Le ragioni dell’immaginario”. Meglio avrebbe detto “sotto il segno dell’inferno”, a giudicare dai reperti che cita. Giovanni vescovo di Oxford, che fu nell’isola nel 1176, ci sente lezzo e aria pestilenziale, ci vede foglie morte, canne secche, stagni paludosi. 
Il vescovo accompagnava la figlia del re d’Inghilterra Enrico II, Giovanna, che andava sposa a Guglielmo II d’Altavilla “il Buono”. Un matrimonio da cui nascerà Costanza d’Altavilla. Che andrà sposa all’imperatore tedesco e sarà madre di Federico II. A Guglielmo succederà a Palermo il cugino Tancredi. Non proprio gli ultimi della terra.

Pietro di Blois qualche anno prima, precettore di Gugliemo ragazzo, scriveva di “portae mortis et inferi”. Gli uomini la terra se li inghiotte vivi, scriveva da Palermo, “et descendunt in infernum viventes”. Mentre in pancia gli fermentano “i mortiferi umori del prezzemolo e del finocchio, loro unico cibo” - che il canonico evidentemente non gradiva.
La verità è che Pietro aveva troppo potere col giovane re, e dovette presto lasciare Palermo. Si mise allora al servizio del suocero del suo pupillo, Enrico II d’Inghilterra, col quale fece carriera.

Federico II è “il signore di Puglia” nell’epica  contemporanea di Walter von der Vogelweide.

leuzzi@antiit.eu

L’eurococco all’opera un secolo fa

Un apologo satirico della Germania dopo la prima sconfitta. Amaro più che indignato. La Germania è “di carta”. Tra rivoluzioni di un giorno, a tavolino, la corruzione di sempre, e affari facili, come gli amori, sotto una pioggia di carta, dei milioni e miliardi di marchi a un dollaro. Esilarante più che drammatico, è stato pubblicato nel 1929, e si legge d’un colpo. C’è già anche Berlino W, la città occidentale, “molto à la page, imbevuta degli ideali della civiltà contemporanea”. In una Germania urbiaca o intontita, senza più imperatori, dopo millenni, né generali.
Un apologo politico. Attorno al Tedesco archetipo, metafisico, mistico, bottegaio, idealista, visionario, rivoluzionario, tutta la panoplia del teutonismo messa in berlina in un Candido risorto senza grazia. Che migra dagli studi ai misteri mistici, alle reazioni rivoluzionarie, ai salotti affaristici, ai casinò, ai bordelli, alll’isola dalmata “piccola, scura come «L’Isola dei Morti» di Böcklin”- di cui il novella Candido, tramutato in “Casavonarola”, si dichiara il padrone in italiano: “Io sono il principe” – e poi di nuovo agli studi. Calcolatore: “Del resto, Hauptmann e Stresemann hanno anch’essi sposato delle ebree”. Un velsungo, come nella satira familiare antisemita di Thomas Mann venticinque anni prima.
Senza grazia lui come i suoi patroni e compartecipi. Ebrei – si parte con un “prototipo di ebreo stilizzato” e ci sarà anche la differenza fra l’ebreo polacco-russo e l’ebreo spagolo, sefardita - e nazionalisti tedeschi, gli uni e gli altri.superficiali, e furbi. Un pizzico visionario. C’è già la crisi dell’Europa, minata da una virus “eurococco”, “la fillossera della civiltà europea”. Col risentimento di chi si sente tradito – “O Germania, paese dei racconti di Jean Paul e delle favole dei Nibelunghi”. C’è anche il futuro asse franco-tedesco – si fa e si celebra al bordello. Un romanzo ripescato da “Il Fornchiere nel 1975, riedito nell’originale francese vent’anni dopo.
Yvan Goll, franco-tedesco d’Alsazia, è stato poeta e scrittore in entrambe le lingue, francese e tedesco,  poi dimenticato in entrambe le lingue – solo lo ricordano i Wu Ming. Ma poeta sensibile, e di spicco negli anni bui tra le due guerre. Nell’ambito della ricerca espressiva, dada-espressionista prima, poi, anche in questo romanzo-apologo, surrealista. Progetto e editò una rivista, “Surréalisme”, che nel suo primo numero, l’1 ottobre 1924, anticipò il manifesto del movimento, che poi sarà definito da André Breton. Emigrò negliUsa negli anni dell’antisemitismo, e dopo la guera rientrò in Francia, dove visse gli ultimi anni. Protagonista anche di un caso di mobilitazione: sedici poeti fecero a turno a donare il sangue per le trasfusioni di cui necessitava contro la leucemia.
Nato Isaac Lang, Yvan Goll sarà il terzo dei suoi pseudonimi, dopo Tristan Torsi e Iwan Lassang: debuttava prima della Grande Guerra, anni di piena integrazione, ma non si fidava. Crebbe e visse fino ai 27 anni, al 1918, in Germania. Espressionista a Berlino nel 1912, dadaista durante le guerra in Svizzera, dov’era espatriato per evitare la coscrizione, e surrealista dopo la Grande Guerra a Parigi. Pubblico nel 1917 a Ginevra un “Requiem per i caduti dell’Europa”, un poema in prosa e in versi, che ebbe una certa eco - profetico: “O popoli eroici! Voi che cercate la grande battaglia\ Voi ne perdete una ancora più grande,\ l’Europa”.
Sodoma c’entra poco. I bar e circoli gay di Belrino erano materia di gossip e giornalismo mondano già prima della Grande Guerra – il “mago di Hitler” Hanemann si era fatto una prima equivoca fama nel 1913 con reportage giornalistici sui bar omosessuali della capitale. O allora in senso figurato, della Germania che s’ingroppa sterile.
Yvan Goll, Sodome et Berlin, Circé, pp. 128 € 5

domenica 5 novembre 2017

Appalti, fisco, abusi (111)

C’è un modo per sapere quanta elettricità e quanto gas abbiamo consumato, invece di pagare gli acconti, sempre eccessivi, su consumi stimati: cambiare fornitore. Allora arriva la lettura dei consumi.
La misurazione dei consumi non è impraticabile – esistono contatori per questo, con letture a distanza. Ma allora non si possono gonfiare i fatturati.

Si cambi fornitore di elettricità o gas, il vecchio manderà il riconteggio dei consumi normalmente con un saldo a beneficio dell’utente. Ma in due (Enel) o tre (Eni) mosse. Dapprima un preavviso, poi il rimborso, e nel mezzo (Eni) una lunga coda al numero verde per dire come si vuole essere rimborsati: bonifico o assegno? Tutto questo per ridurre i costi o per moltiplicarli – oltre che insolentire l’utente?

Un conto family col Banco Popolare di Milano, estinto a metà marzo per il deposito titoli, e a metà maggio per il conto corrente, non viene saldato fino a fine ottobre. Producendo nel frattempo costi
per € 256:
€ 33,42 per competenze (canoni, commissioni) e interessi (pur essendo al giacenza attiva)
€ 36,53 per gestione titoli
€ 36,15 per costo fido
€ 150 per premi assicurativi

Bpm non ha - come “di norma” dovrebbe, dice il sito della Banca d’Italia - un Uffico Reclami, presso il quale chiedere ragione dei ritardi e dei costi non dovuti. Non ce l’ha sul sito, né al numero verde – che rimanda al centralino, che non ne sa nulla.
Il comportamento di Bpm non è sanzionabile. Né da Banca d’Italia né dall’Arbitro Bancario: la pratica è semplice, l’ammontare della contestazione esiguo. Il sistema è furbo: mille o diecimila conti inattivi possono generare cifre consistenti, 256 mila euro o due milioni e mezzo.

Il rapporto con la banca non è più fiduciario: il retail torna dalla City e da Wall Street con palesi connotazioni di rapina. Neanche la Banca d’Italia, Visco dixit, è capace di governare gli abusi delle banche, commerciali e penali. C’è l’Arbitro, ma è uno studio legale: pagato dallo Stato, all’utente chiede un modesto fee, ma si sceglie le cause.

Le nuove norme europee a protezione degli investitori sono comunicate da Banca Intesa con una “Proposta di modifica unilaterale” di 14 pagine, fitte. Le quali, avendo il tempo di leggerle, non spiegano nulla, dietro il leguleismo burocratico. Perché la difesa dell’utente dev’essere una presa in giro – le banche spendono per questo?