«Non ne posso più di Verga,
di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia”, Gaetano Savatteri sbotta
in “Non c’è più la Sicilia di una volta”: “ Non ne posso più di vinti; di uno,
nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini, ominicchi,
pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e
seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio
all’italiana, di marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso
più della Sicilia”. Come non concordare?
“Non ne posso più della Sicilia immaginaria”, dice Savatteri. Ce n’è
un’altra? E perché non parla?
C’è un Nord-Sud anche sugli abusi sessuali. Una
foto ritrae in Perù un cardinale O’Malley severissimo, il presidente Usa della Commissione vaticana a tutela dei minori, assistere alla messa, alla base aerea
di Las Palmas, del papa Francesco. Che poi, sull’aereo, si è dovuto scusare. Di
avere usato il verbo “provare” invece che “circostanziare”, a proposito degli
abusi subiti da quanti li denunciano a distanza di tempo. Una differenza tra i
due verbi non c’è, è impercettibile. La sottomissione del papa “meridionale” al
cardinale “settentrionale” è invece spessa, nell’immagine e nella
filologia.
“Impunito” era il collaboratore di giustizia
nell’ordinamento papale, degli Stati pontifici. Non apprezzato, nemmeno dalle
autorità – che però premiavano il “pentimento”: chi accusava gli altri riceveva
casa e rendita. “Faccia da impunito” è rimasto nel romanesco come “faccia
tosta”.
Avere
meglio che dare
“Un’economia di mercato può esistere solo in
una società di mercato”, Karl Polanyi.
Un’economia cioè moderna, in grado di crescere, e diffondere la
ricchezza. Per società di mercato
s’intende una società libera e autonoma.
Noi siamo liberi e autonomi ma non siamo una
società di mercato, perché? Più importante è il funzionamento, spiega
l’economista e sociologo ungherese: società di mercato è quella in cui si sa, è
normale, è giusto, dare per avere, lo scambio. Noi viviamo le due funzioni
separate, dare e avere.
Nella società tradizionale, di un paio di
generazioni fa, in cui prevaleva l’economia del dono più che dello scambio
eguale, dare prevaleva sull’avere. Per ragioni di show off e one-upmanship se
non di generosità o giustizia. Poi, sposandosi all’idea di democrazia, quando
la Repubblica ha messo ardici, la disfunzione ha prodotto un’avidità
incontenibile. Le regole sono state relegate all’ambito di chi ha: per
ricchezza, potere, ordine. Che è anche “giusto” combattere e frantumare, anche
se solo per spirito di rivalsa, e senza
una proposta (ricchezza, ordine, potere) sostitutiva.
L’avidità si sposa al disordine. È il disordine
democratico?
La mafia
è come i pesci
È “mafiosa” anche la testata di Ostia. Data in
pubblico, anzi davanti alle telecamere: la “mafia” non si nasconde. A quando
Weinstein mafioso?
Si pubblicano le intercettazioni sulle mafie di
Ostia, dal 2015. Agghiaccianti. Perché esplicite, in chiaro, di chi e cosa
impone: i clan, gli individui, i beni sotto tiro. Senza che nessun contrasto
sia mai stato promosso, né dalle polizie né dai giudici. In attesa della
“retata” sui tg tre anni dopo, il 25 gennaio 2018.
Intanto ci sono state sparatorie, con feriti. E
la solita serie interminabile di “avvertimenti”, che lo Stato non considera e
sono economicamente micidiali. La colpa naturalmente di chi non è andato a denunciare. Cosa?
La mafia è come i pesci: si aspetta per tirare
le reti che siano gonfie. Ma il mafioso è altrettanto innocuo della sardella?
La mafia alla Casa
Bianca. E al Cremlino.
Poteva mancare la
mafia nella trumpeide? Ce l’ha introdotta un Glenn Simpson, che il Senato e la
Camera dei Rappresentanti Usa hanno voluto ascoltare mesi fa, di cui si
pubblica ora la testimonianza - per imbordellire la trumpeide? Simpson è un ex giornalista
che ha un’agenzia investigativa privata, che ha lavorato per un gruppo del partito
Repubblicano concorrente di Trump, e poi per il partito Democratico, e ha tra i
consulenti l’ex spia britannica Steele, che è all’origine del Russiagate (Trump
nella manica di Mosca dagli anni 1970).
Simpson parla di “mafie
italiane e mafie russe”, plurali, senza precisare - forse collegate? Si vede
che non ha un pentito italiano.
Non ci sono solo la
Casa Bianca e il Cremlino nella manica della mafia. Anche il Sud America. Qui però
nelle vesti del giustizialismo. “Da vecchie repubbliche delle banane a regni
del giustizialismo”, il Sud America Rocco Cotroneo documenta oggi sul “Corriere
della sera” in preda al raptus da Mani Pulite: non c’è classe dirigente nel
sub-continente che non sia sotto attacco, per dritto e per rovescio. Non i sono
i Riina all’opera, ma l’esito è lo stesso, l’Italia insegna: non ci deve essere
governo.
Weinstein
mafioso non è tanto per dire. È stato il kingmaker
di molti Oscar, per esempio di Benigni. Di film di qualità, se non tutti quasi
– per esempio di Benigni. E quindi benemerito. Ma uno che sapeva indirizzare la
platea dei votanti, che in teoria è sterminata, di cinque o diecimila votanti,
anche in Asia e in Europa. Come? Al gioco delle influenze, del
produttore-distributore importante – un po’ come faceva a letto.
Questo
forse non è mafia: si sa che i produttori, oltre che le attrici, amano i premi,
è un trademark, loro stessi lo dichiarano.
Ma ci sono agenzie e consulenti a Hollywood specializzati in questo. La più
famosa, Lisa Taback, una doppiamente obesa ma ben energica, ha fatto vincere da
sola Benigni, e “Shakespeare in love”, “Il discorso del re “, “The Artist”, in
bianco e nero, “Spotlight”, “Moonlight”, film difficili o di poco peso. Come?
Non con la seduzione: si possono fare carriere col voto. Senza uccidere, quindi
senza mafia, ma la concorrenza facendo ben mafiosa.
Emilio Cecchi diceva
mafiosi anche Vittorio Emanuele Orlando, Gentile e Borgese, nei “Taccuini”:
“Com’è siciliano il ministro liberale, umanitario e capo mafioso. Si capiscono G. e Borgese”. Gentile, ministro
potente, segnava prudente con l’iniziale – omertà?
La mafia
è delle donne
Alex Perry, un giornalista americano
anglicizzato, col fiuto per gli eventi di cronaca – fa un libro l’anno, sul
tema del momento, Boko Haram, Jihad, Tony Blair, George Clooney, Scozia
indipendente, etc.: la sua biografia dice che negli ultimi venti anni ha
vissuto in Asia e in Africa, “scrivendo di oltre 100 paesi e coprendo oltre 30
conflitti come corrispondente di guerra” – punta quest’anno sulle donne di
mafia. Forte probabilmente del successo delle donne di camorra nella serie tv
“Gomorra”. Ha già scritto il libro, “The good mothers”, le buone madri, che
uscirà a giugno. E ne prepara il lancio anticipando il primo capitolo sul “New
Yorker” del 22 gennaio, sotto il titolo “Blood and Money”. “The True Story of the Women Who Took on the
World’s Most Powerful Mafia” è il sottotitolo del libro, di grande presa
(“storia vera”, “la mafia più potente al mondo”): Perry e i suoi editori sanno
come catturare i lettori.
Il primo capitolo è un calco di Saviano,
“Gomorra”. Anzi un remake. Da
narratore di migliore vena. E con una punta di onestà: dichiara subito che il
libro nasce dalla collaborazione con la giudice Alessandra Cerreti, l’ex
giudice del lavoro poi collaboratrice di Pignatone, del tutto mafia, a Reggio
Calabria e a Roma. Ne virgoletta pignolo i pareri. Fino a fare con precisione
le parti: “Abbiamo parlato per sette ore, nel 2015 e nel 2016. Cerreti alla
fine ha rifiutato altri incontri”.
A Reggio Calabria la giudice Cerreti “ha
gestito”, dice il suo curriculum, “la collaborazione della prima donna di “ndrangheta”
PESCE Giuseppina, figlia del boss PESCE Salvatore”. Che è andata bene – Perry
rappresenta Giusy Pesce come una donna determinata, anche nei ripensamenti. E
“ha gestito, insieme al collega dott. Giovanni Musarò, la collaborazione con la
A.G. di CACCIOLA Maria Concetta”. Che è invece andata male – Perry rappresenta
Cacciola, di cui non dà il nome proprio (Concetta non piace?), come una giovane
bella e sognatrice, mal sposata per ragioni di ‘ndrangheta, che infine non
regge alla tensione.
Il libro parte con la storia
terribile di Lea Garofalo - un romanzo se non fosse una storia criminale, di
tanti crimini l’uno dietro l’altro. Ma subito allarga l’obiettivo – Perry sa
come catturare il lettore - alla ‘ndrangheta mafia mondiale, dai tentacoli in
“cinquanta paesi in giro per il mondo”.
Inafferrabile per essersi proiettata nella finanza globale, e per
l’omertà – “un codice di silenzio imposto con una gerarchia familiare
claustrofobica e una misoginia assassina”.
Il solito guazzabuglio di primitivismo
e sofisticatezza. Non descrive le case, le parlate, gli abbigliamenti, gli
odori, gli sguardi dei mafiosi, tutto quello che confluisce nelle bombe e gli
assassinii. Li delocalizza perfino, astraendoli in una sorta di empireo, seppure
del male – le case dei Pesce a Rosarno, ambienti degradati di un paese
degradatissimo, descrive come nei verbali di polizia giudiziaria: ville,
comfort, tecnologie. Il solito monumento. Si capisce che la giudice Cerreti a
un certo punto abbia chiuso la saracinesca.
leuzzi@antiit.eu
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