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venerdì 26 gennaio 2018

A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (352)

Giuseppe Leuzzi

«Non ne posso più di Verga, di Pirandello, di Tomasi di Lampedusa, di Sciascia”, Gaetano Savatteri sbotta in “Non c’è più la Sicilia di una volta”: “ Non ne posso più di vinti; di uno, nessuno e centomila; di gattopardi; di uomini, mezz’uomini, ominicchi, pigliainculo e quaquaraquà. E sono stanco di Godfather, prima e seconda parte, di Sedotta e abbandonata, di Divorzio all’italiana, di marescialli sudati e baroni in lino bianco. Non ne posso più della Sicilia”. Come non concordare?  “Non ne posso più della Sicilia immaginaria”, dice Savatteri. Ce n’è un’altra? E perché non parla?

C’è un Nord-Sud anche sugli abusi sessuali. Una foto ritrae in Perù un cardinale O’Malley severissimo, il presidente Usa della  Commissione vaticana a tutela dei minori, assistere alla messa, alla base aerea di Las Palmas, del papa Francesco. Che poi, sull’aereo, si è dovuto scusare. Di avere usato il verbo “provare” invece che “circostanziare”, a proposito degli abusi subiti da quanti li denunciano a distanza di tempo. Una differenza tra i due verbi non c’è, è impercettibile. La sottomissione del papa “meridionale” al cardinale “settentrionale” è invece spessa, nell’immagine e nella filologia. 

“Impunito” era il collaboratore di giustizia nell’ordinamento papale, degli Stati pontifici. Non apprezzato, nemmeno dalle autorità – che però premiavano il “pentimento”: chi accusava gli altri riceveva casa e rendita. “Faccia da impunito” è rimasto nel romanesco come “faccia tosta”.

Avere meglio che dare
“Un’economia di mercato può esistere solo in una società di mercato”, Karl Polanyi.  Un’economia cioè moderna, in grado di crescere, e diffondere la ricchezza.  Per società di mercato s’intende una società libera e autonoma.
Noi siamo liberi e autonomi ma non siamo una società di mercato, perché? Più importante è il funzionamento, spiega l’economista e sociologo ungherese: società di mercato è quella in cui si sa, è normale, è giusto, dare per avere, lo scambio. Noi viviamo le due funzioni separate, dare e avere.
Nella società tradizionale, di un paio di generazioni fa, in cui prevaleva l’economia del dono più che dello scambio eguale, dare prevaleva sull’avere. Per ragioni di show off e one-upmanship se non di generosità o giustizia. Poi, sposandosi all’idea di democrazia, quando la Repubblica ha messo ardici, la disfunzione ha prodotto un’avidità incontenibile. Le regole sono state relegate all’ambito di chi ha: per ricchezza, potere, ordine. Che è anche “giusto” combattere e frantumare, anche se solo  per spirito di rivalsa, e senza una proposta (ricchezza, ordine, potere) sostitutiva.
L’avidità si sposa al disordine. È il disordine democratico?

La mafia è come i pesci
È “mafiosa” anche la testata di Ostia. Data in pubblico, anzi davanti alle telecamere: la “mafia” non si nasconde. A quando Weinstein mafioso?

Si pubblicano le intercettazioni sulle mafie di Ostia, dal 2015. Agghiaccianti. Perché esplicite, in chiaro, di chi e cosa impone: i clan, gli individui, i beni sotto tiro. Senza che nessun contrasto sia mai stato promosso, né dalle polizie né dai giudici. In attesa della “retata” sui tg tre anni dopo, il 25 gennaio 2018.
Intanto ci sono state sparatorie, con feriti. E la solita serie interminabile di “avvertimenti”, che lo Stato non considera e sono economicamente micidiali. La colpa naturalmente  di chi non è andato a denunciare. Cosa?
La mafia è come i pesci: si aspetta per tirare le reti che siano gonfie. Ma il mafioso è altrettanto innocuo della sardella?

La mafia alla Casa Bianca. E al Cremlino.
Poteva mancare la mafia nella trumpeide? Ce l’ha introdotta un Glenn Simpson, che il Senato e la Camera dei Rappresentanti Usa hanno voluto ascoltare mesi fa, di cui si pubblica ora la testimonianza - per imbordellire la trumpeide? Simpson è un ex giornalista che ha un’agenzia investigativa privata, che ha lavorato per un gruppo del partito Repubblicano concorrente di Trump, e poi per il partito Democratico, e ha tra i consulenti l’ex spia britannica Steele, che è all’origine del Russiagate (Trump nella manica di Mosca dagli anni 1970).
Simpson parla di “mafie italiane e mafie russe”, plurali, senza precisare - forse collegate? Si vede che non ha un pentito italiano.

Non ci sono solo la Casa Bianca e il Cremlino nella manica della mafia. Anche il Sud America. Qui però nelle vesti del giustizialismo. “Da vecchie repubbliche delle banane a regni del giustizialismo”, il Sud America Rocco Cotroneo documenta oggi sul “Corriere della sera” in preda al raptus da Mani Pulite: non c’è classe dirigente nel sub-continente che non sia sotto attacco, per dritto e per rovescio. Non i sono i Riina all’opera, ma l’esito è lo stesso, l’Italia insegna: non ci deve essere governo.

Weinstein mafioso non è tanto per dire. È stato il kingmaker di molti Oscar, per esempio di Benigni. Di film di qualità, se non tutti quasi – per esempio di Benigni. E quindi benemerito. Ma uno che sapeva indirizzare la platea dei votanti, che in teoria è sterminata, di cinque o diecimila votanti, anche in Asia e in Europa. Come? Al gioco delle influenze, del produttore-distributore importante – un po’ come faceva a letto.

Questo forse non è mafia: si sa che i produttori, oltre che le attrici, amano i premi, è un trademark, loro stessi lo dichiarano. Ma ci sono agenzie e consulenti a Hollywood specializzati in questo. La più famosa, Lisa Taback, una doppiamente obesa ma ben energica, ha fatto vincere da sola Benigni, e “Shakespeare in love”, “Il discorso del re “, “The Artist”, in bianco e nero, “Spotlight”, “Moonlight”, film difficili o di poco peso. Come? Non con la seduzione: si possono fare carriere col voto. Senza uccidere, quindi senza mafia, ma la concorrenza facendo ben mafiosa. 

Emilio Cecchi diceva mafiosi anche Vittorio Emanuele Orlando, Gentile e Borgese, nei “Taccuini”: “Com’è siciliano il ministro liberale, umanitario e capo mafioso.  Si capiscono G. e Borgese”. Gentile, ministro potente, segnava prudente con l’iniziale – omertà?

La mafia è delle donne
Alex Perry, un giornalista americano anglicizzato, col fiuto per gli eventi di cronaca – fa un libro l’anno, sul tema del momento, Boko Haram, Jihad, Tony Blair, George Clooney, Scozia indipendente, etc.: la sua biografia dice che negli ultimi venti anni ha vissuto in Asia e in Africa, “scrivendo di oltre 100 paesi e coprendo oltre 30 conflitti come corrispondente di guerra” – punta quest’anno sulle donne di mafia. Forte probabilmente del successo delle donne di camorra nella serie tv “Gomorra”. Ha già scritto il libro, “The good mothers”, le buone madri, che uscirà a giugno. E ne prepara il lancio anticipando il primo capitolo sul “New Yorker” del 22 gennaio, sotto il titolo “Blood and Money”.  “The True Story of the Women Who Took on the World’s Most Powerful Mafia” è il sottotitolo del libro, di grande presa (“storia vera”, “la mafia più potente al mondo”): Perry e i suoi editori sanno come catturare i lettori.
Il primo capitolo è un calco di Saviano, “Gomorra”. Anzi un remake. Da narratore di migliore vena. E con una punta di onestà: dichiara subito che il libro nasce dalla collaborazione con la giudice Alessandra Cerreti, l’ex giudice del lavoro poi collaboratrice di Pignatone, del tutto mafia, a Reggio Calabria e a Roma. Ne virgoletta pignolo i pareri. Fino a fare con precisione le parti: “Abbiamo parlato per sette ore, nel 2015 e nel 2016. Cerreti alla fine ha rifiutato altri incontri”.
A Reggio Calabria la giudice Cerreti “ha gestito”, dice il suo curriculum,  “la collaborazione della prima donna di “ndrangheta” PESCE Giuseppina, figlia del boss PESCE Salvatore”. Che è andata bene – Perry rappresenta Giusy Pesce come una donna determinata, anche nei ripensamenti. E “ha gestito, insieme al collega dott. Giovanni Musarò, la collaborazione con la A.G. di CACCIOLA Maria Concetta”. Che è invece andata male – Perry rappresenta Cacciola, di cui non dà il nome proprio (Concetta non piace?), come una giovane bella e sognatrice, mal sposata per ragioni di ‘ndrangheta, che infine non regge alla tensione.
Il libro parte con la storia terribile di Lea Garofalo - un romanzo se non fosse una storia criminale, di tanti crimini l’uno dietro l’altro. Ma subito allarga l’obiettivo – Perry sa come catturare il lettore - alla ‘ndrangheta mafia mondiale, dai tentacoli in “cinquanta paesi in giro per il mondo”.  Inafferrabile per essersi proiettata nella finanza globale, e per l’omertà – “un codice di silenzio imposto con una gerarchia familiare claustrofobica e una misoginia assassina”. 

Il solito guazzabuglio di primitivismo e sofisticatezza. Non descrive le case, le parlate, gli abbigliamenti, gli odori, gli sguardi dei mafiosi, tutto quello che confluisce nelle bombe e gli assassinii. Li delocalizza perfino, astraendoli in una sorta di empireo, seppure del male – le case dei Pesce a Rosarno, ambienti degradati di un paese degradatissimo, descrive come nei verbali di polizia giudiziaria: ville, comfort, tecnologie. Il solito monumento. Si capisce che la giudice Cerreti a un certo punto abbia chiuso la saracinesca. 

leuzzi@antiit.eu 

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