“Perché vogliamo tanto sapere
il greco, che è inconosocibile?” Virginia Woolf se lo domanda, nel più
acuminato dei quattro saggi di questa breve raccolta, e prova a spiegarsi il
perché. “Troviamo nella Grecia ciò che ci manca, non ciò che contiene
realmente” – la Grecia nascosta, “dietro ogni riga della sua letteratura”. Lei
ci trova il Sud, il sogno delle brume del Nord: un mondo di luce e tepore. E un
mondo classico, in cui ognuno era re, Nausicaa che lava i panni, Penelope che
tesse la tela. Ci proviamo infine perché, “nonostante la fatica e le
difficoltà”, ci “troviamo l’essere umano, invariabile e permanente”.
La lettura che poi fa della
tragedia è anch’essa sorpredente: è poesia declamata. La tragedia si metteva in
scena su fatti e personaggi noti. E questo dà totale libertà a Eschilo, a
Sofocle, in parte anche a Euripide, di fantasticare senza riferimenti obbligati:
il pubblico affluiva alle loro recitazioni per godersi una piega, un segno, una
parola nuova con cui confrontarsi-confortarsi. In parallelo va la filosofia sul
campo opposto della verbalità: alla poesia dell’estate, all’aperto, segue la
riflessione d’inverno al chiuso. Ogni parola viene spogliata e esaminata, in
“un processo estenuante: concentrarsi dolorosamente sull’esatto significato delle
parole”.
Il segreto e il fascino del
Greco è l’inafferrabilità, o intraducibilità. Se non nella forma di “una
giornata estiva immaginata nelcuore dell’inverno nordico”. Un mondo, anche,
piccolo e pieno, dove ognuno è un signore. Per questo “è ai greci che ci
volgiamo quando ci vengono a noia la vaghezza, la confusione, la cristianità e
le sue consolazioni”.
Lo stesso avviene col russo,
altro mondo radicalmente diverso, tanto più dalla flemma sassone, e
intraducibile. Un mondo anche poco mediato,o mediabile. Con tre letture molto personali ma evocative di Čechov,
Dostoevskij e Tolstòj.
Virginia Woolf, Non sapere il greco, Garzanti, pp. Pp. 93 € 4,90
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