Antisemitismo – L’odio non è
dell’ebreo in sé, ma in quanto generatore del Cristo: l’odio sarebbe in realtà
del cristianesimo. Una traccia inesplorata – azzardata ma non senza pezze
d’appoggio - nella storia
dell’antisemitismo è di Joseph Roth: “Non
si ripete mai abbastanza, anche se ci si vergogna”, esplode a un certo punto in
“Autodafé dello spirito”, pp. 72-73, “che i tedeschi di oggi non odiano gli
ebrei per il fatto che hanno crocefisso Gesù Cristo, ma per il fatto che lo
hanno generato”. Questo scriveva nel 1937 nel saggio “Emigration”. Dando una
connotazione peculiare all’emigrazione politica tedesco-cattolica, che, “benché
di gran lunga minore di quella tedesco-ebraica”, ha “un significato molto
peculiare”. Nel cattolico il nazismo neopagano coglie “quel segno, al quale
aveva mirato per primo con il suo antisemitismo”. È quello che pensava
Rosenberg, il dottrinario dell’antisemitismo: “Questo credo barbaro del sangue,
che non può capire il simbolo, vede nel sacrificio della messa la continuazione
fisica del «semitismo», e il sangue dell’ «ebreo» Gesù Cristo
l’opinione di questi rozzi versa nelle vene di chi si riconosce in Gesù
Cristo”. Una traccia che si riallaccia alla più generale polemica contro il
cristianesimo quale religione galilea, asiatica.
Avanzo primario –
“L’Italia è riuscita a mantenere un attivo primario in media dell’1,4 per cento
tra il 2011 e il 2016”, è il riconoscimento che Joseph. E. Stiglitz appone in
nota alla polemica riedizione paperback del
suo già polemico “L’euro”, a un anno dalla prima uscita. Polemico è il premio
Nobel con la creazione e la gestione dell’Europa da parte della Bce e della
Commissione europea, e della Germania. Per attivo primario s’intende l’attivo
di bilancio al netto della spesa sul debito, della spesa per interessi. L’Italia,
presentata a Bruxelles, Francoforte e Berlino come dilapidatrice, spende meno
di quanto incassa. Ma lo fa dal 1992, non dal 2011.
Sono venticinque anni che l’Italia si governa con un attivo
primario: di quasi il 2 per cento nel 1992, del 2,6 nel 1993, del 2,3 nel
21994, etc. Con la sola eccezione del 2009.
Banca Centrale Europea – A differenza delle altre banche centrali, ha l’unico scopo statuario di contrare l’inflazione, per mantenere stabile il valore delle obbligazioni che garantisce. La sua politica monetaria è confinata alla gestione dell’inflazione, senza riguardo per l’andamento dell’economia – produzione, lavoro, redditi – che invece costituisce l’impegno primario delle analoghe istituzioni fuori d’Europa.
Il limite statutario, voluto dalla Bundesbank, è inteso
dalla stessa banca centrale tedesca in senso limitativo: la Bce deve solo
operare per ridurre l’inflazione. Le
decisioni rinnovate del board della
Bce nel 2016-2017 di attivare il contrasto alla deflazione e una moderata
inflazione, dell’1-2 per cento, hanno sempre avuto il voto contrario della
Germania.
Cittadinanza –È
il discrimine dell’emigrazione politica – anche “dell’interno”, di chi cioè non
emigra fisicamente. In uso nel Novecento nella Germania nazista e nella Russia
sovietica, la privazione della
cittadinanza era il segno più forte dell’esilio – dell’esilio quale fuoriuscita
dalla comunità nazionale, la comunità dei credenti del nazismo e del
sovietismo.
A meno di soccorso da parte di altri Stati, il cittadino
tedesco o sovietico privato della cittadinanza si ritrovava apolide e senza
identità. Col suo nome e cognome, ma non certificati . come pure l’età, la
professione. La privazione della cittadinanza è la misura più radicale nella
politica del confronto. Heine non poteva vivere in Germania, ma poteva esservi
pubblicato e letto, non avendo perduto la cittadinanza. Lo stesso Voltaire in
Francia, o Victor Hugo. Ma non Thomas e Heinrich Mann in Germania, o i numerosi
scrittori ebrei tedeschi e austriaci, emigrati o esiliati negli anni di
Hitler..
Debito – L’Italia
paga il 4 per cento del pil ogni anno per gli interessi sul debito pubblico. È
il doppio della media Ocse (i paesi più sviluppati) e quasi quattro volte la
spesa della Germania, che ha un debito di poco inferiore a quello italiano. Ciò
è dovuto alla valutazione (rating)
internazionale del debito italiano, gestito dalle società di rating specializzate, ma nel quadro di
una speculazione globale sui punti deboli dell’euro.
Sul costo degli interessi incide anche il rapporto
debito\pil, che cresce malgrado gli attivi primari, a causa della debolezza
dell’economia. Nei dieci anni della crisi dopo il crack bancario del 2007, e
anche prima.
Il debito italiano è cresciuto di 38 punti percentuali negli
anni 1980. Nel 1990 era salito al 92 per cento del pil. Negli anni successivi
si è ridotto – la riduzione più continua e consistente del dopoguerra. Ha
ripreso a salire dal 2007.
Negli anni 1980 il debito si è gonfiato per la politica
degli interessi adottata dalla Banca d’Italia. Con tassi elevati, al di sopra
dell’inflazione, fino a un tasso di sconto del 19 per cento – contro il 7,5 per
cento della Germania, pur essa impegnata contro l’inflazione. Una politica
dettata in prospettiva euro: per ridurre la fluttuazione nei tassi di cambio in
vista dell’introduzione della moneta unica. Alla fine del decennio la lira era
sopravvalutata sul marco – prodromo alla facile speculazione contro la lira del
1992.
Ci sono ragioni sostanziali - e andamenti reali – diversi
per la crescita del debito da quelli che agita la pubblicistica delle agenzie
di rating e delle banche d’affari,
del paese malgovernato, ingovernabile, debole socialmente, debole
politicamente, e altrettali.
Inflazione – “C’era una teoria
economica di moda al tempo in cui si costruiva l’euro, che, se solo il governo
tenesse l’inflazione bassa (e i debiti e i deficit bassi), il mercato
assicurerebbe la prosperità per tutti. Quella teoria è stata da allora
discreditata. Un’inflazione tra bassa e moderata è necessaria per far
funzionare l’economia, e potrebbe non essere sufficiente” – Josepg E. Stiglitz,
“The Euro”, nota 10 alla Introduzione alla riedizione paperback.
Madrepatria – In tedesco è solo patria,
Vaterland. Gente di tribù fino
all’anno Mille e oltre, fedeli al Capo, i tedeschi non avevano il concetto
della terra madre.
Razzismo
–
È perento anche nella forma del razzismo antirazzista di Sartre e Frantz Fanon: i peggiori nemici dei neri sono oggi
neri, in Congo, Nigeria, Liberia, e un po’ ovunque in Africa, Haiti.
Tribù - “Uno zulu non amerebbe essere un
anglobritannico, e neanche un afrikaner”. Lo sosteneva il “dottor Malan”,
Daniel François Malan, il primo ministro del Sudafrica dal 1948 al 1954 che instaurò
l’apartehid, e quindi è sospetto. Ma
è un fatto. La tribù è un fatto e una logica: è via di mezzo tra
l’etnocentrismo, o assimilazione, e il relativismo culturale. Si lega alla
terra e al sangue, ma più alla storia, e smantella il conflitto quale si
configura oggi, tra Nord e Sud, compreso il razzismo antirazzista. Non è un
confine, che possa per esempio destinare l’Africa all’indigenza e alla
violenza, è un collante.
Si vede meglio in America, negli
Stati Uniti. L’America segue uno speciale percorso, forte di amor patrio oltre
che di leggi, essendo nazione fra i ghetti, per i neri pure e i pellerossa, e
ora per i latinos. I dannati
dell’Europa e dell’Asia l’hanno formata, e gli schiavi dell’Africa, e ne ha
soverchiato gli odi nella lotta per la sopravvivenza – per molto meno le tribù
europee, non così povere e perfino colte, si sono fatte la guerra per quindici
secoli. C’è un Nord ancora feroce, per essere il Sud dago, latino cioè,
cattolico e bruno, o protestante rosso di pelo e povero. E nero o ebreo. Ma è
un Nord fatto di gente spesso del Sud. I bianchi poveri odiano i neri come
odiano lo yankee di città, e gli
ebrei. Tutto resta
etnico nel centro della modernità, abbigliamento, capelli. danze. Ma dalle
gerarchie passa alla diversità.
astolfo@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento