Una storia senza una pausa. Un capolavoro
di legal-trhiller. Per una volta non sulle procedure penali Usa: questo è sui
conflitti interarabi, violenti, interminabili, inutili. Per differenze di
nazionalità, religione, etnia, o semplicemente di carattere. Una pietra miliare
storico-politica.
Un libanese un palestinese, profugo a
Beirut, litigano. Senza voerlo, e senza nemmeno chiedersi la ragione. Che del
retso si scambiano vicendevolemente: le parti si rovesciano fino a far
diventare il nazionalista libanese anti-israeliano un “sionista”. Ma non è un
gioco delle parti, è un conflitto vero, con danni. Compresa l’insorgenza di un
passato, per entrambi i contendenti, che volevano e non possono più cancellare.
Di un paese piccolo che la sua ricchezza ha reso indifeso.
Venezia ha premiato Kamel El Basha, il
palestinese della contesa, per correttezza politica. Il film si regge su Adel
Karam, he lo tiene sulla corda dall’inizio alla fine, in un’interpretazione di
forza del libanese-straniero-in-patria - anche per una storia più complessa del
suo personaggio: vittima bambino della rappresaglia dei palestinesi del campo
di Tell-el-Zaatar su Damur, a sud di Beirut, un eccidio di molte centinaia di
persone inermi. Ma lo stesso suo avvocato, che lega tutta la vicenda, il
nazionalista che porterà i giudici ad assolvere il palestinese suo accusato, è
un’interpretazione affascinante. Estremamente caratterizzate, seppure in ruoli
di contorno, le mogli dei contedenti, e l’avvocatessa del palestinese.
Un lavoro curato, immagine per immagine,
parola per parola, e un esito imponente.
Ziad Doueiri, L’insulto
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