“Roma, 9 maggio ‘78. Al Viminale”, recita la sinossi del
libro, “il ministro degli Interni Cossiga attende la notizia della liberazione
di Aldo Moro. Quando squilla il telefono, gli si annuncia invece il
ritrovamento del cadavere del presidente democristiano, in una Renault rossa
lasciata in via Caetani. Il dolore si mescola a profonda delusione: qualcuno ha
tradito i patti, capovolgendo l'esito di una segretissima trattativa dove a
condurre il gioco era stato chiamato un abilissimo mediatore”, Igor Markevic, “il Maestro di origine russa che ha diretto le maggiori
orchestre del mondo”.
Si riedita perfino ampliata una storia che
sembra inventata – e lo è. Attorno a un personaggio che in qualche modo la
merita, la scelta non è sbagliata. Ma fare del maestro Markevic il Grande Vecchio delle Brigate Rosse o il Capo dei
Capi è troppo – nel caso specifico dell’assassinio di Moro anzi disturbante, nessun elemento collegando il musicista ai terroristi.
La sinossi di cui sopra non è di quest’ultima
fatica di Fasanella e Rocca, ma della precedente sullo stesso personaggio, nel
2003, con Einaudi, intitolata “Il misterioso intermediario. Igor Markevic e il
caso Moro”. Questo volume, il doppio del precedente, è “una risposta alle
critiche” del primo. Ma di fatto un’escursione libera sui legami “tra mondo dell’arte,
intelligence e esoterismo” – fertile, questo, nella famiglia Caetani: un campo
sterminato, :l’evocazione del mondo brillante delle arti e della cafè society europea del dopoguerra. Se non che la storia è sempre quella del misterioso capo delle Brigate Rosse.
Con uno strano effetto di vasta
disinformazione, come tante altre storie concresciute attorno al delitto Moro.
Qui senza molti appigli.
Giovanni Pellegrino,
“il senatore-detective che per sette anni ha presieduto la Commissione
parlamentare sulle stragi e sul terrorismo”, si è fatta l’idea che l’uccisione
di Moro, mentre se ne attendeva la liberazione, è dovuta in qualche modo al
maestro Markevic. Unico indizio a carico del musicista: l’aver sposato in seconde
nozze la duchessa Topazia Caetani, e quindi
essere in qualche modo coinquilino della R 4 nella quale fu stipato il corpo di
Moro. Anche se i Caetani non abitano palazzo Caetani da qualche secolo.
E chi è Pellegrino? Un onesto senatore. Tanto onesto che per
sette anni nella sua Commissione si è potuto raccontare di tutto e di più sul
rapimento e l’assassinio di Moro, non bastando la verità, o forse per
mascherarla. E Cossiga, che trattava con misteriosi intermediari, è notissimo
presidente affabulatore di tante fiabe cospirative. Parti entrambi in tragedia,
ma nel post-tragedia, In una cultura che privilegia il “testimone” invece dei
fatti. Magari solo per divertimento non
per cattive intenzioni: la verità del testimone si presta di più e con meno
fatica – è racconto pronto, basta un minuto al microonde, e anche, perché no,
più accattivante. Markevic si presta meglio di altri perché ha lavorato con
Cocteau, ha incontrato Nabokov, Berenson,, Chaplin e tanti altri, e allora
molto Nabokov, Berenson, Chaplin e altri, e poi era amico di Roman Vlad – di cui
però è difficile presumere male, il figlio Alessio vigila.
Di Markevic si poté
fare il Capo dei Capi del terrorismo rosso perché l’uomo era in età, e isolato.
E non sprezzava la notorietà, purchessia. Anzi. Era un personaggio da
passerella, già in gioventù. Savinio,
“Scatola sonora”, lo ricorda così nell’aprile del 1941, “Igor Markevic, nato a
Kiev nel 1912”, all’esecuzione all’Adriano, in piazza Cavour a Roma, allora
sala da concerti, della prima italiana di una sua sinfonia concertante per
soprano e orchestra, “Lorenzo il Magnifico”, da lui stesso diretta: “Nelle
fotografie di solisti e direttori che opportunamente illustrano i programmi…. riconoscemmo
i lunghi occhi da capra del giovane compositore russo, la sua bocca carnosa, le
sue orecchie faunesche, la sua faccia sfilata; e a questa vista la nostra mente
tornò indietro di una dozzina d’anni”. A quando Markevic, a Parigi, era nella
scuderia dell’impresario Djaghilev, geniale talent scout, promotore, produttore
di teatro, danza e musica – “un mondano delle arti e dell’intelligenza, dotato
del necessario fiuto per scoprire gli uomini le cose e i capitali”. Ricorda
Savinio nel 1941: “Igor Markevic era in quel tempo il prodigio giovinetto che Sergej Djaghilev portava entusiasticamente
in giro”, per i centri della mondanità, Parigi, Londra, Montecarlo. “Giovinetto
di belle speranze”, che, “scortato a destra da sua madre e a sinistra dall’autorevole
protettore, diabetico e opalescente, passava, sereno e polito, tra ali di
curiosità e sussurri di simpatia”. Djaghilev era stato “particolarmente
fortunato nella scoperta di alcuni ballerini”, tra essi Nižinskij, di cui la
giovane promessa sposerà in prime nozze la figlia. Poi Djaghilev era morto, e
il Markevic compositore era finito. Avrà un’ottima carriera come maestro d’orchestra,
e si farà italiano sposando in secondo nozze, un matrimonio da cui ebbe quattro
figli. E questa è la vera storia.
Fasanella, già cronista dell’“Unità” a
Torino negli anni di piombo, è uomo di cinema, sceneggiatore, soggettista. Come
Rocca. Si divertono nel genere “romanzo-verità”.
Giovanni Fasanella-Giuseppe Rocca, La storia di Igor Markevic. Un direttore d'orchestra
nel caso Moro, Chiarelettere, pp. 464 € 16,90
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