A 23 anni l’autore è un veterano, con un
editore fra i più established: la
mafia sarà come la musica, fa i bambini prodigio. E il ragazzo, così si
presenta, ci dice che la mafia c’è. Indubbio. E che ha colonizzato il Nord.
Questa è una concezione riduttiva del Nord. Ma poi dice che la mafia che ha
colonizzato il Nord è la ‘ndrangheta, e a noi, che della ‘ndrangheta abbiamo
conoscenza diretta poliennale, la cosa diventa implausibile, anzi ridicola.
La prova, dice il giovane ricercatore, viene
da immaginarlo imberbe, è che quando telefona a qualcuno per parlare dei rapporti
suoi personali, o di parenti o amici, con la ‘ndrangheta, o va a incontrarlo al
bar, l’interlocutore chiude il telefono, oppure diserta l’appuntamento. E questo,
spiega, è l’omertà. No, l’omertà è dire che la ‘ndrangheta domina il Nord.
Cioè, non l’omertà, è la stupidità – ma l’omertà non è concetto molto sveglio.
A 23 anni Minari ha un mondo da imparare.
Anche se qui propone gli “approfondimenti di otto anni”. A tempo perso – non
vorremmo pensarne male? Si può pensare che negli “otto anni” si sia divertito,
e continui a nostre spese, lui e Rizzoli. Non sarebbe male. Ma il furbo editore
lo fa precedere da una prefazione del giudice Roberti, il Procuratore Nazionale
Antimafia. Niente di meno: l’antimafia come gradus
ad Parnassum, una scorciatoia per la carriera, il successo, l’autorità. Di
piccoli e grandi furbetti. Non mafiosi.
Assolutamente.
Elia Minari, Guardare la mafia negli occhi, Rizzoli, pp. 279, ril. € 18
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