lunedì 22 gennaio 2018

La scoperta della liberazione

Un’epica domestica. Poche scene, povere, ripetitive, tutte attorno a un solo personaggio, Churchill, per due ore di declamazione, che prende il governo a Londra contro Hitler, nemmeno una grande notizia. Ma montate con sagacia. E seguite dal pubblico con una tensione visibile – alla fine c’è sempre qualcuno a cui scappa un applauso liberatorio.
Un Churchill anche appesantito: nei movimenti, l’uso del bagno, la parlata. Stereotipo: sigaro e bicchiere sempre in primo piano. E ciceroniano: argomentativo e “uomo nuovo”, una sorta di provinciale. Riflessivo più che entusiasta, e forse limitato nel giudizio e nella manovra politica. Mentre era ottimo scrittore, politico navigato, in primo piano già da venticinque anni, con grosse responsabilità nella prima guerra mondiale e dopo, dopo aver navigato il mondo, dell’establishment più established, con qualche linea genealogica in più del suo sovrano balbuziente - discendente del duca di Malborough (e degli Spencer - lady Diana). E ancora agile, i vizi prenderà dopo la guerra, dopo la sconfitta elettorale a conclusione della guerra che lui aveva vinto.
Non un grande film, insomma. E un po’ falsificato. Tuttavia il passaparola è entusiasta, i genitori ci portano anche i figli – i figli ci vanno.  Come una scoperta o un sollievo, che si parli ancora di liberazione. Che una persona, un mondo, sia impegnata per la liberazione. La scena della liberazione nel sentimento popolare, in un vagone della metro, è la più squallidamente dopolavoristica, e pure piace. Quale Hiter ci sta opprimendo, che non si dice?
Joe Wright, L’ora più buia

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